18 Febbraio 2021

Responsabilità medica: la cd. complicanza secondo la Cassazione del 2019

GIUSEPPE DE MARCO

Immagine dell'articolo: <span>Responsabilità medica: la cd. complicanza secondo la Cassazione del 2019</span>

Abstract

Nella letteratura scientifica medica, una complicanza è un evento dannoso che insorge in un momento qualsiasi dell’iter terapeutico, che si caratterizza per la sua imprevedibilità e inevitabilità. Nell’ambito giuridico, invece, il concetto è estraneo al giurista, in quanto lo stesso è chiamato ad indagare le concrete circostanze di fatto e la vicenda clinica del paziente-danneggiato nella sua irripetibile singolarità.

 

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A distanza di più di un decennio dalle ccdd. sentenze di San Martino[1], la terza sezione civile della Suprema Corte si è pronunciata, in pari data, in materia di responsabilità medica attraverso dieci sentenze che affrontano le problematiche maggiormente frequenti.

Una di queste, la n. 28985 del 2019[2], dopo aver esaminato gli aspetti sottesi al consenso informato, si sofferma sul concetto di complicanza.

Un concetto che nel linguaggio medico assume il significato di evento dannoso inevitabile e imprevedibile, in grado di insorgere in qualsiasi momento dell’iter terapeutico.

Nel linguaggio del giurista, invece, la nozione è pressoché estranea in quanto, ponendosi da interprete, ha il compito di esaminare le specifiche circostanze di fatto e la vicenda clinica nella sua irripetibile singolarità.

Nella pronuncia in esame, la Corte sostiene che la “complicanza” non si riferisce al momento del “danno-conseguenza”, ma al momento dell’ “evento-lesivo”, atteso che si tratta di una lesione del diritto alla salute, che si colloca in una «fase cronologicamente e logicamente antecedente lo sviluppo della fattispecie illecita dannosa:

1) inadempimento della obbligazione/errore nella esecuzione della prestazione professionale;

2) determinazione o aggravamento dello stato patologico del paziente/evento lesivo della salute;

3) invalidità temporanea o permanente che ne è derivata/danno conseguenza (non patrimoniale)».

È noto che, in capo all’esercente la professione sanitaria, accanto al dovere della diligenza professionale, grava quello della generale prudenza, la quale impone al professionista la somministrazione di un trattamento terapeutico proporzionato al risultato da perseguire con specifico riguardo alle condizioni concrete del paziente.

Atteso che una complicanza in medicina è un rischio possibile, seppure non probabile, l’inosservanza della regole generali di prudenza e diligenza possono esporre a responsabilità professionale.

In particolare, in caso di peggioramento del paziente correlato a un intervento sanitario, il giurista è chiamato ad analizzare se quel peggioramento era in concreto evitabile o meno in base alle conoscenze tecnico-scientifiche del momento.

In presenza di un evento evitabile, infatti, la condotta è imputabile alla struttura sanitaria.
Di converso, la presenza di un evento inevitabile, integra gli estremi della causa non imputabile di cui all’art. 1218 c.c..

Tuttavia, sebbene un evento dal punto di vista clinico sia riconducibile a una complicanza non è sufficiente a far scattare il meccanismo della causa non imputabile di cui all’art. 1218 c.c.

Resta fermo l’onere in capo al paziente - danneggiato di provare il nesso eziologico sia sotto il profilo della causalità materiale (la riconducibilità dell’evento lesivo alla condotta del sanitario) sia della causalità giuridica (individuazione inequivocabile delle conseguenze pregiudizievoli).

Il medico, invece:

  • per esentarsi da responsabilità, dovrà dimostrare di aver tenuto una condotta conforme alle leges artis, indipendentemente dalla riconducibilità del danno ad una complicanza;
  • nella circostanza opposta, in mancanza di prova, dovrà dimostrare la prevedibilità ed evitabilità in concreto.

Secondo i Giudici di legittimità la relazione eziologica “tra condotta ed evento-lesivo”, da ricercarsi sul piano della cd. “causalità materiale”, deve essere distinta dalla relazione eziologica “tra evento-lesivo e conseguenze dannose”, che, invece, va analizzata sul piano della cd. “causalità giuridica”. 

Sotto il profilo materiale, precisa la Corte, un evento dannoso è considerato causato da un altro se, stabilite le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo, fermo restando che all’interno delle serie causali così determinate dovrà darsi importanza solo a quelle che, nel momento in cui si produce l’evento, non appaiano del tutto inverosimili.

Attraverso tale disquisizione emerge una nozione di prevedibilità diversa sia da quella di cui all’articolo 1225 c.c., sia dalla prevedibilità posta a base del giudizio di colpa, in quanto prescinde da ogni riferimento alla diligenza dell'uomo medio, e si sofferma, invece, «sulle regole statistiche e probabilistiche necessarie per stabilire il collegamento di un certo evento ad un fatto».

La Corte chiarisce che, solo in un momento successivo, il Giudice chiamato a decidere deve procedere alla ricerca del nesso di causalità giuridica che lega tale evento alle conseguenze dannose risarcibili, il cui accertamento, dovrà avvenire in applicazione dell'articolo 1223 c.c.

Ne discende pertanto che per superare la presunzione di cui all’articolo 1218 c.c. non basta dimostrare che l’evento dannoso per il paziente «rappresenti una complicanza, rilevabile nella statistica sanitaria, dovendosi ritenere tale nozione […] priva di rilievo sul piano giuridico, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi a un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile[3]».

 

Il presente contributo è stato redatto con la collaborazione della Dott.ssa Giovanna Michienzi - Legalsanità

 

[1] Cass., SS.UU., sentenze 11 novembre 2008, n. 26972 e 26975.

[2] Cass. civ., sez. III, sentenza 11 novembre 2019, n. 28985.

[3] Cfr. altresì Cass. civ, sez. III, sentenza 08 gennaio 2020, n. 122.

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