03 Marzo 2023

Lidia Poët e la questione di genere nell’avvocatura di oggi

MANFREDI CAMICI

Immagine dell'articolo: <span>Lidia Poët e la questione di genere nell’avvocatura di oggi</span>

Abstract

La legge di Lidia Poët, serie italiana targata Netflix, è un racconto di emancipazione femminile. La storia gira intorno alla lotta che la prima avvocata italiana ha dovuto compiere per vedersi riconoscere il diritto a esercitare la professione forense. A 140 anni dall’annullamento dell’iscrizione all’albo di Lidia Poët da parte dei giudici della Corte d’Appello di Torino, quanto è cambiato? Esiste ancora una questione di genere nell’avvocatura e quali sono i problemi che le donne devono affrontare?

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La storia di Lidia Poët

Il 2023 è l’anno della riscoperta di Lidia Poët, la prima avvocata d’Italia che nel 1883 si è vista annullare dai giudici della Corte d’Appello di Torino l’iscrizione all’albo per il semplice fatto di essere donna. Nell’Italia di fine Ottocento non c’era bisogno di divieti espliciti per negare l’esercizio della professione forense alle donne, dal momento che era impensabile che una di loro potesse diventare avvocata: «L’avvocheria è un ufficio esercibile soltanto da maschi e nel quale non devono punto immischiarsi le femmine […] È troppo ardita la pretesa di voler trovare una dichiarazione nel senso che il diploma ottenuto da una donna basti per far nascere la capacità relativa all’esercizio della professione dell’avvocato». Queste sono alcune delle motivazioni scritte dai Giudici 140 anni fa. Solo all’età di 65 anni, nel 1920, Lidia poté tornare a esercitare la professione e a usare il titolo di avvocato. Sostenitrice e presidente del comitato per il diritto di voto alle donne e il suffragio universale, la vita di Poët è emblematica delle battaglie per l’emancipazione femminile e per il riconoscimento dei diritti dei detenuti, degli emarginati e dei più poveri.

Ma cos’è che spinge a riscoprire questa figura a quasi un secolo e mezzo di distanza? Lidia Poët, infatti, è la protagonista della serie Netflix La legge di Lidia Poët, legal drama italiano che sta avendo un successo globale, entrando nella top 10 delle serie più viste in ben 55 Paesi. E non c’è solo la serie, nell’arco di un anno sono usciti in libreria anche 4 titoli dedicati alla vita di Lidia Poët, l’ultimo è Lidia e le altre, pari opportunità ieri e oggi: l’eredità di Lidia Poet, edito da Guerini e scritto da Chiara Viale con la presentazione dell’ex ministra della Giustizia, Marta Cartabia. Un interesse, quello verso la figura di Poët, che testimonia la sensibilità della nostra società e l’attenzione del pubblico per la questione femminile. Ma qual è oggi la condizione delle donne avvocate?

 

La parità di genere: una questione ancora aperta?

Nella serie Netflix vediamo la protagonista lottare contro i pregiudizi di una società che le impedisce di svolgere la professione, compresi quelli dei clienti che sono disposti a sceglierla solo come ultima spiaggia e soprattutto per il semplice fatto che la parcella di una donna è più bassa di quella di un uomo. Quanto è cambiata la situazione? Se pensiamo che nel 1920 Lidia Poët è stata la prima avvocata e che nel 1985 solo il 9,2% degli avvocati era donna, possiamo dire che si è assistito a un notevole progresso in quanto ad oggi il 47,7% di chi svolge la professione forense è donna a fronte del 52,3% di uomini. In termini assoluti, parliamo di 126.580 uomini e 115.250 donne, anche se le tendenze illustrano che a breve ci sarà il sorpasso. Si potrebbe dire quindi che la parità tra la condizione maschile e femminile nella professione forense sia quasi raggiunta. Ma è davvero così?

 

Il gender gap: uguaglianza formale e disuguaglianza sostanziale

Se i numeri assoluti sono incoraggianti non è però il caso di esultare perché, se è vero che un miglioramento della condizione femminile c’è stato, è altrettanto vero che questo riguarda l’uguaglianza formale e non sostanziale. I dati che emergono dal Rapporto Censis sull’Avvocatura 2022 testimoniano una profonda differenza di reddito tra la componente maschile e quella femminile. Ancora oggi, infatti, la differenza di reddito medio tra un uomo e una donna è tale che occorre sommare il reddito di due donne per arrivare al reddito percepito da un uomo. In altre parole, un avvocato maschio guadagna in media 51.000 euro contro i 23.576 di una collega, ovvero più del doppio. Il dato è sicuramente condizionato dal fatto che le donne sono in prevalenza giovani, ma questo non basta a spiegare il fenomeno. È vero che gli avvocati con un’età compresa fra i 35 e i 39 anni raggiungono un reddito medio pari a circa 23mila euro, ma l’importo relativo agli uomini si attesta intorno ai 30mila euro, mentre quello delle donne supera di poco i 17mila euro. Un divario che aumenta con l’età: va peggio tra i 55-59 anni dove una donna guadagna in media poco meno di 32mila euro contro i 70mila del collega.

 

Una questione che va al di là della professione forense

Nella serie Netflix Lidia è costretta a destreggiarsi tra i pregiudizi dei clienti, reticenti a lasciare il caso nelle mani di una donna, e le pressioni della famiglia incarnate nella figura di Teresa Barberis, moglie del fratello Enrico per cui Lidia fa l’assistente, affinché si adegui a quello che dovrebbe essere la “normalità” per una donna: il lavoro di cura. Ancora oggi, infatti, il mancato raggiungimento dell’uguaglianza formale tra uomo e donna nella professione forense è dovuto proprio al lavoro di cura che la società più in generale associa e richiede alla figura femminile. La crisi generata dalla pandemia ha avuto un impatto differente in base al genere. Nel 2021, per la prima volta, le donne neoiscritte risultano inferiori a quelle che hanno optato per la cancellazione dalla Cassa, con un saldo negativo di circa 1.900 unità. La crisi pandemica, infatti, ha esposto maggiormente le donne che per il 65,7% definiscono questa fase molto o abbastanza critica, a fronte del 56,9% degli uomini. Non a caso, il 37,3% delle donne sta pensando di lasciare la professione, contro il 28,3% degli uomini. Un problema che ovviamente non riguarda soltanto la professione forense, ma che colpisce le professioniste in quanto donne. Spetta alle donne gran parte del lavoro di cura e quindi è evidente come si riversi soprattutto su di loro la difficoltà di conciliare la propria professione con gli impegni familiari e non solo.

 

Prassi concrete per l’uguaglianza di genere

Il successo della serie testimonia ancora una volta l’attenzione della nostra società verso un tema, quello della parità di genere, che non può essere trascurato dal mondo legal. Gli Studi professionali più lungimiranti sono quelli che hanno adottato misure per supportare la genitorialità e il work-life-balance. La genitorialità non può più essere vista come un ostacolo, bensì come un’opportunità di crescita. Sono moltissimi, infatti, gli studi che hanno evidenziato come al miglioramento della qualità di vita del professionista corrisponda una ricaduta positiva anche sul piano della produttività. In questo senso, garantire alle donne misure di supporto alla genitorialità e un migliore work-life-balance consente di aumentare la competitività dello studio professionale, migliorandone le performance. Solo in questo modo è possibile non disperdere quei talenti che altrimenti sarebbero costretti ad abbandonare il mondo del lavoro, raggiungendo un’uguaglianza di genere non solo formale, ma anche sostanziale.

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