20 Dicembre 2019

Risparmio sui costi della sicurezza sul lavoro: è socialmente responsabile il datore

MARCELLA DE TRIZIO

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Abstract

Nonostante sia ormai ultradecennale la normativa che ha introdotto la responsabilità amministrativa del datore di lavoro ex D.Lgs. 231/2001 per omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro, ancora troppo spesso si leggono pronunce giurisprudenziali di condanna di aziende che non hanno adottato misure organizzative utili ad evitare il rischio in questione.

Tra le più recenti si richiama la sentenza n. 39713 del 27 settembre 2019 con cui la Corte di Cassazione penale condanna il datore di lavoro - ex D.Lgs. 231/2001 – per il reato di lesioni personali colpose gravi con violazione della disciplina antinfortunistica ex art. 590 c. 3, c.p.

La pronuncia - in sé stessa non particolarmente innovativa - appare tuttavia utile a rammentare l’importanza dell’adozione di un modello organizzativo, di un codice etico e di un codice disciplinare tagliati su misura rispetto alle esigenze aziendali, in considerazione del fatto che i criteri di imputazione oggettiva del reato all’ente consistenti nell’”interesse” e nel “vantaggio” (richiesti dall’art. 5 del decreto legislativo 231/2001 affinché si possa configurare la responsabilità amministrativa dell’ente) possono essere dall’organo giudicante rinvenuti anche nel risparmio sui costi della sicurezza o – quel che è più grave – in concetti aleatori come “il disinteresse aziendale per il tema della sicurezza sul lavoro”.

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La dinamica del sinistro

La dinamica del sinistro che ha dato luogo all’infortunio è fra le più comuni nei settori non solo produttivi ma anche commerciali.

Un dipendente impiegato con mansioni di aiuto elettricista - assunto un mese prima dell’infortunio e senza una rilevante pregressa esperienza – mentre svolgeva lavori in un cantiere dentro un centro commerciale in costruzione all'altezza di quattro metri, cadeva dal trabattello (un mini-ponteggio) procurandosi lesioni gravi. La tavola di legno costituente il piano di calpestio, infatti, non era adeguatamente fissata.

Nel corso del giudizio veniva accertato che al dipendente (che é risultato avere solo una pregressa minima esperienza come aiuto elettricista) non era stata assicurata una formazione adeguata e sufficiente. Emergeva, inoltre, che il lavoratore non era stato visitato dal medico competente al momento dell'assunzione.

 

Condotte da evitare: il risparmio di spesa

In particolare, ad avviso della Corte di Cassazione, in tema di responsabilità degli enti derivante da reati colposi di evento in violazione della normativa antinfortunistica, i criteri di imputazione oggettiva rappresentati dall'interesse e dal vantaggio, da riferire entrambi alla condotta del soggetto agente e non all'evento, ricorrono, rispettivamente:

- il primo, quando l'autore del reato abbia violato la normativa cautelare con il consapevole intento di conseguire un risparmio di spesa per l'ente, indipendentemente dal suo effettivo raggiungimento,

- e, il secondo, qualora l'autore del reato abbia violato sistematicamente le norme antinfortunistiche, ricavandone oggettivamente un qualche vantaggio per l'ente, sotto forma di risparmio di spesa o di massimizzazione della produzione, indipendentemente dalla volontà di ottenere il vantaggio stesso[1].

L'interesse ed il vantaggio per l'ente sono criteri alternativi tra di loro[2].

 

Prevenire la responsabilità amministrativa dell’ente: la funzione del codice etico e del codice disciplinare

La circostanza di ricondurre l’interesse o il vantaggio richiamati dalla norma di legge ad inadempimenti della normativa antinfortunistica e ad un conseguente disinteresse dell’azienda per la normativa stessa appare non poco problematica in termini gestionali per le aziende, stante la circostanza che con estrema facilità potrebbero omettersi inadempimenti come quelli indicati nella sentenza in esame.

Diventa imprescindibile, quindi, l’adozione e la corretta attuazione in azienda di modelli organizzativi che consentano di escludere la responsabilità dell’ente in ipotesi di infortunio sul lavoro, tramite l’adozione di protocolli specifici che indichino le linee guida da seguire. [3]

Tuttavia, l’interessantissimo passaggio della sentenza secondo cui i giudici del merito hanno ravvisato nell’inadempimento alla normativa antinfortunistica “un indice di sostanziale manifestazione di disinteresse aziendale per il tema della sicurezza dei lavoratori.” [4] suggerisce come - più importante del singolo adempimento - sia sviluppare un interesse aziendale verso la prevenzione degli infortuni.

Uno strumento utilissimo a tal fine non può che essere il codice etico che, come raccolta di principi di ordine generale, individua quelle regole attinenti alla responsabilità sociale dell’impresa a cui tutti (dipendenti, fornitori e collaboratori) dovrebbero uniformarsi ed ispirarsi. Limite del codice etico è, però, costituito dalla sua non vincolatività. Ciò in quanto il documento in sé stesso manca di un atto ricettivo nell’ordinamento giuridico che lo renda giuridicamente vincolante, non contiene norme sanzionatorie ed è formulato in maniera generica.

Si rende necessario, quindi, che il codice etico sia “agganciato” con il diritto statale, dove il termine “aggancio” si riferisce al “percorso che il codice fa per entrare nell’ordinamento statale”[5].

Non è superfluo, a tal fine, inserire un richiamo delle violazioni del codice etico nel codice disciplinare o nel modello organizzativo, affinché tale documenti possa spiegare automaticamente i suoi effetti nei confronti del personale in quanto atto di autoregolamentazione dell'impresa, ovviamente con la necessaria pubblicità richiesta dalla normativa lavoristica, specie in relazione alla parte sanzionatoria [6]

 

 

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