09 Luglio 2021

L’illegittimità costituzionale dell’art. 13 della legge sulla stampa e le linee guida della invocata Riforma

LAURA BACCHINI

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Abstract

Il 22 giugno 2021, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della pena prevista dall’art. 13 della legge n. 47 del 1948 (nota come legge sulla stampa), che puniva la diffamazione a mezzo stampa aggravata dal fatto determinato, con la pena congiunta della reclusione (da uno a sei anni) e con la multa (fissata nel minimo a 258 euro), affermando, al contempo, la compatibilità con la Costituzione dell’articolo 595, co.3, c.p., che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. Quest’ultima norma consente, infatti, al giudice di sanzionare con la pena detentiva soltanto i casi di eccezionale gravità.

 

 

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Reclusione e diffamazione: il monito della Corte costituzionale

La Corte costituzionale era stata chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale degli artt. 595, co. 3 c.p. e 13 della l. 8 febbraio 1948, n. 47.  La decisione era stata rinviata di un anno, con ordinanza[1], per consentire al Parlamento di intervenire sulla materia[2], senza però ottenere risultato.

D’altronde, il nostro Parlamento ha visto avvicendarsi, negli ultimi decenni, numerose proposte, giunte a stadi più o meno avanzati ma poi, comunque, inesorabilmente arenate[3].

La Consulta, sottolineando i limiti del proprio intervento, aveva rimarcato la necessità di introdurre "rimedi civilistici e in generale riparatori adeguati (come, in primis, l'obbligo di rettifica)" nonché "efficaci misure di carattere disciplinare" a fronte della preoccupazione derivante dai pericoli acuiti dall’evoluzione dei mezzi di comunicazione, ammettendo, d’altra parte, come “l’attuale” bilanciamento dei valori risultasse “inadeguato”[4].

 

La forza propulsiva della Corte Edu

La questione di legittimità costituzionale era stata sollevata dai giudici rimettenti con riferimento agli artt. 21, 25, 27 e 117 Cost.(in relazione all'art. 10 CEDU, così come interpretato dalla costante giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo). Secondo la Corte di Strasburgo sospensione condizionale o interventi di grazia non possono aver rilievo, a fronte del potenziale effetto dissuasivo connesso all’astratta previsione della reclusione per la diffamazione a mezzo stampa. L’ordinanza n. 132 richiamava, all’uopo, i passaggi della sentenza della Grande Camera del 17 dicembre 2004, Cumpănă e Mazăre contro Romania, in cui erano stati enucleati i principi poi consacrati nei successivi arresti che hanno riguardato i più noti casi dei giornalisti Belpietro e Sallusti [5].

In sintesi, secondo la Corte, gli Stati membri hanno la facoltà, o addirittura il dovere di disciplinare l'esercizio della libertà di espressione in modo da assicurare per legge un'adeguata tutela della reputazione delle persone (in linea con l’art. 8 della Convenzione EDU), con il fermo limite, però, della indebita dissuasione dei media dallo svolgimento del loro ruolo di segnalare all'opinione pubblica casi apparenti o supposti di abuso dei pubblici poteri.

La reclusione, per l’orientamento della Corte EDU, può essere contemplata solo nei casi eccezionali dei discorsi espressivi di odio ed intolleranza (“hate speeches) e di istigazione alla violenza.

 

Una Riforma sempre più urgente. Cosa aspettarsi

Si può immaginare quali possano essere i tratti salienti di una eventuale riforma, facendo riferimento al testo proposto dalla seconda commissione permanente, comunicato alla Presidenza il 7 luglio 2020, relativo al disegno di legge N 812 A, meglio noto come d.d.l. Caliendo

Un primo aspetto riguarda l’ estensione del perimetro di prensione delle norme, tale da ricomprendere non solo stampe o stampati, ma anche alcuni prodotti editoriali registrati, tra cui quotidiani on line (limitatamente ai contenuti prodotti, pubblicati, trasmessi o messi in rete dalle redazioni), nonché, con delle limitazioni,  telegiornali e giornali radio.

Altro profilo di novità riguarda l’introduzione di una causa esclusione della punibilità connessa alla rettifica, per cui il direttore sarebbe tenuto a pubblicare gratuitamente e senza commento, senza risposta e senza titolo, rettifiche o smentite dei soggetti di cui siano state pubblicate immagini o ai quali siano stati attribuiti atti o pensieri o affermazioni da essi ritenuti lesivi della loro dignità, del loro onore o della loro reputazione o contrari a verità, purché́ rettifiche o smentite non abbiano contenuto che possa dar luogo a responsabilità penale o non siano documentalmente false. 

L’eliminazione della pena detentiva sarebbe poi bilanciata da un drastico aumento delle sanzioni pecuniarie, per cui il delitto di diffamazione a mezzo stampa sarebbe punito con la multa da 5.000 a 10.000 euro (in luogo dell'attuale previsione che stabilisce una pena minima di 516 euro) e in caso di attribuzione di fatto determinato falso, con la multa da 10.000 a 50.000 euro (in luogo dell'attuale previsione, che prevede attualmente una pena minima di euro 258).

In caso di recidiva sarebbe prevista l'interdizione della professione come pena accessoria.

Inoltre, sia per i delitti di diffamazione che di omesso controllo, commessi con il mezzo della stampa o di altro prodotto editoriale registrato, sarebbe competente il giudice del luogo di residenza della persona offesa.

L’interessato potrebbe vedersi riconosciuta la facoltà di chiedere l’eliminazione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei contenuti diffamatori o dei dati personali trattati in violazione di disposizioni di legge. In caso di rifiuto o di omessa cancellazione dei contenuti o dei dati, verrebbe prevista la possibilità di adire il giudice per ordinare la rimozione, dai siti internet e dai motori di ricerca, dei medesimi contenuti e dati ovvero di inibirne l’ulteriore diffusione. Il giudice, potrebbe, altresì, su istanza dell’interessato, condannare l’inadempiente al pagamento di una somma determinata in via equitativa.

Sarebbero introdotte specifiche procedure di notifica e rimozione previste nel D.Lsg. n.70 del 2003 di attuazione  della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico.

Verrebbe estesa la disciplina del segreto professionale di cui all'art. 200 c.p.p. anche ai pubblicisti.

Da ultimo, al comma 3 dell'articolo 427, c.p.p., potrebbe essere aggiunto il seguente periodo "il giudice può altresì condannare il querelante al pagamento di una somma da 2.000 euro a 10.000 euro in favore della cassa delle ammende".

 

Conclusioni

Il solco per un intervento tanto atteso è stato tracciato. La Corte ha ormai dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) nella parte in cui prevede obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa.

I moniti, ben delineati, sono stati lanciati.

Non resta che attendere.

 

 

[1] Corte cost., Ord., 26 giugno 2020, n. 132.

[2] Si segnala analoga decisione, Ord.24 ottobre 2018 n. 207, in tema di aiuto al suicidio.

[3] Per una ricostruzione dei tentativi di riforma, pezzella, La diffamazione, Utet, 2020, 426 ss.

[4] Per un commento all’ordinanza n. 132 del 2020, bacchini, Stampa e reclusione: quando il rischio di una riforma è il tradimento degli obiettivi, , in Penale Diritto e Procedura, Pacini Giuridica, n. 3/2020.

[5] C. eur. dir. Uomo, 24 settembre 2013, Belpietro c. Italia; C. eur. dir. Uomo. 7.3. 2019, Sallusti c. Italia. per un commento alla vicenda, Pacileo, Contro la decriminalizzazione della diffamazione a mezzo stampa. Note a margine del <<caso Sallusti>>, in Diritto Penale Contemporaneo, https://www.penalecontemporaneo.it/upload/1368178345PACILEO%202013a.pdf.

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