26 Maggio 2020

Udienza da remoto: soluzione tampone o futuribile strumento deflattivo?

ALESSANDRO TRIOLO

Immagine dell'articolo: <span>Udienza da remoto: soluzione tampone o futuribile strumento deflattivo?</span>

Abstract

Le misure di distanziamento sociale varate dal Governo hanno reso necessario lo svolgimento delle udienze civili e penali da remoto. Si tratta di una assoluta novità per il nostro panorama processuale, tradizionalmente abituato a celebrare i processi in aula con la presenza fisica delle parti. L’udienza telematica rappresenta tuttavia un istituto dal carattere eccezionale che potrebbe celare grandi opportunità.

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Le udienze da remoto: panacea di tutti i mali?

L’attuale emergenza sanitaria da Covid-19 ha imposto al nostro legislatore di elaborare strumenti nuovi per l’amministrazione della giustizia. Premessa: l’istituto trattato è di recentissima introduzione e di incerta evoluzione. L’art. 83, comma 7 lettera f) Decreto legge n.18 del 17 marzo 2020, c.d. Cura Italia, aveva inserito la previsione dello svolgimento delle udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori e dalle parti mediante trattazione scritta o “collegamenti da remoto”, demandando ai dirigenti degli uffici giudiziari l’adozione delle consequenziali misure organizzative. Ne derivava, a seguito delle linee guida diramate dal CSM in data 26 marzo, la stipulazione di una babele di protocolli tra singoli uffici giudiziari e consigli forensi per lo svolgimento a distanza delle udienze civili e successivamente penali. Da ultimo, il D.L n. 28 del 30 aprile ha sancito l’obbligo di svolgimento delle udienze da remoto a decorrere dall’11 maggio, salvo sparute eccezioni, pena il rinvio ufficioso delle stesse alla data del 31 luglio. Prescindendo dal vigente quadro normativo, l’udienza telematica potrebbe manifestamente apparire come l’antitesi della ritualità e della sacralità del processo, nonché come un mezzo inadatto a garantire il diritto di difesa delle parti. Ma il tema è un altro. Se da un lato questo istituto si configura come una soluzione ineluttabile per assicurare il regolare andamento della giustizia, suscitando legittimi interrogativi sull’effettiva idoneità a salvaguardare i diritti essenziali delle parti, dall’altro non si potrà dubitare che esso possa costituire uno strumento processuale piuttosto efficace. L’esperienza di questo periodo potrebbe pertanto rivelarsi determinante per le future scelte di politica giudiziaria. L’interrogativo, privo di risposte immediate, sorge spontaneo: forse che il legislatore, da sempre affannatosi nella ricerca di improbabili istituti mirati alla deflazione dell’ingente carico pendente, abbia finalmente scovato il bandolo nella matassa? Potrebbe l’udienza da remoto rimpiazzare tutte quelle udienze di brevissima durata che a volte non meritano neanche l’occupazione di un’aula di tribunale? Solo la praticità e l’efficienza del collegamento da remoto, testati nella fase emergenziale, certificheranno la convenienza nell’impiegare la tecnologia per la riduzione dei tempi dei processi. Indubbiamente l’idea di una giustizia smart, che affascina il giurista innovatore e tedia quello conservatore, deve essere conciliata con i principi costituzionali in materia processuale, resa compatibile con la natura dei diritti che si intendono tutelare. Occorrerà pertanto valutare in quale misura l’eventuale stabilizzazione di questo istituto, finora inteso come misura provvisoria, possa incidere sulla giurisdizione civile e penale, qui prese in considerazione per comodità di esposizione.

 

Il processo civile

La giustizia civile ha da tempo risalente conosciuto un progressivo sviluppo della telematizzazione della propria procedura. Nel 2014, infatti, è stato sancito il regime di obbligatorietà del processo civile telematico (PCT) limitatamente al deposito di atti, documenti e sentenze. Peraltro bisogna rilevare come il legislatore abbia sempre prediletto modalità di trattazione scritta del contraddittorio processuale. Lo svolgimento di udienze in via telematica, come prefigurato dalla proposta di legge “Cataldi” depositata nel 2018 presso la Camera dei deputati, rappresenta quindi una naturale evoluzione verso uno stadio progredito del processo piuttosto che un nitido miraggio. In uno schema procedimentale dove il principio di oralità viene sovente immolato sull’altare della concentrazione (fuorché in alcuni riti speciali, come quello lavoristico), la trattazione mediante udienza da remoto non collide certo con le minimali garanzie di difesa delle parti, ma anzi risulta in grado di sopperire al significativo sovraccarico di udienze civili, spesso aventi natura dilatoria. Basti pensare alla congerie di udienze in fase istruttoria che non richiedono la necessaria compresenza delle parti o dei soggetti coinvolti in giudizio. Alcune perplessità potrebbero derivare dall’introduzione di un simile istituto nelle cause dinanzi al giudice di pace, ufficio a cui non si applica il PCT; mentre con riferimento alle udienze dinanzi alla Corte di Cassazione, che dal 2016 di regola si svolgono con adunanza in camera di consiglio, il maxi emendamento al decreto Cura Italia ha sancito la facoltatività del ricorso a forme telematiche nel giudizio di legittimità, aprendo concreti spiragli per la riduzione del contenzioso civile presso la Suprema Corte.

 

Il processo penale

Lo stesso maxi emendamento ha introdotto nel decreto i commi da 12-bis a 12-quinques, che prevedono l’utilizzo della videoconferenza anche per il processo penale, sia nella fase delle indagini preliminare che in sede dibattimentale. Omettendo di considerare le modalità pratiche di attuazione, bisogna osservare come nella giurisdizione penale di merito, a differenza di quella civile, vengano in gioco interessi costituzionali preminenti, come il diritto alla libertà personale e la presunzione di innocenza, che meritano un oculato bilanciamento con le esigenze di celerità del processo, nonché l’apprestamento di una tutela del diritto di difesa magis ut valeat. L’estensione di questi strumenti al processo penale ha inoltre riscontrato una corale resistenza dell’Unione Camere Penali, documentata da una articolata richiesta di spiegazioni indirizzata al Garante della Privacy, a causa di una manifesta renitenza della classe forense poco incline alla tecnologizzazione del processo penale. La possibilità di utilizzo di questi strumenti nel processo penale appare quindi più sfumata, ancorché insostenibile su un piano prettamente costituzionale.

 

Implicazioni e prospettive

L’esperienza di questo periodo chiarirà la lecita titubanza degli operatori giuridici e sfaterà alcuni miti legati all’impiego della tecnologia nel processo. Quali prospettive possa prefigurare l’introduzione di un istituto talmente rivoluzionario è parimenti difficile prevederlo. Indubbiamente la telematizzazione dei processi potrebbe ragionevolmente rientrare in un’ottica di efficientamento della giustizia, specialmente civile, con finalità latu sensu deflattive. D’altro canto sarebbe auspicabile che la tecnologizzazione della procedura non si tramutasse in una tecnocratizzazione del processo, ossia in un modello processuale dove le esigenze di snellezza e celerità prevalgano, fino a spadroneggiare, sulle istanze di difesa delle parti.

 

 

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