05 Aprile 2023

La prova della partecipazione ad un’intesa restrittiva della concorrenza

ANTONELLA BORSERO

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Abstract

Con la sentenza n. 690 del 20 gennaio 2023, il Consiglio di Stato ha ricordato che, in materia di intese restrittive della concorrenza, singoli comportamenti delle imprese (ciascuno dei quali, considerato di per sé, potrebbe apparire privo di specifica rilevanza) possono rivelarsi elementi di una fattispecie complessa, costitutiva di un’unica infrazione, riconducibile in parte al concetto di “accordo”, in parte a quello di “pratica concordata”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 101 del TFUE e degli artt. 1, 2 e 3 della Legge 10 ottobre 1990, n. 287.

In tale situazione “i dati singoli debbono essere considerati quali tasselli di un mosaico, i cui elementi non sono significativi di per sé, ma come parte di un disegno unitario qualificabile come intesa restrittiva della libertà di concorrenza o abuso di posizione dominante”.

In tal senso, ai fini probatori, è sufficiente che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in breve “AGCM”) “tracci un quadro indiziario coerente ed univoco, a fronte del quale spetta ai soggetti interessati fornire spiegazioni alternative alle conclusioni tratte nel provvedimento accertativo della violazione concorrenziale”.

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La notizia

L’art. 101, par. 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (e, allo stesso modo, l’art. 2, comma 1, della Legge n. 287/1990) dispone che “sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le decisioni di associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra Stati membri e che abbiano per oggetto o per effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza all’interno del mercato interno ed in particolare quelli consistenti nel:

  1. fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni di transazione;
  2. limitare o controllare la produzione, gli sbocchi, lo sviluppo tecnico o gli investimenti;
  3. ripartire i mercati o le fonti di approvvigionamento;
  4. applicare, nei rapporti commerciali con gli altri contraenti, condizioni dissimili per prestazioni equivalenti, così da determinare per questi ultimi uno svantaggio nella concorrenza;
  5. subordinare la conclusione di contratti all’accettazione da parte degli altri contraenti di prestazioni supplementari, che, per loro natura o secondo gli usi commerciali, non abbiano alcun nesso con l'oggetto dei contratti stessi”.

Con la sentenza n. 690 del 20 gennaio 2023 il Consiglio di Stato torna sul tema correlato alle modalità probatorie esperibili ed utili a dimostrare l’esistenza di una intesa restrittiva della concorrenza tra imprese, richiamando i molteplici principi affermati dallo stesso Giudice amministrativo con riferimento alla fattispecie in questione.

Citando alcuni dei precedenti più recenti, il Collegio rammenta che “l’accertamento di un’intesa anticoncorrenziale non richiede che essa risulti da documenti o da altri elementi probatori fondati su dati estrinseci e formali, essendo all’uopo sufficiente anche una prova indiziaria, purché gli indizi siano gravi, precisi e concordanti” (Cons. Stato, sez. VI - 10/01/2020, n. 236).

Più nello specifico, “ai fini dell’accertamento di un’intesa anticompetitiva tra imprese è necessario predisporre un’analisi complessa ed articolata, che deve tenere conto di tutti gli elementi di prova acquisiti nella loro interezza e nella correlazione reciproca che lega gli uni agli altri” (Cons. Stato, sez. VI - 03/01/2020, n. 52).

In tal senso, “la ricostruzione della fattispecie collusiva postula una valutazione globale delle prove acquisite, al fine di dare evidenza dell’intero assetto dei rapporti intercorrenti tra le imprese; ciò esclude la possibilità di parcellizzare i singoli elementi probatori sulla base di una considerazione meramente atomistica degli stessi”, dovendosi, invece, considerare questi ultimi alla stregua di “tasselli che si inseriscono in un quadro complessivo indiziario idoneo a provare l’intesa stessa” (Cons. Stato, sez. VI - 10/01/2020, n. 236; Cons. Stato, sez. VI - 02/09/2019, n. 6022).

 

Lo svolgimento dei giudizi che hanno condotto alla pronuncia in esame

La vicenda sottoposta all’attenzione del Consiglio di Stato prende le mosse dal giudizio instaurato avanti il TAR Lazio per l’annullamento di un provvedimento dell’AGCM con il quale l’Autorità, rilevando un’intesa restrittiva della concorrenza, vietata ai sensi dell’art. 101 del TFUE e della Legge n. 287/1990, nel mercato della produzione e commercializzazione di fogli in cartone ondulato, aveva comminato alla società ricorrente una sanzione pecuniaria pari ad € 3.658.077,00, ingiungendo altresì alla medesima di astenersi in futuro dal porre in essere comportamenti analoghi a quelli oggetto dell’infrazione accertata.

Il TAR Lazio, con la sentenza n. 6040 del 24 maggi 2021, aveva respinto il ricorso, sostenendo, in breve, che:

  • l’esistenza di una pratica concordata, considerata l’inesistenza o la estremamente difficoltosa possibilità di acquisire la prova di un accordo espresso tra i concorrenti, viene ordinariamente desunta dalla ricorrenza di determinati indici probatori dai quali inferire la sussistenza di una sostanziale finalizzazione delle singole condotte ad un comune scopo di restrizione della concorrenza, essendo, pertanto, ammesso “il ricorso a prove indiziarie, purché le stesse, come più volte affermato in giurisprudenza, si fondino su indizi gravi, precisi e concordanti”;
  • in materia probatoria va considerata la distinzione tra:
  1. elementi di prova endogeni, afferenti all’anomalia della condotta delle imprese, non spiegabile secondo un fisiologico rapporto tra di loro;
  2. elementi di prova esogeni, quali l’esistenza di contatti sistematici tra le imprese e scambi di informazioni.
  • nel caso di elementi di prova endogeni, la prova dell’irrazionalità delle condotte grava sull’AGCM, mentre nel caso di elementi di prova esogeni l’onere probatorio contrario viene spostato in capo all’impresa.
  • nel caso esaminato “la dimostrazione dell’esistenza delle intese e della partecipazione della ricorrente [era] affidata a un robustissimo quadro probatorio, composto da plurime evidenze di tipo esogeno riguardanti in particolar modo l’esistenza di ripetuti contatti tra le parti, la cui significatività [risultava] corroborata dalle dichiarazioni rilasciate da una pluralità di leniency applicants”.

Il quadro probatorio prodotto dall’Autorità, secondo il giudizio del TAR, non era stato superato dalle doglianze mosse dalla società ricorrente.

 

Conclusione

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 690/2023, nell’accogliere - limitatamente alla richiesta di ri-quantificazione della sanzione comminata dall’AGCM - l’appello proposto dalla società ricorrente in primo grado, ha confermato l’orientamento consolidato secondo cui, in materia di intese restrittive della concorrenza, ai fini probatori, è sufficiente che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato “tracci un quadro indiziario coerente ed univoco, a fronte del quale spetta ai soggetti interessati fornire spiegazioni alternative (lecite) alle conclusioni tratte nel provvedimento accertativo della violazione concorrenziale”.

Anche alla luce di tale pronuncia, per le imprese che operano nel mercato pubblico si rende fondamentale l’implementazione e l’aggiornamento del sistema di compliance antitrust aziendale che, introducendo la cultura della concorrenza e la sensibilità per le sue dinamiche, costituisce l’unico efficace strumento di prevenzione di situazioni potenzialmente idonee ad essere ricostruite in termini di “quadro indiziario coerente ed univoco.

 

L'articolo è stato redatto a quattro mani con l'Avv. Andrea Castelli, dello Studio Legale Merani Amministrativisti.

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