07 Dicembre 2018

Gestire i conflitti in studio conviene, ecco le regole

IACOPO SAVI

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Abstract

Lo studio professionale è un organismo vivente costituito da una pluralità di persone, ognuna portatrice della propria individualità. La pulsione vitale dell’organizzazione è alimentata dalle interazioni tra i partecipanti, interazioni relazionali a vari livelli, sia strettamente professionali che profondamente personali.

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Quando si parla di persone e di interazioni relazionali, sia che si limitino a comunicazioni di servizio sia che si estendano a rapporti al di fuori delle mura, risuona nella mente il “timore” dell’esplosione del conflitto. Il conflitto, del resto, è condizione naturale di ogni interazione umana, in quanto ogni qual volta due idee si incontrano, sorge un conflitto.

La parola conflitto deriva dal latino cum-fligere, il cui significato è duplice, come duplice è il suo uso. Se il verbo viene utilizzato in modo transitivo significa: “far incontrare” se, viceversa, viene utilizzato in modo intransitivo assume il significato di “urtare”. Il conflitto, quindi, è come la natura, non è buono o cattivo in sé e per sé considerato, il conflitto “è”; il valore, positivo o negativo, dell’esperienza che ne facciamo è determinato dal modo con cui viene affrontato.

In quest’ottica, all’interno di una organizzazione complessa, il conflitto non va temuto o silenziato, va gestito; per farlo è utile avere delle regole cui affidarsi per poter influire positivamente sull’esperienza conflittuale affinché il conflitto sorto possa sprigionare la propria forza creatrice.

I conflitti strutturali – termine con cui si usa indicare il conflitto all’interno delle organizzazioni –richiedono un approccio differente, rispetto ai conflitti inter-personali o intra personali. L’atteggiamento che fa da base alle regole è “controintuitivo” il titolare dello studio, partner o team leader deve agire da Mediatore e non da boss; non deve approcciare il conflitto su di una base gerarchica. Imporre la propria soluzione, apparentemente, pone termine alla contesa, non è altro che “nascondere la polvere sotto il tappeto”. L’effetto è negativo sotto un duplice aspetto, da un lato impedisce che vengano incanalate efficacemente le energie e, dall’altro, ben presto lo scontro riesploderà più forte di prima. Il leader deve accompagnare i confliggenti a trovare la soluzione efficace per il loro caso specifico.

Come farlo?

Anzitutto affrontando la situazione di crisi! Spesso, infatti, un po' trascinati dalle emergenze quotidiane ed un po' per la spinta evitante dentro ciascuno di noi, la crisi non viene affrontata e la soluzione viene affidata al caso ed alla maturità dei confliggenti adulti (è bene tenere a mente che durante un conflitto l’emotività regredisce le parti all’età infantile). Il conflitto, lasciato libero e senza regole, può determinare uno (e talvolta tutti) di questi tre effetti: escalation, effetto a catena ed interiorizzazione; ognuno dei quali determina un peggioramento del clima del gruppo, delle prestazioni, della coesione e del rispetto reciproco e, dunque, della tenuta stessa dello studio.

Le situazioni di crisi vanno affrontate tempestivamente. Se ignorato un disagio o una incomprensione che avrebbe potuto essere gestita rapidamente ed efficacemente con effetti positivi in capo a tutto il team, si aggrava, grazie all’opera del risentimento, ed evolvere aggravando l’intensità per giungere a quello che viene definito il “collettivo nell’abisso” (Gasl, 1941),  ovvero le parti coinvolte sono disposte a pagare qualsiasi prezzo, compresa la propria distruzione, pur di distruggere l’altro. Un prezzo particolarmente elevato che lo studio dovrebbe pagare per un disagio o una incomprensione.

Nell’affrontare tempestivamente la crisi devono essere indagate le reali cause del conflitto, ovvero ogni elemento che gli attori dell’interazione conflittuale nascondono dietro alle rispettive pretese/posizioni, per farlo il capo mediatore deve utilizzare l’ascolto attivo e l’uso delle domande aperte offrendo ai contendenti uno spazio sicuro ove esprimersi liberamente. Offrendo questo spazio sicuro significa dare importanza e valore a ciascuna delle parti coinvolte che si sentirà ancor di più parte attiva dello studio/team.

Buona abitudine ed abilità da acquisire è la capacità di disinnescare le emozioni attraverso la “pulizia” del linguaggio; le persone tendono a reagire alle situazioni parlando senza filtro, sia esso verbale che para-verbale. Non è raro sentire concetti “normali” espressi con toni che stimolano una risposta emotiva non efficace (risentimento, sarcasmo ecc.) e tali modalità non aiutano certo alla efficace gestione di un conflitto.  Il leader/mediatore deve essere in grado di riformulare, ovvero di ripulire il linguaggio di ciascuna parte da tutto ciò che può alimentare l’effetto distruttivo del conflitto per potere restituire all’altra il contenuto del messaggio in maniera tale per cui sia rapidamente comprensibile.

In questo senso il leader trasporta e traduce le informazioni in maniera tale che ciascuno sia messo nelle condizioni di comprendere l’altro. Ripulire il linguaggio permette di spostare l’attenzione degli attori alla soluzione del problema piuttosto che sul problema stesso.

Poche regole chiare da utilizzare all’interno dello studio per gestire efficacemente i conflitti che potrebbero sorgere all’interno dello stesso. Alcune università, attente a questi elementi, hanno già attivato corsi interni o post-universitari che permettono di acquisire ed approfondire queste competenze ed abilità. Fin dall’università è utile acquisire quelle competenze proprio della professione di mediatore che permetteranno, nel futuro, di intervenire a sostegno del proprio studio nella gestione dei conflitti.

Acquisire tali abilità diviene sicuramente un vantaggio competitivo per il singolo e per lo studio che lo accoglierà nei propri ranghi.

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