04 Aprile 2019

La disciplina delle riserve rimessa ai capitolati: “discrezione regolatoria”?

ROSAMARIA BERLOCO

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Abstract

Il d.m. 49/2018 che ha abrogato in parte il regolamento di cui al d.P.R. 207/2010 demanda alla stazione appaltante la disciplina in tema di riserve.
Ciò che nel previgente quadro normativo trovava un riscontro nel dato di legge oggi è conferito alla discrezione delle stazioni appaltanti.
Quid iuris nel caso in cui la stazione appaltante ometta di disciplinare la gestione delle riserve tra appaltatore e committente nel capitolato negoziale?

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Le modifiche apportate dal d.m. 49/2018

Come noto agli operatori del settore, una delle novità di maggior rilievo introdotte dal decreto sulla direzione lavori riguarda la disciplina delle riserve.

Il riferimento – forse ancora per poco vista la recente notizia della possibile abrogazione dell’attuale codice dei contratti pubblici - è al d.M. n. 49 entrato vigore il 30 maggio 2018 dal titolo “Approvazione delle linee guida sulla modalità di svolgimento delle funzioni del direttore dei lavori e del direttore dell’esecuzione”, che ha abrogato il regolamento di cui al d.P.R. 207/2010, prevedendo all’art. 9 che siano le stazioni appaltanti a disciplinare, nel capitolato negoziale, l’istituto della riserve.

Il che non vuol dire che la stazione appaltante abbia il potere di sopprimere tout court il diritto degli operatori di ricorrere a tale istituto visto che il decreto, come del resto lo stesso codice, contiene ancora diverse disposizioni sulle riserve (come ad esempio l’onere di iscrivere riserve sul registro di contabilità, previsto dall’art. 14, comma 1, lett. c) del decreto o di confermarle nel conto finale, ai sensi dell’art. 14, comma 1, lett. e)).

Tuttavia, di centrale importanza è senz’altro la mancata riproposizione delle norme che attengono alla formulazione delle riserve; per intenderci, manca ad oggi una disposizione sul termine di decadenza per l’esplicazione delle domande o sui requisiti che le riserve devono possedere per essere considerate valide ed efficaci – che invece trovavano puntuale riscontro negli articoli 190 e 191 del regolamento previgente.

Ciò che, dunque, nel previgente quadro normativo trovava un riscontro nel dato di legge oggi è conferito alla discrezione delle stazioni appaltanti, con la conseguente modifica della fonte della disciplina in tema di riserve oggi sottratta alla normativa di rango primario e affidata alla disciplina contrattuale.

Tale impostazione sembrerebbe essere stata criticata anche dal Consiglio di Stato che ha avuto modo di ribadire nel parere 12 febbraio 2018, n. 360,  “anche con riguardo a questa disposizione quanto osservato a proposito dell’art. 7, circa l’opportunità di prevedere che siano le stazioni appaltanti ad inserire nei capitolati speciali le norme contenute nel presente schema di regolamento, piuttosto che dettare direttamente la disciplina” .

Il che porta a ipotizzare che il Supremo Consesso abbia voluto segnalare l’opportunità che la disciplina delle riserve trovi la propria fonte nelle norme di legge, ancorché regolamentari, e non negli atti negoziali, nel senso di prevedere l’obbligo – e non una mera facoltà - per le stazioni appaltanti di riprodurre lo schema del d.M. nei capitolati d’appalto.

Le riserve “fai da te” e le possibili interpretazioni dell’art. 9

Il rischio è quello di trovarsi oggi dinanzi a “riserve fai da te” posto che, non essendoci uno schema di riferimento, la disciplina potrebbe variare di capitolato in capitolato.

Rischio tutt’altro che eventuale giacché dalla disamina di bandi predisposti nella vigenza del decreto preso in esame, alcuni capitolati nulla prevedono sul tema.

In tale ordine di idee, è doveroso chiedersi a quali regole fare riferimento nel caso in cui il capitolato non preveda una disciplina sulle riserve o preveda una disciplina solo parziale.

In dottrina, è stato ipotizzato che le norme e le prassi operative vigenti nel quadro normativo previgente possano essere utilizzate, anche ove non richiamate dal d.M. 49/2018 o non previste nel capitolato, poiché comunque compatibili con il quadro regolatorio in vigore.

A tale interpretazione, che sembra essere poco fedele al dato testuale della norma, potrebbe tuttavia replicarsi che in ogni caso le norme previgenti, sebbene apprezzabili, sono state abrogate e di conseguenza non sarebbe possibile farne applicazione.

Da altro lato, facendo leva sul principio della eterointegrazione, si potrebbe opinare che, anche in assenza di una disciplina sulle riserve nei capitolati, dovrebbe trovare applicazione il decreto ministeriale, che in ogni caso non ripropone le norme sulla formulazione delle domande come la previsione del termine di decadenza e quelle sui requisiti di contenuto.

Tuttavia, anche questa tesi sembra non avere un solido fondamento, si potrebbe infatti opporre che l’articolo 9 è chiaro nell’affidare alle stazioni appaltanti la disciplina in esame con la conseguenza che sole queste ultime potranno prevedere nel senso indicato.

Vi è infine l’ipotesi del ricorso ai principi di natura privatistica. E invero, in mancanza di una puntuale disciplina nel capitolato, e nella impossibilità di applicare il d.M. 49/2018 se non richiamato nel capitolato, come anche alle prassi operative del previgente quadro normativo, alle problematiche che potrebbero insorgere nelle more dell’esecuzione, proprio perché attinenti al contratto di appalto – che altro non è che un negozio giuridico - potrebbero applicarsi i principi di diritto privato.

Nell’esercizio dell’autonomia negoziale, quindi, l’appaltatore potrebbe formulare le contestazioni del caso secondo forme e modalità ritenute più opportune.

Ammettendo, da ultimo, che i capitolati prevedano in effetti una disciplina sulle riserve, considerato il gap normativo in ordine al “quando” e al “come” l’appaltatore deve formulare le domande – poiché, come detto, non si riscontra nel decreto una previsione in tal senso – le stazioni appaltanti dovrebbero in ogni caso tenere conto della finalità dell’istituto che, come riconosciuto in giurisprudenza, garantisce alla stazione appaltante una pronta e compiuta verifica sui fatti suscettibili di produrre spesa. E così, ad esempio, nel predisporre la menzionata disciplina nei capitolati, non si potrebbe – dovrebbe - prescindere dalla individuazione del momento di decorrenza dell’onere di iscrivere riserva e del termine entro cui va esplicata.

A tale proposito, vista la discrezionalità rimessa alle stazioni appaltanti nella predisposizione di tale disciplina, potrebbe accadere che, in relazione al “quando”, vengano previsti termini ridotti tali da rendere eccessivamente difficile per l’esecutore l’esercizio del diritto. Analogo discorso potrebbe valere in relazione alle modalità di iscrizione della riserva o al suo contenuto.

Anche in tal caso, le amministrazioni avranno ampio margine nel dettagliare cosa l’esecutore sia tenuto a indicare in sede di apposizione della riserva, con il rischio che si profili un livello di dettaglio eccessivamente stringente, con la naturale conseguenza, in entrambi i casi prospettati, di un aumento del contenzioso in ordine alla eventuale illegittimità delle relative clausole contrattuali.

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