19 Febbraio 2018

La responsabilità civile della struttura e dell’esercente la professione sanitaria

PIERPAOLO PETRUZZELLI

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Abstract

Con l’entrata in vigore della c.d. legge Gelli, la n. 24 dell’8 marzo 2017, ci si imbatte in alcune notevoli novità in materia di responsabilità civile in caso di Malpractice medica, che saranno oggetto della presente breve trattazione.

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All’art 7 della legge 24 del 2017 è detto espressamente che il rapporto fra utente ed ente di cura è di natura contrattuale. Già la giurisprudenza aveva chiarito che il rapporto fra paziente e struttura sanitaria dà vita al cd “contratto atipico di spedalità” che si perfeziona per facta concludentia con l’accettazione del paziente presso la struttura, ed ha come effetto oltre alla erogazione delle cure sanitarie, anche altre prestazioni accessorie (vitto, alloggio, ristorazione).

Quindi l’art. 7 chiarisce che la responsabilità delle strutture è di carattere contrattuale, che risponde delle condotte colpose e dolose ai sensi degli artt. 1218 e 1228, e che configura la prescrizione decennale per la rivendicazione del risarcimento del danno e che l’onere della prova è a carico della struttura/debitrice.

Viceversa, e questa rappresenta una novità in aperto contrasto con il prevalente orientamento giurisprudenziale, la natura del rapporto paziente - esercente la professione sanitaria è di tipo extracontrattuale.

Questo significa che viene rimarcato il ruolo della struttura sanitaria, quale referente immediato e diretto, e quale soggetto che, proprio perché titolare di potere e doveri di programmazione, coordinamento e controllo dei fattori e delle risorse umane sarebbe in grado di prevenire il danno.

Cioè il singolo “esercente la professione sanitaria” è inserito in una organizzazione complessa e si colloca in secondo piano perché interagisce con più figure professionali, tutte chiamate a muoversi in un sistema di regole e protocolli predefiniti.

Riducendo il ruolo del singolo a quello di anello di una articolata catena, la nuova legge evidenza l’obbligo dell’ente che eroga il servizio di dotarsi di un apparato efficiente che miri alla prevenzione e neutralizzazione di possibili eventi negativi “nell’interesse dell’individuo e della collettività (art. 1).

Il riferimento all’art. 1228 c.c. sposta i termini della questione sulla c.d. responsabilità per rischio di impresa, vale a dire assunzione da parte dell’intera struttura del rischio dell’operato dei singoli elementi umani inseriti nell’organizzazione aziendale.

Da questa impostazione derivano alcune considerazioni ed in particolare la prima: quale è la responsabilità della struttura nei confronti dei parenti del paziente? A rigor di logica i parenti sono i terzi, cioè sono estranei rispetto al contratto fra la struttura e il paziente. Quindi prescrizione di 5 anni e onere della prova a carico dei parenti.

Cosa accade quando il medico è scelto dal paziente e collabora solo occasionalmente con la struttura? Cioè se il paziente ha scelto il medico ed il medico ha prenotato sala operativa e stanza di degenza presso la struttura, questa ha una responsabilità contrattuale o extra?

Anche in questo caso si parla di responsabilità contrattuale, infatti dal combinato disposto dei successivi art. 9 comma 6 e art. 10 comma 2 si evince che la casa di cura è sì obbligata in solido, ma ha diritto di rivalsa nei confronti del professionista.

Si precisa che il comma 2 dell’art. 7 prevede la responsabilità della struttura anche per le prestazioni rese in regime di “intramoenia”, vale a dire che la struttura è obbligata in solido con il professionista perché dalla prestazione di quest’ultimo riceve un beneficio economico.

La responsabilità dell’esercente la professione sanitaria è di natura contrattuale

L’art. 7 comma 3 lo disciplina chiaramente e si riferisce a tutti gli esercenti la professione sanitaria che non abbiano agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente; da qui l’individuazione di una serie di regole meno vantaggiose per il paziente, si pensi al dovere di provare la colpa ed il nesso tra condotta del sanitario e l’evento incriminato, ma anche l’applicazione del più breve termine prescrizionale quinquennale.

L’obiettivo di questa norma è chiaramente quello di spostare la focalizzazione dal singolo operatore alla struttura del danneggiato dalla vittima di malpractice, poiché l’ente persona giuridica è meglio in grado di scongiurare gli eventi lesivi attraverso una efficiente organizzazione e valorizzando il ruolo di imprenditore del soggetto erogatore delle cure anche nell’interesse della collettività.

Per quel che concerne l’onere probatorio in regime di responsabilità contrattuale:

  • il paziente deve indicare l’inadempimento del sanitario idoneo a generare il danno;
  • il sanitario invece deve dimostrare con ampio margine di certezza scientifica l’assenza di ogni condotta censurabile.

In regime di responsabilità extracontrattuale:

  • onere della prova del paziente che deve provare l’errore ed il nesso causale con il danno lamentato;
  • il sanitario deve contestare il profilo di responsabilità a lui imputato ed il nesso eziologico col danno.

Il comma 4 dell’art. 7 si occupa di disciplinare la determinazione del danno e per farlo richiama gli articoli 138 e 139 del codice delle assicurazioni private. È noto che la legge 24/2017 ribadisce l’obbligo della copertura assicurativa delle prestazioni sanitarie, sia in capo all’ente sia in capo al singolo professionista.

Tuttavia per consentire questo sistema il legislatore ha previsto da un lato l’alleggerimento della responsabilità del singolo professionista e dall’altro un contenimento dei risarcimenti ancorando la quantificazione alle tabelle del codice delle assicurazioni private (CPA). Merita in ogni caso precisare che la quantificazione è prevista per legge solo per le lesioni micropermanenti; per le percentuali più alte il punto di riferimento restano le tabelle del Tribunale di Milano comunemente utilizzate su scala nazionale.

Al comma 3 si legge anche che “il giudice nella determinazione del risarcimento del danno, tiene conto della condotta dell’esercente la professione sanitaria ai sensi dell’art. 5”.

Vale a dire che in caso di condanna del professionista, il giudice deve tenere presente se lo stesso si è attenuto alle linee guida previste dall’art. 5, e in assenza delle “linee guida” alle “buone pratiche clinico assistenziali”.

Tuttavia il solo fatto di aver applicato le linee guida non esonera il professionista dall’eventuale obbligo risarcitorio proprio per via della natura di “raccomandazioni” che hanno queste linee guida; vale a dire che se la peculiarità della fattispecie suggerisce di non applicare in via cosi automatica le linee guida e il medico le applica, questi potrebbe essere chiamato ugualmente a risarcire il danno, sempre che sussistano i presupposti di negligenza, imprudenza o imperizia.

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