28 Dicembre 2022

USA: tasso di diversity nelle Law School mai così alto

REDAZIONE

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Abstract

Anno accademico da record per le facoltà di giurisprudenza negli Stati Uniti: con quasi il 37% di matricole appartenenti a minoranze etniche e razziali, la classe 2022 è quella con il più alto tasso di diversity di sempre. La notizia arriva proprio quando alla Corte Suprema si discute il futuro dell’Affirmative Action, il sistema legislativo che da oltre 50 anni contribuisce all’inclusione di gruppi sottorappresentati all’interno di università e luoghi di lavoro.

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La nuova classe di Giurisprudenza è la più multietnica della storia degli Stati Uniti. È quanto emerge dallo “Standard 509”, il report redatto annualmente dall’American Bar Association (ABA), l’organizzazione di avvocati più grande del Paese, insieme alle 196 Law School accreditate. Pubblicato lo scorso 19 dicembre, il documento entra nel dettaglio di dimensione e composizione delle nuove classi di studenti, mettendo in luce aree di progresso e trend emergenti che potrebbero determinare il futuro della formazione legale e, in senso più ampio, dell’intero sistema di giustizia statunitense.

 

Law School: la fotografia nel dettaglio

Dall’analisi dell’ABA si evince che sono circa 38.000 i nuovi iscritti a Legge negli Stati Uniti. Un “ritorno alla normalità”, dopo il boom di iscrizioni del 2021. Di questi, ben il 36,6% (+1,9% rispetto al 2021) dichiara di identificarsi in una delle seguenti etnie:

  • Nativi americani o d’Alaska;
  • Asiatici;
  • Afroamericani;
  • Indigeni canadesi;
  • Ispanici/Latinoamericani;
  • Nativi hawaiani o di altre isole del Pacifico;
  • Appartenenti a più etnie.

Se si includono nel quadro anche le comunità arabe, mediorientali e nordafricane, solitamente comprese nella categoria bianchi/caucasici, la percentuale generale – in costante aumento dal 2019 – sale a 39%.

A integrazione del quadro, il report fornisce anche dati sulla diversità di genere. Su questo punto, nessun grande stravolgimento rispetto agli anni scorsi. Le donne continuano a essere più degli uomini (55,3% contro 42,5%) mentre lo 0,6% dei nuovi studenti si identifica come transgender, non binary, queer o gender fluid. Il 14% si dichiara inoltre LGBQ+, cioè non eterosessuale.

Una fotografia chiara – seppur non completa, specificano le fonti – specchio di una società che, soprattutto alla luce degli avvenimenti dell’ultimo biennio, pone sempre più attenzione alle tematiche di diversità, inclusione e uguaglianza.

 

Diversità = uguaglianza

I dati messi in luce dal report 2022 dell’ABA segnalano un importante passo in avanti sui temi di D&I nelle facoltà di giurisprudenza degli USA. Diverse sono però le questioni su cui continuare a lavorare.

Gli studenti appartenenti a minoranze etniche o razziali sono, infatti, storicamente anche quelli con le disparità economiche più significative. Stando alle stime dell’organizzazione non profit Law School Admission Council (LSAC), che si occupa tra le altre cose di fornire assistenza tecnica e finanziaria a nuovi aspiranti studenti, il 58,1% delle persone che nel 2022 ha ricevuto supporto di qualsiasi natura nelle procedure di ammissione proveniva proprio da minoranze.

Emerge quindi forte la necessità di continuare a tener conto delle esigenze degli studenti per poter rispondere in maniera sempre più mirata e tempestiva.

Il tema è di importanza cruciale in quanto contribuisce, in un sistema come quello statunitense ancora molto elitario, in prima istanza a un accesso all’istruzione più equo, in seconda battuta, a un mercato del lavoro più diversificato, in terzo e ultimo luogo, a una giustizia più rappresentativa.

 

A rischio lo storico sistema di contrasto alle discriminazioni razziali

La questione si fa ancor più attuale oggi alla luce dei più recenti sviluppi sull’Affirmative Action, lo strumento nato nel 1964 allo scopo di garantire pari opportunità alle persone appartenenti a gruppi minoritari attraverso un sistema di “quote” nelle procedure di ammissione alle università, di assunzione e nelle gare di appalti governativi.

Altamente controverso, spesso al centro del dibattito sul razzismo sistemico negli Stati Uniti, tale sistema viene oggi nuovamente portato all’attenzione pubblica dall’associazione Students for Fair Admissions (SFFA), che cita in causa l’università di Harvard e l’università della Carolina del Nord (UNC). Sotto la lente, c’è la costituzionalità del sistema, tacciato di “discriminazione al contrario”, nei confronti cioè dei gruppi non minoritari.

La questione è stata quindi di recente sottoposta alla Corte Suprema, la cui sentenza è attesa la prossima estate. Niente di nuovo, si potrebbe dire: nel corso dei decenni, l’Affirmative Action è stato più volte messo in discussione. Inedita, però, l’attuale composizione a maggioranza conservatrice della Corte che potrebbe portare per la prima volta a favorire la posizione del querelante, con conseguenze importanti non solo per il sistema scolastico, ma anche per le politiche di assunzione e di assegnazione di appalti pubblici negli Stati Uniti. In particolare, secondo il New York Times, «un’eventuale eliminazione del sistema si rifletterebbe a livello nazionale in una diminuzione della rappresentanza di studenti neri e latini nelle università e in un rafforzamento della rappresentanza di bianchi e asiatici».

Molte le proteste e le manifestazioni degli studenti a difesa della diversità nel corso delle ultime settimane. Il timore è che, come per la sentenza “Roe v. Wade”, a guidare le decisioni della Corte siano ragioni apparentemente politiche più che valutazioni giuridiche puntuali e imparziali.

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