16 Marzo 2020

Emergenza COVID-19 e disapplicazione delle sanzioni fiscali: art. 6, c. 5, D.Lgs. n. 472/1997 e prova della forza maggiore

GIOVANNI MERCANTI

Immagine dell'articolo: <span>Emergenza COVID-19 e disapplicazione delle sanzioni fiscali: art. 6, c. 5, D.Lgs. n. 472/1997 e prova della forza maggiore</span>

Abstract

                                   Aggiornato al 14.03.2020

L’emergenza nazionale da Covid-19 ha per taluni comportato impossibilità di rispettare le scadenze fiscali per comunicazioni o versamenti, vuoi per ragioni di salute, vuoi per l’impossibilità di circolare, vuoi per crisi indotta di liquidità.

Per evitare le conseguenti sanzioni, sembra possibile, in alcune situazioni e con adeguati elementi probatori, invocare l’art. 6 D.Lvo 472/1997, rubricato “cause di non punibilità”, il cui comma 5 stabilisce che “Non è punibile chi ha commesso il fatto per forza maggiore”.

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L’esimente nell’ordinamento tributario italiano

Per l’art. 6, co. 5, D.Lvo 472/1997 la forza maggiore è causa di non punibilità delle violazioni tributarie e rende inapplicabili le sanzioni.

La Suprema Corte ha affermato[1] che la forza maggiore «comporta la sussistenza di un elemento oggettivo, relativo alle circostanze anormali ed estranee all’operatore, e di un elemento soggettivo, costituito dall’obbligo dell’interessato di premunirsi contro le conseguenze dell’evento anormale, adottando misure appropriate senza incorrere in sacrifici eccessivi». Inoltre, «sotto il profilo naturalistico, la forza maggiore si atteggia come una causa esterna che obbliga la persona a comportarsi in modo difforme da quanto voluto, di talché essa va configurata, relativamente alla sua natura giuridica, come una esimente poiché il soggetto passivo è costretto a commettere la violazione a causa di un evento imprevisto, imprevedibile e irresistibile, non imputabile a esso contribuente, nonostante tutte le cautele adottate».

La forza maggiore presuppone un elemento oggettivo, rappresentato da eventi o circostanze anormali ed estranee al contribuente, e un elemento soggettivo, rappresentato dalla ragionevole impossibilità per il contribuente di premunirsi contro tali eventi o circostanze e di reagire[2].

 

La prova della forza maggiore

Ai fini dell’art. 6 non è sufficiente evocare l’evento pandemico. Perché sia valida, la forza maggiore deve essere esterna, imprevedibile e anomala, ma pure verificarsi al di fuori della possibilità d’azione del contribuente, senza che a questo si possa rimproverare il non essersi cautelato o non aver reagito.

Quanto al profilo oggettivo, le circostanze anormali ed estranee al contribuente potrebbero essere distinte in tre: impedimento fisico (ricovero, quarantena, banca irraggiungibile o chiusa; impossibilità di recuperare il token o i codici); mutamento delle priorità (obblighi di assistenza a terzi o preoccupazione per questi); mancanza di liquidità.

Quanto al profilo soggettivo, differenziamo tra persone fisiche e persone giuridiche, essendo quest’ultime generalmente tenute a dotarsi di un impianto organizzativo adeguato ad assicurare lo svolgimento delle funzioni amministrative.

L’impedimento fisico potrà più ragionevolmente essere invocato dalle persone fisiche, che dovranno fornirne prova mediante la documentazione attestate il ricovero o l’ordine di quarantena[3]. In quest’ultimo caso, potrebbe essere utile argomentare circa l’indisponibilità nella propria abitazione degli strumenti per i pagamenti online (non necessario, ovviamente, per coloro confinati fuori casa, ad esempio su navi da crociera o hotel). Diversa la situazione per i contribuenti che non sono totalmente impossibilitati a muoversi, ma che per effettuare il pagamento avrebbero dovuto entrare in una zona rossa o comunque lasciare l’abitazione e recarsi sul luogo di lavoro. Se la zona di destinazione era interdetta, la necessità probatoria sarà soddisfatta con il semplice riferimento ai provvedimenti legislativi o amministrativi che hanno chiuso l’area. Per chi, invece, abbia fatto scelte di prudenza, ritenendo che l’obbligo di versare le imposte non costituisca situazione di necessità che giustifichi l’uscita da casa, immagino che tale convincimento possa essere meglio apprezzato se sostanziato dai particolari dati di progressione del virus nella specifica zona e dalle interpretazioni dei limiti alla circolazione fornite dalle amministrazioni locali[4].

Questi suggerimenti valgono anche per le persone giuridiche, con l’avvertenza che se queste sono dotate di una struttura organizzativa, gli obblighi di diligenza vengono apprezzati in modo più rigoroso. Ad esempio, il ricovero del responsabile amministrativo, ancorché documentalmente provato, potrebbe non essere ritenuto forza maggiore.

Sempre per le sole persone fisiche (o per le persone giuridiche prive di organizzazione) la forza maggiore potrebbe rinvenirsi nell’attenzione richiesta dalle condizioni di un familiare[5]. Certamente in questa ipotesi, sarà utile dimostrare documentalmente sia il legame di parentela e affinità[6] sia la situazione di salute critica, previo superamento dei limiti di privacy del paziente.

Quanto alla mancanza di liquidità come ipotesi di forza maggiore, le necessità probatorie paiono due. La prima è fornire dimostrazione della mancanza di liquidità. La seconda è evidenziare il nesso causale tra liquidità e situazione epidemica, specificando episodi, fatti e soggetti. Due le prospettive ipotetiche. La prima è l’impossibilità di incassare, nei termini ragionevolmente previsti, i crediti a causa la chiusura per coronavirus del cliente debitore[7]. La seconda è l’interruzione dell’attività per malattia propria o dei dipendenti oppure in conseguenza di provvedimento autoritativo[8].

 

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