23 Luglio 2021

Sulla natura privatistica dei Fondi Paritetici Interprofessionali e le risorse finanziarie dagli stessi utilizzate

SIMONA FIORELLO

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Abstract

Il Tribunale Penale di Milano, con una recente sentenza (13.01.2021/01.03.2021), relativa al reato di truffa aggravata in danno di un Ente pubblico, ha trattato il noto tema della natura pubblica dei Fondi per la formazione professionale continua, soprattutto delle loro risorse, escludendola.

In particolare, il Giudice ha ritenuto che la Pubblica Accusa avrebbe dovuto inquadrare le presunte truffe contestate agli imputati nella fattispecie ordinaria di cui all’art. 640 c.p. e non, come è avvenuto nel caso di specie, di truffa aggravata ai sensi dell’art. 640 bis c.p..

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Introduzione

Con sentenza del 13.01/01.03.2021 il Tribunale di Milano, Sezione VII Penale, ha assolto gli imputati dal reato di truffa aggravata (art. 640 bis c.p.) perché il fatto non sussiste.

Il Direttore Generale di una società ed un docente per una scuola di formazione professionale erano imputati per “truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche” in quanto, secondo la contestazione della Pubblica Accusa, inducendo in errore, con artifici e raggiri, la Regione Lombardia ed un noto Fondo Paritetico Interprofessionale circa l’effettivo svolgimento di alcuni corsi di formazione del personale dipendente della suddetta società, asseritamente mai tenuti, procuravano a loro stessi e ad altri, in tempi diversi e a danno degli enti summenzionati, un ingiusto profitto corrispondente ai contributi versati per il finanziamento dei corsi.

Il Pubblico Ministero aveva, quindi, contestato la truffa aggravata agli imputati per tutti i corsi finanziati indistintamente dalla Regione Lombardia e dal citato Fondo.

 

La natura giuridica dei Fondi Paritetici Interprofessionali

Il Fondo in esame, come altri ed equivalenti fondi paritetici interprofessionali, è un organismo associativo di diritto privato (costituito da un accordo stipulato tra le principali confederazioni sindacali italiane), regolato da norme speciali.

Le risorse finanziarie dei Fondi sono rappresentate dallo 0,30% dei contributi che le imprese (cui vi aderiscono) versano all’I.N.P.S. in favore dei loro dipendenti.

La natura di tali risorse è da molto tempo oggetto di contrasto, soprattutto nella Giurisprudenza Amministrativa, che talvolta l’ha individuata come pubblica (si richiamano il parere n. 2957 del 30.06.2004 del Consiglio di Stato e la sentenza n. 4304 del 15.09.2015, che ha riformato la sentenza TAR Lazio n. 13111/2014, citata infra); talora come privata (si segnala, in particolare, il parere del Consiglio di Stato n. 386 del 26.01.2012; conformemente T.A.R. Lazio Roma, Sez. III bis, 13.01.2015, n. 382 e T.A.R. Lazio Roma, Sez. III bis Sez. III bis, 23.12.2014, n. 13111).

Tra tali diversi orientamenti il Tribunale Penale di Milano ha aderito al secondo, convenendo che i contributi che alimentano i Fondi rappresentano sì una prestazione imposta, ma che detta circostanza non è sufficiente ad individuarne la loro natura pubblicistica, poiché sono “versamenti destinati ad alimentare soggetti privati, per lo svolgimento delle loro attività, tanto più che le eventuali sanzioni pecuniarie sono destinate agli stessi soggetti” (così il Consiglio di Stato, n. 386 del 26.01.2012).

Oltretutto “ancor meno appare possibile qualificarli come <contributi a carico delle finanze pubbliche> ai sensi dell’art. 6, comma 2, del D.L. 31.05.2010, n. 78, non essendo destinati a determinare variazioni dei saldi strutturali di finanza pubblica. I risparmi derivanti dall’applicazione dell’articolo 6 rimarrebbero comunque nella disponibilità del fondo privato senza apportare riduzioni della spesa pubblica” (in tal senso sempre la citata sentenza del Consiglio di Stato).

La natura privatistica delle risorse di tali fondi sarebbe, quindi, coerente con il quadro ordinamentale stesso in cui operano i fondi interprofessionali, la cui attività è solo indirettamente rivolta alla tutela di un interesse generale, ovverossia garantire ai lavoratori occasioni di formazione e di elevazione professionale.

In definitiva, secondo la citata interpretazione, tanto l’origine (risorse provenienti da soggetti privati – le imprese), quanto le modalità di gestione dei finanziamenti (da parte dei Fondi Paritetici Interprofessionali) sono di natura essenzialmente privata.

 

Le conseguenze derivanti dal riconoscimento della natura privatistica dei Fondi Interprofessionali per la Formazione continua

Dalla qualificazione giuridica della natura privatistica dei Fondi discendono notevoli conseguenze di diritto, come è risultato nel caso affrontato dal Tribunale Penale di Milano.

Infatti, il Giudice ha ricondotto le presunte truffe contestate agli imputati nella fattispecie ordinaria di cui all’art. 640 c.p. e le ha giudicate improcedibili per difetto di querela in quanto il Fondo, nel caso di specie, non risultava avere mai presentato alcuna denuncia – querela in relazione ai fatti oggetto del processo1.

Si sottolinea che, pur costituendo il delitto di truffa aggravata reato presupposto della responsabilità amministrativa degli enti, di cui all’art. 24 del D.Lgs. n. 231/2001, l’Ufficio di Procura non ha ritenuto di formulare imputazione a carico della società ma, laddove l’addebito fosse stato avanzato, l’intervenuta derubricazione del reato avrebbe altresì condotto ad una pronuncia di esclusione della responsabilità dell’ente.

 

Conclusioni

La sentenza in commento rappresenta una rilevante, quanto inedita, pronuncia nell’ambito di un annoso contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto proprio la natura privatistica ovvero pubblica dei Fondi Paritetici Interprofessionali per la Formazione Continua e, soprattutto, delle risorse finanziarie degli stessi.

Qualificare, infatti, le risorse di tali Fondi come di natura privata e non pubblica comporta, come visto, notevoli conseguenze a livello giuridico, anche in ambito penale, quali (i) il venir meno della possibilità di configurare fatti simili a quelli analizzati a fattispecie di truffa aggravata, (ii) l’esercizio dell’azione penale non d’ufficio ma su impulso di parte, ed infine (iii) non costituire per le società l’analogo reato presupposto della responsabilità amministrativa degli Enti di cui al D.Lgs. n. 231/2001.

 

 

 

 

 

 

 

 

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