26 Gennaio 2018

Fondere due studi: avete pensato a tutto?

GIULIA PICCHI

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Abstract

Chi non ha mai avuto la tentazione di aggregare il proprio studio a quello di altri professionisti alzi la mano. Le ragioni possono essere le più diverse: espandere la propria attività, sviluppare nuove aree, ridurre i costi fissi facendo economie di scala, offrire ai clienti un servizio migliore (o anche lo stesso) a un prezzo più competitivo.

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In un mercato in recessione in cui gli studi combattono (almeno) per conservare le proprie quote, niente di più facile che trovarsi davanti a un cliente che pretende sempre di più a sempre meno – ossia alta qualità e altrettanti sconti sulla parcella… come se le due cose potessero convivere!

Il dubbio che si potrebbero ottenere migliori risultati condividendo gioie e dolori con qualcun altro si insinua così. E allora, durante la prima riunione soci utile, si prova a buttare sul tavolo l’idea di fare almeno l’esercizio di provare a identificare, tra gli studi che più o meno direttamente si conoscono, quale potrebbe essere quello più adatto con cui unire le forze. E tra qualche perplessità e resistenze più o meno manifeste, le menti dei presenti cominciano a giocare a “Indovina chi”.

Banalmente, in una fusione le attività possono essere suddivise in tre momenti: prima, durante e dopo. Meno banale, invece, è quel che, per qualche misteriosa ragione, accade sempre nelle fasi preliminari quando si tende a guardare immediatamente al mercato, cercando un altro studio compatibile, senza avere dedicato tutto il tempo che serve a mettere a fuoco se stessi, identificando quali sono le caratteristiche con cui un altro dovrebbe essere compatibile.

ATTIVITÀ DI COORDINAMENTO – PRIMA DELLA FUSIONE TRA STUDI

Se vince la frangia pro-fusione, una volta identificata l’altra realtà, si fissa un primo appuntamento per presentare l’idea al futuro coniuge e si avvia, in una zona ancora assolutamente grigia, un processo di reciproco studio e altrettante verifiche interne sul gradimento reciproco e sulle opportunità per entrambi.

Ancora una volta per ragioni misteriose a pensarci, via via che le chiacchierate tra studi si infittiscono, ci si concentra prima di tutto sulle cosiddette “practical issues” e quindi prevalentemente sulle infrastrutture - la futura sede, il gestionale, le varie piattaforme software, le banche dati, ecc. – per scivolare solo poi su questioni sempre più delicate - il nome dello studio, la struttura di management, la possibilità di non sovrapporre quanto piuttosto integrare le proprie competenze, ecc.

Solo in coda o comunque con minore attenzione vengono esaminati altri aspetti, attinenti al “come si fanno le cose da queste parti” e cioè:

  • la strategia verso i clienti: gestione di eventuali conflitti di interesse, modalità di acquisizione e poi gestione del singolo cliente, sviluppo delle singole aree di attività esistenti e di eventuali nuove aree, focus sui settori di appartenenza della clientela, ecc.
  • la cultura e i valori che guidano l’operato degli studi: modalità di lavoro, mantenimento e sviluppo dei rispettivi talenti, gestione delle risorse più giovani, gestione dello staff, stile e modalità di comunicazione all’esterno, solo per citarne alcuni.

Se è evidente che in una fusione risolvere le questioni più operative è un requisito ineludibile per garantire il buon funzionamento della nuova realtà, nei fatti sono proprio queste due aree a determinare la riuscita e poi il successo dell’integrazione.

Il rischio che si corre non occupandosene fin dalle prime mosse è quello di sprecare tempo e denaro per dotarsi intanto dell’infrastruttura (di fatto vuota), con la scusa che di tutto subito non ci si può occupare e la speranza che poi ad ogni eventuale problema si troverà una soluzione adeguata.

Eppure offrire servizi legali “is a people business” e professionisti e clienti di uno studio sono il suo asset più importante. Per questo risulta abbastanza curioso che, come si dice, non si prenda il toro per le corna e non si affrontino subito le questioni più spinose.

ATTIVITÀ DI COMUNICAZIONE – IN CORSO DI FUSIONE

Ma guardiamo le cose con ottimismo. La fusione è stata un successo: al periodo di fidanzamento sono seguite le nozze, poi il viaggio e anche al rientro tutto bene. Ma la domanda a questo punto è: agli invitati principali – i professionisti di entrambi gli studi e i clienti - è stato adeguatamente comunicato che cosa li aspetta? O sono stati semplicemente informati? Certo, magari è stato mandato un avviso di qualche genere – un messaggio via mail, una newsletter più o meno massiva in cui si dava la notizia corredata dei nuovi (o inalterati) recapiti, una telefonata per chi merita maggiori attenzioni.

Magari ci si è spinti oltre e si è anche data una bella festa di inaugurazione della nuova realtà.

Ma qualcuno ha pensato a spiegare bene all’interno che cosa realmente significhi per le persone che vi operano questa fusione? Qualcuno ha comunicato che impatto avrà sulle opportunità di crescita personali e di sviluppo del proprio talento? Quali occasioni di espansione delle proprie conoscenze e responsabilità?

E non certo meno importante, qualcuno si è preso la briga di trovare una risposta adeguata alla prima domanda che nascerà spontanea nella testa di ciascun cliente: “che benefici potrò ottenere io dalla loro fusione?” Perché se si manca di spiegare nel dettaglio questo passaggio, si lascerà spazio ad altri dubbi tra cui:

  • rispetto alle attività ongoing, questa fusione avrà qualche impatto negativo?
  • continuerò a lavorare con lo stesso team?
  • continuerò ad essere una priorità anche per la nuova realtà?
  • le fee aumenteranno?

Una fusione ça va sans dire è un momento delicatissimo in tutte le sue fasi: prima, durante e dopo. Muoversi lungo un processo strutturato che aiuti a trovare una risposta a tutte le domande critiche per avere successo è indispensabile quanto occuparsi delle attività di comunicazione del progetto, verso le risorse chiave dello studio, i suoi professionisti e i suoi clienti.

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