15 Gennaio 2018

Il timore di ammalarsi è risarcibile

PIERPAOLO PETRUZZELLI

Immagine dell'articolo: <span>Il timore di ammalarsi è risarcibile</span>

Abstract

Lo ha sancito la Corte di Cassazione nella recentissima ed innovativa sentenza n. 24217 del 13.10.2017.

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La vicenda processuale arrivata fino al vaglio della Suprema Corte nasce dalla richiesta di ristoro del danno da parte di un lavoratore del porto di Venezia, il quale, a seguito del lavoro svolto in quel porto (seppur alle dipendenze di datori di lavoro diversi) aveva contratto “semplicemente le placche pleuriche”.

Le placche pleuriche sono la diretta conseguenza dell’esposizione di un individuo alle microfibre di amianto, ma, per fortuna, non rappresentano una malattia oncologica. Tuttavia rappresentano la prova provata dell’esposizione all’amianto. Partendo da quest’ultimo presupposto il lavoratore ammalato sosteneva di vivere con la continua preoccupazione di contrarre la ben più grave malattia del mesotelioma, anch’essa conseguente all’inalazione di fibre di amianto, ma sfortunatamente di origine tumorale e purtroppo ad oggi ancora irreversibile.

Già nei due gradi di merito era stato accertato che vi fosse la responsabilità del datore di lavoro nel non aver reso salubre il luogo di lavoro, ovvero che lo stesso datore non avesse adottato tutte le misure necessarie ad impedire che il lavoratore ammalato potesse inalare le fibre di amianto pur presenti nell’attività lavorativa.

La responsabilità era stata accertata in quanto della pericolosità delle molecole di amianto per la salute umana si ha la certezza già dall’inizio del secolo scorso, ed inoltre a rendere salubre il luogo di lavoro, il datore vi è tenuto da obblighi di legge oramai risalenti nel tempo e via via reiterati e specificati fino alle disposizioni più recenti.

E fin qui niente di nuovo sotto il cielo.

La sentenza della suprema corte in materia e le sue conseguenze

La Suprema Corte non ha fatto altro che ribadire che “la prova del nesso causale consiste anche nella relazione probabilistica concreta tra comportamento ed evento dannoso, secondo il criterio, ispirato alla regola della normalità causale, ossia del – più probabile che non…” (Cass. 17334/2012, ribadita più diffusamente dalla recente Cass. Sez. Lavoro n. 19270 del 2 agosto 2017).

La novità ed il dato interessante di questa sentenza sta nella circostanza che la Corte di Cassazione ha ritenuto risarcibile il danno conseguente dalla costante preoccupazione di contrarre il mesotelioma, atteso che fosse già stato acclamato che il lavoratore avesse contratto le placche pleuriche in conseguenza dell’inalazione di fibre di amianto sul “posto di lavoro”.

Queste le parole dei supremi giudici: è risarcibile il maggior danno morale conseguente “al patema e al turbamento provati per il sospetto di malattia futura, correlate al maggior rischio di contrarre il mesotelioma rispetto a soggetti con storie espositive comparabili”.

Si sostiene che correttamente i giudici di primo e secondo grado avessero adottato il criterio della personalizzazione del danno morale, in ossequio all’ormai consolidato arresto giurisprudenziale; tenendo conto altresì dell’insieme dei pregiudizi sofferti, ovvero le condizioni personali e soggettive, le particolarità del caso concreto, la reale entità del danno; omettendo così ogni valutazione automatica nel meccanismo di liquidazione del danno morale ma operando “un’adeguata e circostanziata personalizzazione del pregiudizio subito” dal lavoratore ammalato e timoroso di contrarre una malattia asbesto correlata ben più grave.

La sentenza in commento rappresenta un interessante precedente in materia e può dare l’impulso a nuovi contenziosi circa il danno da paura di ammalarsi.

In attesa delle sezioni unite ne vedremo delle belle. C’è da scommetterci.

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