18 Gennaio 2021

L'Agenzia delle Entrate può contestare il valore dell'avviamento iscritto in bilancio

PAOLO COMUZZI

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Abstract

Il caso a cui si riferisce la decisione della Cassazione n. 14872/2020 è abbastanza semplice da delineare e si riassume dicendo che in una operazione di acquisto di azienda viene contestato al soggetto acquirente l’avviamento che lo stesso ha iscritto in bilancio e, in ragione di questa iscrizione, ha proceduto a dedurre mediante ammortamento.

Questo sarebbe avvenuto pur in presenza del fatto che il collegio sindacale si sarebbe opposto a tale iscrizione (validata solo nel periodo di imposta successivo) e da qui il fatto che l’accertamento giunge a negare che l’ammortamento dell’avviamento sia un costo deducibile.

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La Cassazione nel riassumere i fatti ha cura di affermare che “…I ricorsi riuniti vennero parzialmente accolti in primo grado, limitatamente alla deducibilità dei costi infragruppo; proposto appello sia dalla Rizzato Nastri Acciaio s.p.a. che dall'Agenzia delle Entrate, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto, con sentenza depositata il giorno 25 novembre 2010, accolse entrambi i gravami, dichiarando quindi legittima la ripresa a tassazione fondata sulla indeducibilità dei costi infragruppo per il solo anno 2003 e illegittima quella fondata sulla indeducibilità della quota di ammortamento del valore di avviamento, come iscritto in bilancio, dell'azienda ceduta alla contribuente …”.

Da questa statuizione pro - contribuente della CTR del Veneto nasce il ricorso dell’Agenzia delle Entrate che non accetta la decisione sul punto e sostiene che “… erroneamente la commissione tributaria regionale ha ritenuto deducibili i costi delle quote di ammortamento del valore dell'avviamento dell'azienda ceduta alla contribuente, nonostante il mancato consenso all'iscrizione in bilancio, almeno per l'anno 2002, espresso dal suo collegio sindacale …”.

 

Commenti

La contestazione sembra formale ma la decisione ha diversi punti di interesse che andiamo a esaminare nel seguito.

Il primo di questi punti si riassume in questa considerazione della Corte che afferma quanto segue: “…Invero, in tema di bilancio societario questa Corte ha già affermato che l'art. 2426, primo comma, n. 6), c.c., consentendo l'iscrizione dell'avviamento derivato, cioè conseguito in caso di acquisto a titolo oneroso e nei limiti del costo per esso sostenuto, non esclude che, se anche il prezzo di cessione di azienda resta il frutto della libera contrattazione delle parti, la sua successiva ripartizione a fini contabili, tra le singole componenti, del corrispettivo unitario versato, possa essere sindacata dall'amministrazione finanziaria secondo il criterio della correttezza e veridicità del bilancio (Cass. 16/04/2008, n. 9950) …”.

In buona sostanza sembra di capire che nella formulazione del prezzo di acquisto dell’azienda le parti (cedente e compratore) non avessero fatto un preciso riferimento ad una situazione patrimoniale di cessione ma fossero giunte alla conclusione per cui il prezzo era un prezzo complessivo (una formula per cui l’azienda viene pagata la somma complessiva di Euro X e tale somma sarà attribuita dal compratore ai cespiti oggetto di acquisizione mentre il passivo è certo).

Se questo è accaduto (a parte la ingenuità dei contraenti) è ovvio che la ripartizione del corrispettivo deve tenere conto delle regole di formazione del bilancio e quindi possiamo anche capire che la opposizione del collegio sindacale alla iscrizione di una posta come l’avviamento (che è una posta residuale) abbia giocato contro il contribuente che invece ha proceduto alla imputazione del prezzo senza tenere conto dell’organo di controllo.

In questa situazione non appare assolutamente incongruo e rivoluzionario il principio secondo cui “…resta ferma l'applicabilità del principio generale di derivazione civilistica codificato dall'art. 2423, comma secondo, c.c., a tenore del quale va sempre rispettato il criterio di veridicità e correttezza nella formazione del detto documento. L'Amministrazione finanziaria, in sostanza, deve essere posta in condizione di verificare sempre la effettiva deducibilità dei costi iscritti in bilancio, in base al valore reale dei beni materiali o immateriali, nonostante siffatto documento sia stato regolarmente approvato dall'assemblea dei soci e abbia ottenuto il consenso del collegio sindacale …”.

La seconda considerazione di interesse che viene portata nella decisione della Cassazione consiste nell’affermazione per cui “…L'Amministrazione finanziaria, in sostanza, deve essere posta in condizione di verificare sempre la effettiva deducibilità dei costi iscritti in bilancio, in base al valore reale dei beni materiali o immateriali, nonostante siffatto documento sia stato regolarmente approvato dall'assemblea dei soci e abbia ottenuto il consenso del collegio sindacale…”.

Tale considerazione si sviluppa in modo coerente con la affermazione per cui l’Amministrazione Finanziaria “… può sempre sindacare la deducibilità dei relativi costi, ove dimostri che non il valore reale del bene materiale o immateriale è stato iscritto in bilancio, ma quello che risulta frutto della violazione del principio fissato dall'art. 2423, comma secondo, c.c. in forza del quale l'imprenditore deve iscrivere tutte le poste in bilancio al loro valore reale, non potendo inserire poste inesistenti o sopra valutate…”.

In sostanza viene formulato un principio di diritto che porta ad una conclusione evidente e del tutto chiara per i tecnici ovvero che il bilancio di esercizio può essere oggetto di una contestazione diretta dell’Amministrazione Finanziaria anche quando il documento è approvato e non sussiste alcuna ragione per la sua impugnazione (e quindi il rischio di una contestazione resta aperto per numerosi esercizi).

La terza delle affermazioni che sono importanti è la seguente: a maggior ragione la contestazione in merito alla valutazione delle poste iscritte in bilancio e quindi dedotte mediante ammortamento può insorgere quando non sono rispettate le formalità di legge e /o la operazione è tra parti correlate (anche se tutti i soggetti sono residenti fiscali in Italia).

Sul punto la Corte afferma con chiarezza che “…nella vicenda all'esame, non solo il collegio sindacale della contribuente aveva negato il proprio consenso - pure espressamente prescritto dall'art. 2426, comma primo, n. 6), c.c. - affinché venisse iscritto nel bilancio della contribuente per l'anno 2002, l'avviamento dell'azienda acquistata in base ai valori indicati dall'organo amministrativo, ma va vieppiù considerato che la cessione d'azienda di cui si tratta era intervenuta tra una società cedente che controllava - possedendone integralmente le sue azioni - quella cessionaria, id est all'interno di soggetti giuridici facenti parte del medesimo gruppo societario …”.

In buona sostanza la appartenenza del cedente e del cessionario allo stesso gruppo è sempre un indice di sospetto (un valido indice di sospetto) che legittima l’Amministrazione Finanziaria a contestare la iscrizione di una posta e la conseguente deduzione di un costo mediante il processo di ammortamento.

 

Conclusioni

A mio modo di vedere la posizione assunta dalla Cassazione è corretta in merito a due elementi:

  1. quando il corrispettivo di una cessione di azienda ha carattere unitario (ovvero non viene ripartito immediatamente nel contratto di cessione che viene anche registrato) l’acquirente deve seguire sempre in modo preciso i criteri di correttezza nella imputazione della somma pagata e nella attribuzione della stessa ai cespiti acquisiti (in sostanza saranno i principi contabili a guidarlo nella imputazione del prezzo pagato ai singoli cespiti);
  2. in ragione di quanto detto la Cassazione dice una cosa corretta nel momento in cui nega la deduzione, mediante ammortamento, di una posta come l’avviamento iscritta senza il rispetto delle formalità prescritte dalla legge (se il collegio sindacale non concorda con la sua iscrizione la posta in oggetto non viene mantenuta nell’attivo e non viene dedotta mediante il processo di ammortamento).

Per evitare qualsiasi confusione un esempio potrebbe essere il seguente: un acquirente di azienda con prezzo unitario che facesse una ripartizione del prezzo pagato imputando lo stesso a beni velocemente ammortizzabili ma, nella suddetta imputazione, agisse in violazione di una corretta impostazione civilistica e subisse anche una contestazione del Collegio sindacale (o del revisore contabile) non avrebbe titolo alcuno per dedurre l’ammortamento sui valori oggetto di erronea imputazione.

In aggiunta va detto che se questa operazione avviene tra parti correlate gli indici di sospetto portano l’Amministrazione Finanziaria in vantaggio nella gestione di una eventuale contestazione.

La mia conclusione è che se interpretata in questo modo che, sia detto per inciso, mi appare del tutto ragionevole allora la decisione della Cassazione appare conforme ai principi ed al dettato delle norme e non ha nulla di rivoluzionario.

 

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