27 Novembre 2018

Biancaneve … e tuo cognato

LUCIO BONGIOVANNI

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Abstract

Cosa ne sarebbe dei tribunali se non ci fosse l’invidia? E cosa c’entra l’invidia con la giustizia? La favola di Biancaneve ci permette di far luce su dinamiche comportamentali che spesso tendiamo a sottovalutare.

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La famosissima fiaba di Biancaneve segue lo stesso schema narrativo de “La bella addormentata nel bosco”, il medesimo canovaccio. Ma la violenza che sprigiona è addirittura maggiore, lo squarcio che apre sull’animo umano è ancor più desolante. Si rimane basiti sin dalla prima pagina. Bimbi di tutto il mondo siete avvertiti, nulla vi viene nascosto. Si gioca a carte scoperte.

L’inizio della storia presenta una Regina, bellissima e potente, che viene a scoprire casualmente che nel Regno c’è una ragazzotta più bella di lei. Precisiamo subito che si tratta di una povera mentecatta, vestita di stracci, del tutto inconsapevole della sua bellezza e che trascorre le sue inutili giornate fischiettando con gli uccelletti. Per di più, la giovane vive all’interno del castello della Regina, che può quindi controllare i movimenti sconclusionati della giovane idiota. Nessun pericolo, dunque.

Eppure, la Regina chiama il cacciatore perché uccida Biancaneve e le consegni il suo cuore.

Siamo ancora alla prima pagina del racconto, che ve ne pare? E’ uno degli incipit più cruenti e agghiaccianti della letteratura mondiale, non c’è che dire!

La deficiente riesce a salvarsi (in modo del tutto inconsapevole, ovviamente) e finisce per fare le pulizie ad una compagnia di minatori nani che vivono nascosti in mezzo al bosco. Tutto risolto, si dirà, la ragazzotta si è neutralizzata da sé e la Regina può vivere tranquilla. Nemmeno per sogno! Venuta a conoscenza per caso di quell’eremo di disadattati, la Regina non si dà pace e si traveste da strega per avvelenare Biancaneve. Farà una brutta fine, come tutti sanno.

Ebbene, se il motore che innesca il racconto de “La bella addormentata nel bosco” consiste nel mancato invito a una festa, il motore della narrazione di Biancaneve è il mero odio esistenziale, invidia allo stato puro. La Regina odia forsennatamente una ragazza che non soltanto non le ha fatto nulla di male, ma che non è assolutamente in condizione di insidiarla sotto alcun profilo. Biancaneve è del tutto inconsapevole di se stessa, non ha mai pensato di danneggiare la Regina, né sarebbe in grado di farlo. Eppure deve morire, solo perché esiste. Punto.

Si comprende bene come questa disposizione dell’animo umano stia alla base di un numero impressionante di comportamenti che hanno diretto rilievo nel mondo del diritto, per cui occorre avere ben chiaro questo fenomeno, senza dolcificati infingimenti.

La fiaba ha il merito di illustrare immediatamente il punto cruciale dell’intera faccenda: l’invidia è un propellente potentissimo, da cui nessuno di noi può ritenersi immune, e consiste sostanzialmente nella negazione radicale dell’altro. L’altro non ha diritto di esistere, deve solo sparire, indipendentemente da sue colpe o comportamenti. L’invidia si pasce dell’immaginazione e dell’incapacità di vivere il momento presente. E’ uno dei frutti più perversi dell’immaginazione, perché ignora la realtà. Tutta la favola di Biancaneve sta lì a dimostrarlo: la Regina (vera protagonista della storia) ignora del tutto i fatti. Si dilania esclusivamente a causa della propria fantasia distorta, perde la pace (e perderà anche la vita) creando dal nulla un avversario davanti al quale finirà per soccombere, nonostante Biancaneve sia di un’inconsistenza disarmante, vera e propria insostenibile leggerezza dell’essere.

Si tratta di un caso di profezia che si auto-avvera. Tutto è frutto dell’immaginazione malata della Regina, che potrebbe tranquillamente godersi potere e bellezza se solo riuscisse ad ignorare quella ragazzotta inutile, che durante tutta la storia non immagina nemmeno di essere avversaria della Regina.

Ma il problema è tutto qui, siamo giunti al punto della questione.

La soddisfazione alla quale tende l’invidia pretende sempre la soccombenza dell’altro. Come dice quel proverbio inglese? “Felicità è guadagnare dieci pounds più di mio cognato”!

E certo: felicità non è guadagnar tanti soldi, ma è guadagnare anche solo dieci pounds più di quel tizio che tua moglie ti cita sempre come esempio di efficienza e di merito. Potrai esser felice solo se guadagnerai più di tuo cognato.

Allo stesso modo, alla Regina non importa tanto esser bella e potente, quanto che non esista nessun’altra che possa insidiarla. Si tratta di una questione mentale, nient’altro. Tutto si gioca nella nostra testa.

Ecco perché l’invidia va di pari passo con la litigiosità che riempie i tribunali; proprio perché non può prescindere dalla soccombenza del nostro prossimo. Ricordate la raccomandazione della Regina al cacciatore? “portami qui il suo cuore” (in alcune versioni della fiaba il cuore del cinghiale ucciso al posto di Biancaneve viene addirittura mangiato dalla Regina). E’ necessario, quindi, entrare in possesso del cuore del nemico e magari mangiarlo. Non basta vincere. I particolari delle favole contengono informazioni preziosissime, mai secondarie.

E allora, la causa profonda di tante cause che pendono in tribunale sta nell’invidia, di cui tutti negano di esser vittime ma che tutti frequentano assiduamente.

Eppure non si può certo dire che ci abbiano nascosto la verità. Tutti noi, da bambini, abbiamo ascoltato e visto mille volte la favola di Biancaneve. Ma non abbiamo imparato nulla!

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