12 Dicembre 2019

Bancarotta documentale: avvicendamento degli amministratori e responsabilità

VALERIO ROCHIRA

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Abstract

La Quinta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione ha stabilito con una recentissima pronuncia (Cass. n. 15988 dell’11.03.2019 – dep. 11.04.2019) che la bancarotta fraudolenta documentale impropria rimane comunque reato proprio dell'amministratore, il quale non può, in ragione della qualifica ricoperta in un periodo precedente, rispondere anche della tenuta della contabilità in quello successivo alla dismissione della carica, a meno che non venga provato che egli abbia continuato ad ingerirsi di fatto nell'amministrazione della società ovvero, quale extraneus, sia in qualche modo concorso nelle condotte illecite di cui deve rispondere il nuovo amministratore.

Segnatamente, il caso in esame prendeva le mosse da un effettivo passaggio di consegne tra un vecchio amministratore (e socio) e il suo successore, cui aveva anche ceduto le proprie quote. In pratica, dopo l’integrale avvicendamento tra cedente e cessionario – non solo nella titolarità delle quote sociali, ma anche, e soprattutto, nell’amministrazione dell’impresa – a distanza di oltre un anno sarebbe intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento. Nonostante la prova dell’effettività del passaggio di consegne, i Giudici del merito ritenevano corretta l’ascrizione del reato di bancarotta documentale anche al pregresso titolare dell’impresa.

Fortunatamente, la sentenza in esame ristabiliva il quadro ermeneutico della fattispecie entro la cornice costituzionale, in quanto, l’imputazione del fatto di reato al vecchio amministratore non poteva che configurarsi come una mera responsabilità di posizione, dunque in netto contrasto con i principi di personalità e colpevolezza cui è informato l’ordinamento.

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Breve esegesi della disciplina in tema di bancarotta documentale

L'art. 216 l. fall., oltre alla ipotesi di bancarotta patrimoniale, contempla la figura della bancarotta documentale. Il Regio Decreto tipizza, suddetta ipotesi, con requisiti diversi a seconda che si tratti di bancarotta pre o post fallimentare. Nella “bancarotta documentale prefallimentare” (art. 216, comma 1, n. 2) infatti si fa riferimento all'imprenditore che «ha sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte, con lo scopo di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o di recare pregiudizio ai creditori, i libri o le altre scritture contabili o li ha tenuti in guisa da non render possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari». Nella “bancarotta documentale postfallimentare” (art. 216, comma 2, ultima parte), invece, è punito l'imprenditore che «sottrae, distrugge o falsifica i libri o le altre scritture contabili». Pertanto, se nella bancarotta documentale prefallimentare è previsto il “dolo specifico” alternativo di procurare un ingiusto profitto ovvero di recare pregiudizio, in quella postfallimentare si risponde solo a titolo di dolo generico del mero occultamento della contabilità.

Un’importante distinzione va fatta poi tra la bancarotta documentale fraudolenta e quella semplice (art. 217 comma 2 L.F.). In particolare quest’ultima configura un’ipotesi di bancarotta prefallimentare per cui viene sanzionata la condotta dell’imprenditore fallito che nei 3 anni precedenti alla dichiarazione di fallimento non abbia ottemperato agli obblighi di regolare tenuta delle scritture contabili. In tal caso, dunque, la ratio punitiva è scevra da logiche di profitto e pregiudizio e sanziona la condotta, anche negligente, del fallito che abbia trascurato i propri doveri contabili a danno della par condicio creditorum. Oltre all’elemento soggettivo, le fattispecie differiscono per l’oggetto del reato, invero, quello della bancarotta semplice (documentale) è rappresentato dai libri e dalle scritture contabili prescritti dalla legge la cui tenuta è obbligatoria. L’oggetto della bancarotta fraudolenta documentale riguarda, invece, tutti i libri e le scritture contabili genericamente intesi, ancorché non obbligatori, dai quali sia possibile ricavare i fatti relativi alla gestione.

Il caso oggetto di questa disamina riguarda una fattispecie di bancarotta fraudolenta documentale impropria.

Si distingue da un punto di vista disciplinare tra bancarotta propria e impropria a seconda che la prima la si consideri prerogativa dell’imprenditore stricto sensu (ex art. 2082 c.c.), mentre la seconda è da considerarsi reato proprio di amministratori, liquidatori e direttori generali, soggetti che, per il diritto penale, rivestono le qualifiche formali idonee alla configurazione dei reati societari e a cui l’art. 223 co. 1 L.F. estende la punibilità per le condotte di bancarotta (donde la definizione di bancarotta impropria).

 

L’avvicendamento degli amministratori e la responsabilità del solo successore in caso di effettivo passaggio di consegne

Il punto saliente dell’analisi concerne il dubbio circa la persistenza della responsabilità per bancarotta documentale in capo all’amministratore cessato, laddove la società sia fallita durante la gestione di chi gli è succeduto.

Il fenomeno in cui spesso ci si imbatte nell’analisi dei casi giudiziari concerne, in caso di fallimento, l’imputazione a strascico del delitto di bancarotta per tutti gli amministratori che si sono susseguiti nella storia della società. Se in caso di bancarotta per distrazione (la cui disciplina non si ha modo di approfondire per ragioni di economia) la contestazione sarebbe legata a una presunta disposizione patrimoniale fatta in favore dell’amministratore a danno del compendio creditorio, di converso, l’ascrizione della bancarotta documentale anche agli amministratori della gestione precedente al fallimento sovente rischia di configurare una mera responsabilità di posizione. Come noto però lo statuto costituzionale della responsabilità penale rigetta a priori le fattispecie assimilabili a responsabilità oggettiva, poiché non conformi al principio di colpevolezza.

Beninteso, la sentenza in esame demarca con precisione l’alveo di responsabilità degli amministratori in virtù dell’avvenuta successione nelle cariche di gestione, a maggior ragione ove vi sia prova dell’effettivo passaggio di consegne, consacrato, anche, dalla cessione della titolarità delle quote sociali.

Segnatamente, l'amministratore cessato rimane responsabile per l'effettiva e regolare tenuta della contabilità nel periodo in cui ha ricoperto la carica, rispondendo altresì dell'eventuale occultamento della stessa, in tutto o in parte, al momento del passaggio delle consegne al nuovo amministratore, fermo restando l'autonomo obbligo di quest'ultimo di ripristinare i libri e documenti contabili eventualmente mancati e regolarizzare le scritture di cui rilevi l'erroneità, lacunosità o falsità.

Cionondimeno, quello di bancarotta documentale impropria rimane pur sempre un reato proprio dell'amministratore, il quale non può, in ragione della qualifica ricoperta in un periodo precedente, rispondere anche della tenuta della contabilità in quello successivo alla cessazione della propria carica, salvo che non venga provato che egli abbia continuato ad ingerirsi di fatto nell'amministrazione della società ovvero, quale extraneus, abbia in qualche modo concorso nelle condotte illecite di cui deve rispondere il nuovo amministratore.

 

Osservazioni finali

In conclusione, la S.C., in ossequio ai parametri costituzionali e convenzionali (artt. 27 Cost. e 7 CEDU), scinde la responsabilità degli amministratori in caso di avvicendamento. Non è configurabile un’ipotesi di concorso nel medesimo reato, atteso che trattasi di due periodi differenti di gestione, per ognuno dei quali risponderà soltanto il rispettivo titolare della carica.

L’unica possibilità di attribuzione dei delitti del nuovo amministratore al suo predecessore residuerebbe nel caso in cui quest’ultimo si sia ingerito nella nuova gestione anche a seguito della cessazione della propria carica.

Trattasi della classica figura dell’amministratore di fatto, che va attribuita a chi svolge con continuità atti di gestione della società, ancorché privo di qualifiche formali; essa, però, non deve confondersi necessariamente con quella dell’amministratore occulto, ossia colui il quale si scherma dietro la figura del classico “presta-nome”. Infatti, ciò che importa è l’apporto causale e colpevole dell’extraneus, il quale può rilevare anche con riguardo a un unico atto particolarmente significativo, come ben può essere anche la decisione (a cui l'amministratore formale si sottometta) di interrompere l'attività imprenditoriale e sospendere qualsiasi annotazione contabile.

In sintesi, considerando i principi sanciti dalla sentenza in oggetto come linee guida, è pacifico che in caso di avvicendamento nell’amministrazione della società, sub specie ove il nuovo amministratore divenga titolare delle quote sociale, si verifichi, alla luce del principio di effettività, una scissione nei rapporti di gestione, che giova anche ai fini della responsabilità penale. Pertanto, dei fatti di reato successivi (specialmente di bancarotta documentale come spiegato) ne risponderà solo il successore (spesso anche cessionario delle quote), ove questi siano solo a quest’ultimo imputabili, salvo che venga provata la persistenza di un’ingerenza causalmente rilevante nelle scelte amministrative da parte del vecchio gestore.

 

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