19 Agosto 2022

La Corte di giustizia sugli accordi quadro alla luce delle indicazioni della sentenza Simonsen & Weel

SIMONE VENTURA

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Abstract

(Articolo pubblicato il 12/10/2021)

Nella recente sentenza Simonsen & Weel, la Corte di giustizia ha chiarito alcuni aspetti rilevanti per la determinazione delle clausole dei contratti di appalto da aggiudicare ai sensi di un accordo quadro. La Corte ha ulteriormente precisato la disciplina disegnata nella sentenza del 2018 Antitrust e Coopservice. In particolare, all’amministrazione aggiudicatrice è richiesto di indicare il valore o la quantità massima e quella stimata delle prestazioni che l’accordo quadro riguarderà. Allo stesso tempo, i documenti di gara possono indicare requisiti ulteriori per la conclusione degli accordi successivi.

In fondo, la Corte di giustizia conserva in capo alle amministrazioni aggiudicatrici un certo margine di discrezionalità nella scelta dell’indicazione del prezzo ovvero della quantità. Tuttavia, non sembra che tale discrezionalità possa essere assoluta, dovendo l’amministrazione aggiudicatrice garantire, per mezzo della propria scelta, il corretto funzionamento della gara pubblica, nel rispetto dei principi di trasparenza, parità di trattamento e concorrenza.

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Gli accordi quadro e le clausole di estensione

Già nel 2017, il Consiglio di Stato si era interrogato sulla conformità al diritto europeo della prassi di estendere ad altre stazioni appaltanti un contratto di appalto pubblico già stipulato. Nei contratti all’attenzione del giudice amministrativo erano infatti presenti clausole di estensione. Per mezzo di disposizioni di questo genere, la stazione appaltante si riserva la facoltà di ottenere dall’aggiudicatario l’estensione degli effetti del contratto nei confronti di una o più amministrazioni, indicate nello stesso. I servizi aggiuntivi sono resi alle medesime condizioni dell’aggiudicazione ordinaria, pur essendo regolati da un rapporto contrattuale autonomo.

Tale prassi si basa, in Italia, su esigenze di riduzione della spesa pubblica (la c.d. spending review) in ambito sanitario. Con il decreto legge n. 95/2012, infatti, si impone alle aziende sanitarie locali di rescindere contratti di fornitura di beni o di servizi particolarmente onerosi, per stipularne di nuovi alle condizioni determinate da contratti in essere con altre aziende sanitarie.

Il giudice amministrativo qualifica i contratti che contengono una clausola di estensione come accordi quadro. Ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. iii), del d.lgs. n. 50 del 2016 (il Codice degli appalti), nonché dell’art. 33, par. 1, comma 2, della direttiva 2014/24/UE, l’accordo quadro è concluso tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici. Scopo dell’accordo quadro è stabilire le clausole di appalti da aggiudicare entro un determinato periodo, in particolare per quanto riguarda i prezzi e le quantità.

Il Consiglio di Stato, dunque, rinviò la questione alla Corte di giustizia, la quale si pronunciò nella sentenza del 19 dicembre 2018, Autorità garante della concorrenza e del mercato – Antitrust e Coopservice, causa C-216/17.

 

Gli accordi quadro e il confronto competitivo

I contratti collegati all’accordo quadro possono essere conclusi mediante procedure semplificate. In alcuni casi, quando l’accordo quadro contiene tutti i termini di disciplina della prestazione, nonché condizioni oggettive di scelta dell’operatore economico parte dell’accordo quadro, il contratto potrà essere stipulato senza un nuovo confronto competitivo (art. 54, comma 4, lett. a), del Codice appalti; art. 33, par. 4, lett. a), della direttiva 2014/24/UE).

Tale procedura di aggiudicazione senza gara – così come le altre procedure semplificate riservate agli accordi quadro – è applicabile solo tra le amministrazioni aggiudicatrici indicate nei documenti di gara e gli operatori economici parte dell’accordo quadro concluso.

Inoltre, al fine di poter procedere senza un nuovo confronto competitivo, l’accordo quadro deve contenere tutti i termini di disciplina della prestazione. Tenendo in considerazione la norma di definizione dell’accordo quadro, esso dovrà senza dubbio contenere, dunque, le clausole relative ai prezzi degli appalti da aggiudicare, nonché, “se del caso”, le quantità previste.

Le condizioni di applicazione della norma che prevede l’affidamento senza gara hanno determinato alcune difficoltà interpretative, risolte dalla Corte di giustizia prima nella sentenza del 2018, Antitrust e Coopservice, e per ultimo nella sentenza del 17 giugno 2021, Simonsen & Weel A/S c. Region Nordjylland og Region Syddanmark, causa C-23/20.

 

I soggetti parte dell’accordo quadro e dei contratti da aggiudicare

Al fine di concludere senza gara gli accordi successivi, dunque, solo per gli operatori economici è necessario essere parte, sin dall’inizio, dell’accordo quadro.

D’altra parte – come ha chiarito la Corte di giustizia nella sentenza Antitrust e Coopservice – il confronto competitivo ha ragione di esistere solo in relazione agli operatori economici e non anche alle amministrazioni aggiudicatrici. Peraltro, incoraggiare il ricorso agli accordi quadro costituisce uno degli scopi della normativa europea sugli appalti pubblici, in quanto essi consentono di migliorare l’efficienza degli appalti per mezzo delle economie di scala derivanti dall’aggregazione degli acquisti.

L’affidamento senza nuovo confronto competitivo, dunque, è consentito anche ove l’amministrazione aggiudicatrice che sarà parte del nuovo accordo sia solamente indicata tra i potenziali beneficiari dell’accordo quadro, già nei documenti di gara.

Nel precedente sistema normativo, la medesima conclusione era stata raggiunta per mezzo dell’interpretazione, da parte della Corte di giustizia, del previgente art. 32, par. 2, comma 2, della direttiva 2004/18/CE.

La direttiva prevedeva infatti che le procedure semplificate di aggiudicazione fossero applicabili solo tra le amministrazioni aggiudicatrici e gli operatori economici parte dell’accordo quadro. La medesima norma, di conseguenza, era contenuta all’art. 59, comma 3, del d.lgs. n. 163 del 2006 (il vecchio Codice appalti).

In relazione agli accordi conclusi nella vigenza di tale disciplina, il giudice amministrativo italiano si era dunque domandato se contrastassero con il diritto europeo le disposizioni nazionali che permettevano alle amministrazioni aggiudicatrici di farsi parte dei contratti conseguenti ad un accordo quadro, pur non essendo parte dell’accordo quadro originario.

 

La determinazione delle clausole relative ai contratti di appalto da aggiudicare ai sensi dell’accordo quadro

La nuova direttiva sugli appalti pubblici ha dunque chiarito la portata, sotto il profilo soggettivo, della norma che consente di affidare senza confronto competitivo i contratti conclusi sulla base di un accordo quadro.

Tuttavia, la nuova disposizione conserva la medesima formulazione della precedente, imponendo all’accordo quadro di definire le clausole degli appalti da aggiudicare, in particolare per quanto riguarda i prezzi e, “se del caso”, anche delle quantità previste (art. 33, par. 1, comma 2, della direttiva 2014/24/UE; art. 3, comma 1, lett. iii), del Codice appalti). Peraltro, ove l’accordo quadro sia stipulato con un solo operatore giuridico, la norma impone che gli appalti siano affidati nei limiti delle condizioni in esso fissate.

Potrebbe dunque ritenersi che l’utilizzo della locuzione “se del caso” renda non obbligatoria la determinazione delle quantità previste negli appalti collegati.

Sul punto, la Corte di giustizia ha offerto un primo chiarimento nella sentenza del 2018 Antitrust e Coopservice. In tale causa si dibatteva circa la possibilità che un accordo quadro non determini la quantità di prestazioni che le amministrazioni aggiudicatrici, non firmatarie dello stesso, possono richiedere al momento della conclusione degli accordi successivi. Ovvero, che tale quantità possa essere determinata facendo riferimento all’ordinario fabbisogno di tali amministrazioni.

La Corte ha allora chiarito che l’accordo quadro deve necessariamente indicare il valore complessivo degli accordi successivi. L’impegno assunto per mezzo dell’accordo quadro è dunque individuato entro una determinata quantità, superata la quale l’accordo esaurisce i suoi effetti.

Solo in questo modo può dirsi rispettato il principio di parità di trattamento e di non discriminazione che deve informare la procedura di aggiudicazione dell’appalto. Quest’ultima deve dunque svolgersi su condizioni e modalità formulate in modo chiaro, preciso e univoco nei documenti di gara, al fine di permettere a tutti gli offerenti di correttamente valutare i termini della propria partecipazione.

Inoltre, la mancata indicazione della quantità e del valore complessivi dell’accordo potrebbe determinare una suddivisione artificiosa dell’appalto, al fine di eludere le soglie previste dalla direttiva e, dunque, il rispetto delle norme europee.

Infine, la Corte ha chiarito che il mero riferimento all’ordinario fabbisogno delle amministrazioni aggiudicatrici individuate nell’accordo quadro potrebbe non essere sufficientemente esplicito, al fine di consentire una corretta formazione dell’offerta da parte di operatori provenienti da altre realtà geografiche. Peraltro, se si considera notoria la quantità complessiva che costituisce l’ordinario fabbisogno, il giudice europeo ritiene che essa possa essere facilmente menzionata nei documenti di gara, così da garantire il rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento.

 

La recente sentenza Simonsen & Weel

Con la recente sentenza Simonsen & Weel, la Corte di giustizia ha confermato la propria giurisprudenza, fornendo argomenti ulteriori, alcuni dei quali erano invero già delineati nelle conclusioni dell’Avvocato generale presentate nel caso Antitrust e Coopservice.

La Corte ha precisato che l’indicazione nell’accordo quadro del valore complessivo degli accordi successivi deve essere inteso quale quantità “e/o” come valore massimo.

L’amministrazione aggiudicatrice dovrà altresì indicare una quantità “e/o” un valore stimato dei prodotti da fornire in forza dell’accordo quadro, così da garantire alle concorrenti la possibilità di formare una offerta consapevole.

Le informazioni sul valore o sulla quantità massima e stimata possono essere affiancate altresì da requisiti aggiuntivi per la conclusione degli accordi successivi, ovvero possono essere suddivise in conformità alle esigenze delle amministrazioni aggiudicatrici. Allo stesso modo, i valori e le quantità complessive possono essere presentati separatamente, seppur nei medesimi documenti di gara, al fine di meglio precisare le specifiche esigenze delle amministrazioni che hanno espresso l’intenzione di partecipare all’accordo quadro.

 

Conclusioni

Le due sentenze, Antitrust e Coopservice e Simonsen & Weel, lasciano un margine di discrezionalità in capo alle amministrazioni aggiudicatrici. In effetti, nessuna delle due pronunce chiarisce se i documenti di gara devono indicare sia una quantità massima, o stimata, di prestazioni oggetto dell’appalto, sia il valore delle stesse. La Corte utilizza anzi il binomio di congiunzioni “e/o” per descrivere quantità e valore che devono essere indicati nei documenti di gara. D’altro canto, la formulazione della direttiva 2014/24/UE è chiara: l’accordo quadro definisce le clausole relative agli accordi da aggiudicare in relazione ai prezzi “e, se del caso”, anche in relazione alle quantità.

È altresì evidente che la scelta, bensì lasciata all’amministrazione aggiudicatrice, di scegliere tra la indicazione di una quantità massima o di un valore massimo, non può però essere completamente discrezionale. Essa deve infatti fondarsi sulle specifiche tecniche degli appalti, dovendo necessariamente essere funzionale al rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione, e di concorrenza.

In altre parole, i documenti di gara devono essere formulati in modo tale da consentire una consapevole formulazione dell’offerta da parte di ogni potenziale operatore economico. Ciò è tanto più vero quanto più è complesso l’oggetto della prestazione. Sembrerebbe dunque irragionevole, e non in linea con l’effetto utile della direttiva, consentire in qualunque situazione alle amministrazioni aggiudicatrici di basare l’accordo quadro su un valore massimo complessivo, senza determinare altresì le modalità di impegno degli operatori economici.

In effetti, nei casi in cui l’accordo quadro preveda prestazioni complesse, o variegate, la mera indicazione di un valore o di una quantità massimi complessivi potrebbe non consentire di determinare con precisione i margini di utile raggiungibili per mezzo dell’esecuzione dei contratti.

 

 

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