29 Maggio 2019

Classificazione dei rifiuti: Corte di Giustizia e prospettive future

ATTILIO BALESTRERI

Immagine dell'articolo: <span>Classificazione dei rifiuti: Corte di Giustizia e prospettive future</span>

Abstract

Con sentenza del 28 marzo scorso (cause riunite C-487/17 e C-489/17) ad esito di Ordinanze di rimessione della Corte di Cassazione italiana, la Corte di Giustizia UE ha fornito importanti criteri – di natura interpretativa ma di fondamentale portata applicativa – in tema di classificazione dei rifiuti con codici speculari, ed in particolare con riferimento ai limiti ed alle modalità con cui compiere i relativi accertamenti tecnici. Si tratta di un tema oggetto, in anni recenti, di fervente dibattito giurisprudenziale e dottrinale e di conseguenti incertezze applicative su cui le valutazioni della Corte di Giustizia si auspica contribuiscano a fare chiarezza.

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I due orientamenti in tema di classificazione dei rifiuti

Soprattutto negli ultimi anni, complice un complicato panorama normativo che non vi è qui spazio per approfondire, si sono andati formando sul tema della classificazione dei rifiuti identificati con codici speculari due orientamenti interpretativi.

Seguendo la tesi detta della certezza o pericolosità presunta”, per classificare correttamente i rifiuti con codici speculari sarebbe necessaria una conoscenza “esaustiva” ovvero, in concreto, ottenuta a valle di indagini tecniche su tutte le componenti astrattamente presenti nel rifiuto e per una percentuale che, sommata a quella di concentrazione più bassa prevista per le varie sostanze pericolose, raggiunga il 100%. Corollari di questa tesi: i) la necessità di indagare la pressochè totalità della composizione del rifiuto, stanti le ristrette soglie di pericolosità; ii) l’indagine analitica di tutte le potenziali sostanze e dei “composti peggiori” delle stesse; iii) l’irrilevanza di qualsivoglia criterio di pertinenza tra le sostanze indagate ed il ciclo produttivo di origine del rifiuto volto a limitare e circoscrivere le indagini. L’effetto pratico dell’applicazione di tale tesi, oltre rendere necessaria la valutazione tecnica di potenzialmente migliaia di composti, è la presunzione di pericolosità in ogni caso in cui le analisi non siano “esaustive” (secondo i rigidi criteri sopra esposti). Sul piano processuale, si avrebbe la gestione illecita dei rifiuti in casi di esclusione della pericolosità basata su indagini non “esaustive”.

Diversamente, la seconda tesi (detta della “pertinenza”) valorizza la potenziale presenza delle sostanze nel processo di produzione del rifiuto indagato. Sarebbe, dunque, necessario indagare le sostanze pertinenti (vale a dire, potenzialmente presenti) nel rifiuto speculare, tenendo conto delle caratteristiche dello stesso e del relativo processo di origine, essendo invece contrastante con una corretta applicazione dei principi di precauzione, proporzionalità e sostenibilità tecnico/economica la richiesta di una indagine più ampia ed indiscriminata. Ciò, in linea con quanto previsto nelle attuali disposizioni europee in materia e nelle linee guida esistenti, che valorizzano il criterio di pertinenza. Corollari di questa tesi: i) la possibilità per il produttore di effettuare una valutazione tecnica per l’individuazione delle sostanze da indagare; ii) la conseguente legittimità di una riduzione, anche percentuale, delle indagini a valle di tale valutazione; iii) la eventuale possibilità di prescindere anche dalle indagini analitiche laddove il processo produttivo permetta di escludere a priori la possibile presenza nel rifiuto di elementi che possano generarne una pericolosità. L’effetto pratico dell’applicazione di tale tesi è la valorizzazione, e conseguente valutazione sia sul piano tecnico che processuale, del percorso tecnico che ha portato alle definizione delle sostanze da indagare.

 

Le valutazioni della Corte di Giustizia UE

Nell’affrontare il tema, la Corte di Giustizia disattende la prospettiva della presunzione di pericolosità, aderendo invece nella sostanza all’impostazione seguita nella seconda tesi. Secondo la Corte di Giustizia nell’ottica di «operare un bilanciamento tra, da un lato, il principio di precauzione e, dall’altro, la fattibilità tecnica e la praticabilità economica» è corretto che «i detentori di rifiuti non siano obbligati a verificare l’assenza di qualsiasi sostanza pericolosa nel rifiuto in esame, ma possano limitarsi a ricercare le sostanze che possono essere ragionevolmente presenti in tale rifiuto e valutare le sue caratteristiche di pericolo sulla base di calcoli o mediante prove in relazione a tali sostanze»

La Corte evidenzia dunque che il produttore/detentore del rifiuto deve determinarne la “composizione e ricercare le sostanze pericolose che possano ragionevolmente trovarvisi onde stabilire se tale rifiuto presenti caratteristiche di pericolo ». Il ragionamento (delicato ed approfondito) dei Giudici europei - nel riscontrare i quesiti posti dalla Corte di Cassazione italiana – dettaglia tuttavia ulteriori (fondamentali) criteri, utili a circoscrivere le statuizioni contenuti nella sentenza:

  • è obbligo del produttore indagare la composizione del rifiuto per classificarlo correttamente attraverso analisi, prove, informazioni sul processo produttivo di origine e sulle sostanze o sui prodotti in esso utilizzati;
  • non vi è alcuna presunzione di pericolosità; la rappresentatività delle verifiche svolte non comporta che «l’oggetto di tale analisi consista nel verificare l’assenza, nel rifiuto di cui trattasi, di qualsiasi sostanza pericolosa, cosicché il detentore del rifiuto sarebbe tenuto a rovesciare una presunzione di pericolosità di tale rifiuto»;
  • vanno ricercate le sostanze ragionevolmente presenti nel rifiuto, senza «alcun margine di discrezionalità a tale riguardo»;
  • soltanto ad esito di tali verifiche, laddove ci si trovi «nell’impossibilità pratica di determinare la presenza di sostanze pericolose o di valutare le caratteristiche di pericolo», il rifiuto deve essere classificato come pericoloso.

 

Le prospettive

La strutturata pronuncia della Corte di Giustizia - importante passo avanti per razionalizzare la classificazione dei rifiuti nel territorio comunitario - è destinata ad impattare il panorama nazionale. Se da un lato, infatti, è ragionevole ritenere che le statuizioni della sentenza qui analizzata siano destinate a superare orientamenti basati su criteri presuntivi e su indagini tanto restrittive da risultare irrealizzabili, d’altro canto in tema di classificazione dei rifiuti speculari diventa ora oggetto centrale di valutazione il percorso di indagine e di selezione delle sostanze potenzialmente presenti definito dal produttore (e dai relativi consulenti tecnici). Se l’impostazione della Corte di Giustizia verrà seguita - sia nelle aule giudiziarie che nella realtà operativa - diverranno, dunque, dirimenti il percorso valutativo e gli accertamenti tecnici eseguiti, se ed in quanto rappresentativi, tecnicamente congrui e (non da ultimo) compiutamente documentabili. Imprescindibile, dunque, un approccio preventivo degli operatori al tema della classificazione dei rifiuti, da affrontare sui diversi piani della tecnica, del diritto e dell’operatività ed organizzazione aziendale.

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