11 Marzo 2022

Il riesame nelle misure cautelari reali: la tormentata staticità di una materia in evoluzione - prima parte

MARCELLA CINQUEGRANI

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Abstract

Il testo in oggetto, suddiviso in due parti, si propone di offrire una panoramica delle scelte ermeneutiche della giurisprudenza in relazione alla disciplina delle misure cautelari reali. Mentre la prima parte sarà volta a ripercorrere brevemente la storia delle disposizioni più rilevanti, con particolare riguardo alle riforme del 1995 e del 2015, nella seconda parte ci si soffermerà, in particolare, sulla recente pronunzia della Cassazione, n. 52157/2018, con l’intenzione di evidenziare alcuni profili d’illogicità del sistema attualmente in vigore, rispetto al quale la tecnica del rinvio normativo si è rivelata fallimentare ed inadeguata.

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Il codice di procedura penale disciplina, al Libro IV, le misure cautelari, intese quali strumenti provvisori volti ad evitare che, nel corso del procedimento penale, possano realizzarsi conseguenze negative per l’esercizio della funzione giurisdizionale. 

Il codice, in particolare, distingue tra misure personali, le quali incidono direttamente sull’individuo sottoposto al procedimento, e reali, afferenti invece a beni materiali, che possono appartenere anche a soggetti diversi dall’indagato. La diversa natura delle misure in questione incide, del resto, sulla disciplina a queste applicabile; mentre le prime richiedono la sussistenza di garanzie normative particolarmente forti, in quanto suscettibili di comprimere la sfera dei diritti fondamentali dell’individuo, ed in particolare la libertà personale, le seconde non godono della stessa portata afflittiva, andando a limitare esclusivamente la sfera patrimoniale del destinatario.

Il diverso oggetto delle misure cautelari indicate, dunque, si ripercuote in maniera evidente sulla disciplina normativa delle relative impugnazioni, ed in particolare sulle regole attinenti al riesame delle stesse. Tale strumento, caratterizzato dalla natura interamente devolutiva della cognizione al tribunale delle libertà, è stato oggetto di molteplici interventi normativi nel corso degli anni, la cui stratificazione ha determinato l’insorgere di numerosi dubbi interpretativi nella dottrina e nella giurisprudenza.

Le norme chiave poste a regolamentazione della materia sono gli artt. 309 c.p.p., rubricato “riesame delle ordinanze che dispongono una misura coercitiva”, e l’art. 324 c.p.p., che disciplina il “procedimento di riesame” nell’ambito delle misure reali. Quest’ultima norma, in particolare, nell’individuare la procedura applicabile al riesame del sequestro conservativo e preventivo, fa riferimento, al co. 7, alle disposizioni contenute nell’art. 309, commi 9, 9bis e 10, c.p.p.

L’intervento del legislatore su tali ultime disposizioni richiamate, prima nel 1995, con la L. n. 332, ed in seguito con la L. 47/2015, ha indotto dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi sulla natura del rinvio.

Si è osservato, infatti, che il legislatore, nel sistema delle fonti del diritto, può avvalersi della tecnica del rinvio in due possibili forme:

  • il rinvio formale, consistente nell’individuazione di una diversa fonte posta a regolamentazione di una materia, tramite il quale si fa riferimento non solo alle norme esistenti, ma anche a tutte quelle che in futuro verranno prodotte dalla medesima fonte;
  • il rinvio materiale, o recettizio, che invece rimanda ad una diversa disposizione specifica applicabile nella sua attuale conformazione, attraverso ciò che viene definita una “copiatura” del testo in essa contenuto.

Quest’ultima tecnica, diversamente dalla prima, non consente alla norma di rinvio di adeguarsi alle modifiche della disposizione richiamata, dovendo quest’ultima ritenersi immutata rispetto alla materia per cui avviene il richiamo.

Occorre evidenziare che la distinzione tra le due forme di rinvio, particolarmente rilevante nel diritto internazionale privato, assume generalmente scarso rilievo nell’ambito dell’ordinamento interno, in cui il richiamo viene normalmente inteso nella sua accezione formale. Tale regola, ad ogni modo, sembra sconfessata dall’interpretazione che l’art. 324, co. 7, c.p.p. ha vissuto nella giurisprudenza italiana di legittimità.

Il dubbio sulla natura del rinvio contenuto nell’art. 324 c.p.p. aveva diviso la giurisprudenza già in seguito alla riforma del 1995; il legislatore dell’epoca, infatti, aveva per la prima volta disposto, in materia di misure cautelari personali coercitive, che il pubblico ministero, in seguito all’istanza di riesame presentata dal destinatario del provvedimento, dovesse provvedere entro cinque giorni alla trasmissione degli atti al tribunale del riesame (art. 309, co. 5, c.p.p.); dal momento della ricezione dei documenti, dunque, inizia a decorrere il termine per la decisione dell’impugnazione, previsto in dieci giorni. La mancata osservanza di ciascuna delle due disposizioni avrebbe, ai sensi dell’art. 309, co. 10, determinato la perdita di efficacia della misura disposta. La modifica ha avuto il pregio di indicare con precisione il dies a quo per il computo della decorrenza dei termini, precedentemente mobile e praticamente rimesso alla discrezionalità del pubblico ministero.

A fronte di tale modifica, il legislatore non aveva apportato alcun intervento alla previsione dell’art. 324, co. 3, il quale continuava a stabilire il termine, considerato fino ad allora meramente ordinatorio, di un giorno per la trasmissione degli atti posti a fondamento della misura cautelare reale al Tribunale delle libertà da parte del p.m. Si era rilevato, dunque, che, malgrado l’art. 324 c.p.p. prevedesse l’applicabilità alla materia del co. 10 dell’art. 309 c.p.p., il quale stabilisce la caducazione della misura in caso di mancata osservanza dei termini di legge (di cinque e dieci giorni), sarebbe stato tuttavia irragionevole ritenere che la riforma avesse introdotto una disciplina più severa in relazione alle misure reali, senz’altro meno afflittive, per le quali la trasmissione degli atti deve avvenire entro un solo giorno, rispetto a quella prevista per le misure personali, incidenti direttamente sulla libertà individuale.

Le Sezioni Unite del 2013, con sent. 26268/2013, ponendo fine ad un contrasto giurisprudenziale, avevano dunque affermato che la nuova disciplina non potesse applicarsi alle misure cautelari reali, in relazione alle quali doveva ritenersi perdurante la natura ordinatoria, e non perentoria, del termine di un giorno per la trasmissione degli atti al tribunale del riesame. Permaneva dunque, nell’interpretazione della Corte, il dies a quo variabile per il decorso del termine di dieci giorni in relazione alle sole misure cautelari reali.

La questione si è ulteriormente complicata quando, nel 2015, il legislatore ha nuovamente rimaneggiato i due articoli. La norma, in particolare, ha inserito all’interno dell’art. 309 c.p.p. il co. 9 bis, che consente all’indagato di chiedere il differimento dell’udienza, ed ha modificato il co. 10, prevedendo che la caducazione della misura cautelare per mancato rispetto dei termini determini l’impossibilità del suo rinnovo in assenza di nuovi elementi probatori, salvo che sussistano “eccezionali esigenze cautelari”; si è stabilito, altresì, l’obbligo per i giudici del riesame di depositare la motivazione entro 30 giorni dalla decisione. La nuova legge ha previsto, inoltre, una modifica dell’art. 324 c.p.p., il cui comma 7 fa ora espresso riferimento non solo ai commi 9 e 10, ma anche al comma 9 bis dell’art. 309 c.p.p..

Data la scelta legislativa di intervento diretto sull’art. 324 c.p.p., gli interpreti si sono nuovamente interrogati sul significato da attribuire al rinvio operato da tale norma, e sulla conseguente applicabilità alle misure cautelari reali della nuova disciplina stabilita per quelle personali.

La riforma, infatti, nell’interpolare la disposizione, sembra aver operato una scelta significativa nel senso dell’estensione della sanzione caducatoria anche al sequestro preventivo e conservativo, e dell’applicabilità a questi ultimi anche del divieto di reiterazione della misura, fatte salve eccezionali esigenze cautelari.

Malgrado l’apparente univocità della scelta legislativa, l’interpretazione giurisprudenziale è stata di segno opposto; le Sezioni Unite n. 18954/2016, infatti, hanno confermato la scelta ermeneutica precedente alla riforma, sostenendo che il richiamo dell’art. 324, co. 7, c.p.p. al co. 10 dell’art. 309 c.p.p. debba tuttora intendersi come meramente recettizio, non formale.

Ci si propone, nella seconda parte del presente articolo, un’analisi delle ragioni che hanno determinato la descritta scelta ermeneutica, recentemente confermata da una pronunzia della terza sezione penale della Cassazione, anche attraverso la rilevazione di alcuni elementi di illogicità del sistema, complessivamente considerato.

 

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