06 Dicembre 2019

La pratica forense e il compenso: quali prospettive?

LUCREZIA MARIA DE PAULIS

Immagine dell'articolo: <span>La pratica forense e il compenso: quali prospettive?</span>

Abstract

Partendo da un’analisi dell’attuale situazione del mercato legale, della norma di riferimento e di una recente pronuncia giurisprudenziale, l’articolo si pone lo scopo di analizzare, per brevi cenni, le condizioni contrattuali cui oggi sono tendenzialmente sottoposti i praticanti avvocato e le prospettive sul tema, con particolare riguardo al compenso e come questo si declini in base alla realtà territoriale, alla tipologia di studio legale e al curriculum vitae et studiorum del neolaureato. Tutto ciò in considerazione della crisi in cui versa la professione forense e le difficoltà di accesso alla stessa, l’incompletezza della formazione universitaria e le carenze di strumenti di tutela per i collaboratori a livello normativo.

***

La professione forense e il periodo di praticantato: le tendenze degli ultimi anni

Parlare di pratica forense in relazione al controverso tema del compenso per i praticanti avvocato rende necessaria una riflessione che non può prescindere da due ordini di analisi: (i) inquadrare l’attuale “stato di salute” della professione forense e dell’accesso all’esercizio alla stessa, seppur per brevi cenni; (ii) esaminare le tendenziali condizioni contrattuali e lavorative cui i neolaureati, nel periodo di pratica, sono soggetti.

È noto come la professione abbia subito una forte contrazione, plasticamente mostrata dal dato delle iscrizioni agli Ordini negli ultimi anni, nonché ai corsi di laurea in Giurisprudenza. Le immatricolazioni negli Atenei, infatti, hanno visto nell’arco di un decennio un saldo fortemente negativo[1], sintomo di una carenza di interesse verso le materie giuridiche e le relative professioni, in particolare quella di avvocato. Causa di tale disaffezione nei giovani risiede principalmente in fattori quali l’eccessiva lunghezza del percorso, le modalità dell’esame di abilitazione - divenuto sempre più selettivo e complesso, soprattutto nei grandi fori – e, infine, nella cruciale problematica della retribuzione (rarissimamente) accordata a chi svolge il periodo di pratica forense [2].

Con riguardo al tema del compenso, seppure con alcune differenze legate alla ripartizione geografica del lavoro, il tempo pieno/parziale, la tipologia di attività lavorativa prestata e l’effettivo apporto, nonché il curriculum vitae et studiorum del collaboratore, la generale tendenza è quella di un assente o molto esiguo compenso del praticante.

La mancanza di una prospettiva di remunerazione, dettata nel nostro paese anche dalla forma mentis della maggior parte degli avvocati, negli studi legali, è tra le ragioni determinanti la scelta del percorso da intraprendere, dalla selezione della facoltà universitaria sino al momento post lauream. E ciò, senza contare le incerte prospettive di carriera proprie di questa “strada”[3].

Vero è che rispetto agli altri paesi, il neolaureato in legge in Italia risulta una risorsa del tutto da formare da parte del Dominus; ciò in ragione della mancanza di una formazione idonea ad affrontare il mondo lavorativo odierno (assenza sovente di una preparazione poliedrica, di soft skills, della conoscenza di lingue straniere e di esperienze all’estero, tra gli altri fattori).

Tutto questo si colloca nel grande quadro della crisi che affligge la professione forense, le cui cause e conseguenze meriterebbero un’ulteriore ampia trattazione.

L’insieme di tutti questi fattori ha, pertanto, decimato gli aspiranti avvocato, dando spazio alle “nuove professioni” a scapito delle scelte di percorsi più tradizionali, scelte che sembrano essere diventate più il perseguimento di un sogno che un investimento da parte del giovane neolaureato.

 

Il panorama normativo in materia e l’apporto della giurisprudenza: i praticanti possono considerarsi lavoratori subordinati?

L’attività di pratica forense è disciplinata al Capo I del Titolo IV della L. 247/2012, salve le disposizioni dei diversi Regolamenti dei Consigli degli Ordini degli Avvocati di riferimento per il singolo praticante.

Con riguardo alla retribuzione, l’art. 41, comma 11, sinteticamente prevede che il tirocinio: (i) non costituisce un rapporto di lavoro; (ii) un rimborso spese dovrebbe essere sempre dovuto; (iii) la retribuzione (non quantificata neppure nel minimo) è dovuta solo decorso il primo semestre e deve essere commisurata all’effettivo apporto professionale dato dal praticante allo studio.

Nonostante l’impianto normativo, apparentemente posto a tutela del collaboratore dello studio legale, tali previsioni raramente vengono rispettate, senza che siano neppure presenti reali rimedi o mezzi da adire da parte del praticante avvocato.

D’altro canto, con una recente e dirompente pronuncia, la Corte di Cassazione ha affermato che, ai fini della qualificazione di un rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, le prestazioni rese da un professionista in uno studio legale devono valutarsi in relazione all’intensità della loro etero-organizzazione.
Partendo da tale assunto, considerato che la Corte ha affermato che si deve “qualificare come subordinata l'attività espletata da un lavoratore che, pur in assenza del titolo di avvocato, ha prestato attività di natura prevalente intellettuale a favore di uno studio legale” (Cass. civ., sez. lav., 10/09/2019, n. 22634), ne deriva come il praticante, essendo sprovvisto del titolo di avvocato, rientri chiaramente in tale definizione.

Tale pronuncia si pone, dunque, in netta divergenza con la normativa indicata sub 2 stante la previsione all’art. 41, comma 11, l. 247/2012, dell’assenza di instaurazione di un qualsiasi rapporto di lavoro. Risulta, tuttavia, noto come l’attività prestata nel corso della pratica forense abbia carattere tutt’altro che occasionale e sia caratterizzata da un intenso rapporto di etero-organizzazione che lega il praticante al Dominus. Ne consegue che la sentenza citata si pone in contrasto anche con la quotidiana e concreta realtà, visto che in pochissimi studi legali, il praticante può vantare i diritti tipici di un lavoratore subordinato, quale in primis una retribuzione, soprattutto nel primo semestre di pratica forense, in cui il praticante ex lege non ha diritto ad alcun compenso.       
Ci si chiede, alla luce di ciò, quale sia il destino di questa pronuncia: può costituire quantomeno un punto di partenza per una riflessione finalizzata a rivedere le condizioni lavorative dei praticanti, anche per risolvere il problema del drastico e costante allontanamento da questa disciplina? Oppure è destinata a rimanere lettera morta?

 

Considerazioni conclusive

In questo scenario, appare dunque comprensibile come il giovane laureato non trovi più affascinante la carriera forense.

La soluzione possibile? Una “duplice rivoluzione” che comprenda:

  • l’ammodernamento del percorso formativo da parte di tutti gli Atenei, garantendo un approccio interdisciplinare, nuovo, che prepari il giovane studente e neolaureato alla domanda degli studi legali nel mercato legale 4.0, educando al problem solving e all’internazionalità, al fine di acquisire soft skills con attività pratiche, sul modello delle realtà universitarie europee. Si tratta di un percorso iniziato, che deve essere proseguito, con diffusione in tutte le università italiane.
  • la previsione di una reale tutela da parte del legislatore, con un intervento volto a rendere effettiva la congrua retribuzione a favore del collaboratore neolaureato, il quale, seppur inizialmente inesperto, diviene spesso una parte di sostegno fondamentale per lo studio legale e per il lavoro del Dominus. E ancora, operando con coraggio una rivoluzionaria scelta di campo circa l’accesso alla professione, modificando le modalità di un esame dagli esiti spesso incerti e non totalmente dipendenti dalla preparazione o dal merito dei candidati.   

Per concludere, un impulso al cambiamento dovrebbe essere stimolato dalla stessa classe forense e dal legislatore, responsabili di offrire risposte alle nuove e future generazioni di giuristi per rendere nuovamente appassionante e appetibile questa difficile ma bellissima professione.

 

Ha collaborato alla stesura del presente articolo il Dottor Federico Martino, praticante avvocato, iscritto al registro dei praticanti abilitati presso l’Ordine degli Avvocati di Brescia

 

 

Altri Talks