05 Ottobre 2018

Il crollo del Ponte Morandi e i poteri del Governo

UMBERTO FANTIGROSSI

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Abstract

È in corso il dibattito avviato dal Governo sull’incidente relativo al crollo del Ponte Morandi e alla conseguente revoca della concessione: l’opinione pubblica pare polarizzata tra due posizioni.

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I due poli

La prima posizione è favorevole alla revoca immediata della concessione e dunque al massimo livello di reazione di fronte ad un evento catastrofico che oggettivamente ha riguardato l’ambito di attività demandata al concessionario. La seconda è più propensa ad escludere che si possano imputare a quest’ultimo conseguenze immediatamente sanzionatorie prima di un rigoroso accertamento delle cause del crollo e delle relative responsabilità. Alcuni di coloro che sostengono quest’ultima posizione aggiungono che questo accertamento non può che essere di competenza della magistratura: il che comporta l’attendere i relativi tempi, rinviando ogni decisione all’esito dei processi.

Attori istituzionali e competenze

Come in ogni questione complessa è bene partire dai principi e dal corretto uso dei termini e forse, ancor prima, dalla definizione dell’ambito di competenza dei vari attori istituzionali. A mio avviso, ha colto nel segno in questo senso il Presidente del Consiglio in uno dei suoi primi interventi quando ha detto che il Governo non può attendere i tempi della Giustizia. Indicazione che richiama il corretto confine tra la questione delle responsabilità sul fatto storico specifico – “il passato” - e la verifica immediata di quale sia il miglior modo di soddisfare l’interesse pubblico e quindi tutelare al meglio l’utenza del servizio – “il futuro”. Sebbene i dati di fatto da cui partire possano essere gli stessi, l’ottica e la finalità delle due valutazioni e relative competenze sono chiaramente diverse. La magistratura contesterà dei reati e dovrà accertare precise responsabilità, prevalentemente personali, al fine di comminare pene e disporre risarcimenti. Il Governo, massimo organo esecutivo dell’amministrazione dello Stato, cui compete in via esclusiva di determinare, momento per momento, quale sia il bene per la collettività che rappresenta e che lo ha democraticamente eletto, è quindi chiamato al diverso compito di verificare se, alla luce dell’accaduto, sussistono ancora i presupposti per l’affidamento del servizio pubblico autostradale in capo all’attuale gestore. Posta in questi termini la questione non sembra poter essere risolta in termini privatistici, richiamando il regime della convenzione o le norme del codice degli appalti. Quando si affida un servizio pubblico (originariamente riservato allo Stato) a monte della convenzione si pone l’atto amministrativo, necessariamente unilaterale, che individua in una specifica impresa il soggetto idoneo a svolgere al meglio, nell’interesse in primo luogo dell’utenza, l’attività oggetto del servizio. Si tratta di una scelta espressione di ampia discrezionalità amministrativa e che connota il rapporto in termini fiduciari e che viene quindi effettuata, come si dice, rebus sic stantibus.

La scelta della decadenza

La decadenza della concessione si può quindi giustificare in primo luogo quando vi siano elementi chiari ed obiettivamente idonei a fare venire meno tale fiducia in una mutata situazione. Questo potere, massima espressione dell’amministrare (e non del giudicare) non è certamente completamente libero, dovendosi a sua volta esercitare nel rispetto dei principi del giusto procedimento ed essendo soggetto alla successiva eventuale verifica in sede di giurisdizione del giudice amministrativo, il quale però incontra i noti limiti di un sindacato di mera legittimità non potendosi sostituire all’amministrazione, quindi in questo caso al Governo, nel valutare nel merito la scelta di sostituire il gestore. Va da sé che quando si dichiara la decadenza del concessionario per fatti gravi e per il venir meno della valutazione che attiene all’idoneità soggettiva ad impedire che eventi analoghi si verifichino in futuro, non vi sia spazio per alcun indennizzo.

 

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