21 Giugno 2021

“Ristrutturazione ricostruttiva” e nuova costruzione: una labile linea di confine

ALESSANDRO MAZZA

Immagine dell'articolo: <span>“Ristrutturazione ricostruttiva” e nuova costruzione: una labile linea di confine</span>

Abstract

La cosiddetta “ristrutturazione ricostruttiva”  è stata oggetto del decreto legge 16 luglio 2020, n. 76 (cd. “Decreto Semplificazioni”), con le modifiche apportate all’art. 3, comma 1, lett. b) D.Lgs. n. 380/2001 (TUE) che ha esteso gli interventi di “ristrutturazione edilizia” al caso di “demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l’adeguamento alla normativa antisismica, per l’applicazione della normativa sull’accessibilità, per l’istallazione di impianti tecnologici e per l’efficientamento energetico”, consentiti senza incrementi di volume, salvo eccezioni.

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Il problema

Senza concentrarci sulle eccezioni, si pone il problema se di regola, una volta demolito il precedente fabbricato, si possa chiedere il permesso edilizio per “ristrutturarlo” costruendo diversi fabbricati, la cui somma volumetrica sia pari a quella del precedente immobile demolito, o se, in tale caso, si debba chiedere un permesso per “nuova costruzione” ai sensi della successiva lett. e) del medesimo art. 3. La questione può essere rilevante laddove il PRGC consenta la “ristrutturazione” ma non la “nuova costruzione”.

La risposta non sembra di pronta soluzione.

In base alla disposizione della lett. d) sopra ricordata, si deve ritenere che l’elemento distintivo della ristrutturazione sia costituito dal mantenimento della medesima volumetria. Pertanto, sembrerebbe non illogico che, a parità di volume complessivo e di rispetto delle altre norme edilizie, sia oggi possibile ristrutturare mantenendo il numero di edifici preesistenti ovvero modificandoli.

Tuttavia, la nozione di “nuova costruzione” di cui alla lett. e), del citato art. 3, non modificata dal Decreto Semplificazioni, al n. 1 prevede che sia da considerarsi “comunque” intervento di nuova costruzione la costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati.

Prima dell’entrata in vigore del Decreto Semplificazioni, il Consiglio di Stato, Sez. IV, con sentenza 7.4.2015, n. 1763, aveva affermato doversi individuare la distinzione “nella già avvenuta trasformazione del territorio, affermazione ancora di recente ribadita dalla medesima sezione con sentenza 26.10.2020, n. 6502, secondo cui “la ristrutturazione edilizia si caratterizza per la diversità dell’organismo edilizio prodotto dall’intervento di trasformazione rispetto al precedente (cfr. ex multis, Cons. Stato, sez. IV, nn. 6282 e 5466 del 2020; sez. VI, n. 4267 del 2016) e che essa si distingue dalla nuova costruzione perché, mentre quest’ultima presuppone una trasformazione del territorio, la ristrutturazione è invece caratterizzata dalla preesistenza di un manufatto, in quanto tale trasformazione vi è in precedenza già stata”.

Da ultimo, il Consiglio di Stato, sez. VI, con la recente sentenza 13.1.2021, n. 423, sempre avuto riguardo ad un intervento edilizio precedente l’entrata in vigore del Decreto Semplificazioni, richiamando un proprio consolidato orientamento, ha affermato che “quando un manufatto viene stravolto nelle sue caratteristiche essenziali, così come autorizzate, l’intervento è da qualificare non di “ristrutturazione” bensì di “nuova costruzione”. Con tale locuzione si intende qualsiasi intervento che consista in una trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio, attuata attraverso opere di rimodellamento della morfologia del terreno, ovvero costruzioni lato sensu intese che, (…), presentino un simultaneo carattere di stabilità fisica e di permanenza temporale, dovendosi con ciò intendere qualunque manufatto che sia fisicamente ancorato al suolo (il cui tratto distintivo e qualificante viene, dunque, assunto nell’irreversibilità spazio-temporale dell’intervento) che possono sostanziarsi o nella costruzione di manufatti edilizi fuori terra o interrati o nell’ampliamento di quelli esistenti all’esterno della sagoma stabilita[1].

Anche le nozioni stesse di “organismo edilizio” ed “edificio”, utilizzate dalla disposizione di legge, sembrerebbero differire: infatti, per “edificio” sembra debba intendersi “qualsiasi costruzione coperta, isolata da vie o da spazi vuoti, oppure separata da altre costruzioni mediante muri che si elevano, senza soluzione di continuità, dalle fondamenta al tetto; che disponga di uno o più liberi accessi sulla via, e possa avere una o più scale autonome[2]; l’“organismo edilizio”, invece, farebbe riferimento a un “insieme strutturato di elementi spaziali e di elementi tecnici, pertinenti all’edificio, caratterizzati dalle loro funzioni e dalle loro relazioni reciproche[3].

 

Una possibile soluzione

Pertanto, da un lato la ratio della riforma della ristrutturazione ricostruttiva sembrerebbe indicare nel mantenimento della volumetria il criterio guida: se dopo la ricostruzione è la stessa, sia pure frammentata in più edifici diversi, l’utilizzo edificatorio del territorio è già avvenuto, per cui si potrebbe ritenere che si rientri nella “ristrutturazione”.

Tuttavia, se da un solo edificio si ricavano due o più edifici, sia pure con la stessa volumetria complessiva del precedente, sembra oggettivamente difficile non ricadere nella lettera e), che considera “nuova costruzione” la costruzione di un nuovo edificio “comunque”, cioè anche a prescindere da quanto possa consentire la precedente lettera d).

D’altra parte, in base alla lettera d), la ristrutturazione in generale può portare a costituire un “un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente”, ma non già ad un “edificio” “nuovo, che, in effetti, è tuttora disciplinato dalla lettera e).

Pertanto, in attesa di pronunce giurisprudenziali chiarificatrici, la soluzione più aderente al dettato normativo sembra possa essere la seguente:

  • la demolizione e ricostruzione di edifici esistenti, se anche porta ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso, costituisce “ristrutturazione edilizia”, sempre che le altre condizioni imposte dal TUE e dagli strumenti urbanistici siano rispettate;
  • l’edificio ricostruito, tuttavia, per rimanere nell’ambito della “ristrutturazione”, non può stravolgere nelle sue caratteristiche essenziali quello demolito e, in particolare, un edificio prima inesistente deve “comunque” considerarsi “nuovo” ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. e), TUE e non già “diverso” ai sensi della precedente lett. d);
  • ne consegue che, se da un edificio preesistente si creano due edifici, sia pure con identica volumetria complessiva, mi sembra arduo sostenere che si sia in presenza di una “ristrutturazione” (lett. d) e non già di una “nuova costruzione” (lett. e).

 

[1] Conf.: Cons. Stato, sez. IV, 19.1.2016, n. 238; id., sez. VI, 3 marzo 2020, n. 1536; id., sez. II, 6.4.2020, n. 2304. richiamando Cass. Civ., sez. II, 30.6.2017, n. 16268; T.A.R. Campania, sez. II, 7.12.2017, n. 5785.

[2] Circolare del Ministero dei lavori pubblici 23 luglio 1960, n. 1820.

[3] Norme UNI 10838:1999 dell’ottobre 1999.

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