06 Ottobre 2020

Il D.Lgs. 231/01: paradigma e bussola del nuovo art. 2086 c.c.

MARIA CHATZIKONSTANTI

Immagine dell'articolo: <span>Il D.Lgs. 231/01: paradigma e bussola del nuovo art. 2086 c.c.</span>

Abstract

A 20 anni dalla sua entrata in vigore, il diritto societario raccoglie l’eredità del D.Lgs. 231/2001, ampliandone la prospettiva e la visione. È certamente anche grazie all’esperienza 231 che si è plasmato oggi il concetto di adeguatezza della struttura organizzativa e traghettato nella quotidiana amministrazione d’impresa un principio, originariamente accostato alle quotate, e consacrato, nel nuovo art. 2086 c.c., post Codice della Crisi d’impresa, a paradigma comune, obbligatorio, a tutte le imprese.

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L’indiscusso valore del modus operandi introdotto dalla 231

La governance societaria auspicata dall’art. 2086 c.c. carpisce l’essenza innovativa della 231, ovvero il suo modus operandi, il voler perseguire i suoi scopi attraverso l’organizzazione di impresa, declinata in processi e procedure. Se la prevenzione dei reati è sempre stata lo snodo della normativa in materia di responsabilità amministrativa degli enti, è pacifico che le imprese che hanno alzato lo sguardo oltre il perimetro letterale dell’art. 6 del D.Lgs. 231/2001, puntando all’ottimizzazione dei processi interni, ne abbiano compreso il valore più profondo.

A questa logica aderisce pienamente l’art. 2086 c.c. e lo dichiara già nel dettato letterale della sua stessa previsione codicistica. L’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile trascende, si legge chiaramente nella norma, il limite della “rilevazione tempestiva della crisi”, che è solo una - non trascurabile, certo - delle finalità sottese all’organizzazione dell’attività di impresa di cui gli amministratori devono farsi carico.

La pur seria necessità di prevenire la commissione di reati, da una parte, e la crisi d’impresa, dall’altra, non richiederebbero di per sé il complessivo ripensamento della struttura organizzativa, se non per generare valore nel lungo termine e perseguire un successo sostenibile. Perché il vero obiettivo di un’adeguata organizzazione d’impresa, come insegna l’esperienza 231, non può essere concepito in negativo, come mancato avveramento di uno scenario non voluto, ma anzi deve essere elaborato, in positivo, come raggiungimento di un traguardo più lontano.

 

Un nuovo concetto di rischio d’impresa

L’evoluzione metodologica raggiunta grazie a un’efficace applicazione della 231 e la consapevolezza di un nuovo approccio nella governance e nella gestione d’impresa passano tuttavia attraverso una reinterpretazione del concetto di rischio di impresa (e del conseguente regime di responsabilità dell’amministratore).

Se, infatti, ritornando all’esempio della 231, sarebbe semplicistico immaginare di poter intercettare la commissione di reati attraverso la sola proiezione di scenari di condotta, per converso, sarebbe fortemente limitativo credere di poter contenere la crisi aziendale mediante il mero controllo di indicatori finanziari. Perché se la crisi d’impresa è certamente un fatto economico, non necessariamente di tale natura è il fattore che potrebbe averla innescata. A ben vedere, anzi, gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale e finanziario sono solo alcuni, peraltro i più facili da catalogare e dunque da controllare, dei parametri da tenere in considerazione per la valutazione delle prospettive di continuità aziendale.

Quando si tratta di mettere alla prova un sistema di corporate governance sono ben altri (e variegati) i fattori che entrano in gioco. Tra questi rilevano senza dubbio quelli da cui scaturiscono i rischi legati a scelte di natura strategica, operativa, legale, ICT. Né potranno tralasciarsi, nel novero dei possibili responsabili di una crisi di impresa, i c.d. rischi puri, eventi per antonomasia ignoti ed imprevedibili che, ove dirompenti, potrebbero impattare, anche irrimediabilmente, sulla continuità aziendale, come la recente emergenza epidemiologica da Covid-19 purtroppo insegna.

 

In che direzione?

Poiché oggi più che mai viviamo in quella che Ulrich Beck aveva profeticamente definito la “Società del Rischio”, cosa deve garantire un amministratore capace, se eludere il rischio è comunque impossibile? Ciò che si chiede è dunque di anticipare il rischio in senso lato, ovvero metterlo in prospettiva, per prevenirlo o quanto meno contenerne gli effetti.

La strategia migliore per conseguire questo risultato non può che essere l’implementazione di un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, mutuando l’insegnamento e la tecnica messa a punto in questi 20 anni di applicazione del D.Lgs. 231/2001.

Verso l’assetto auspicato dall’art. 2086 c.c., la direzione intrapresa dalla 231 è certamente quella giusta, a condizione che si traduca in un’efficace ed efficiente governance senza inutili duplicazioni di funzioni e di burocrazia. Per mettere davvero a frutto quanto maturato fino ad oggi bisognerà tuttavia puntare a un orizzonte più ampio, perché il modello 231 è solo un ingranaggio del più complesso strumento di gestione di impresa in cui si articola l’assetto organizzativo, amministrativo e contabile ai sensi dell’art. 2086 c.c. 

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