08 Luglio 2019

Spaghetti western

LUCIO BONGIOVANNI

Immagine dell'articolo: <span>Spaghetti western</span>

Abstract

La Giustizia nel West: siamo sicuri che fosse così rozza?

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Più invecchio e più mi piacciono i film western.

E allora mi ricordo di mio padre, che io prendevo in giro perché guardava con avidità i film western. Gli domandavo sarcastico la ragione per la quale gli piacessero così tanto e lui mi rispondeva in un modo che apparentemente non spiegava nulla, ma che il trascorrere degli anni mi sta permettendo di decifrare. Mi diceva con espressione un po’ sognante: “perché ci sono paesaggi ampi”.

Nella mia immaturità ritenevo questa frase del tutto fuori luogo, non ne comprendevo il senso. Perché non guardare allora i documentari sulla natura e sugli animali: sai quanti paesaggi ampi trovi lì! E sapevo bene che mio papà non avrebbe guardato un documentario nemmeno sotto tortura.

Ma, adesso che sto scivolando anch’io inesorabilmente nella stessa passione di mio padre, tutto si va schiarendo. Vado subito al punto della questione: la maturità rende tutto essenziale. Mentre da giovane subisci il fascino della complessità, dell’architettura logica articolata, dell’ambivalenza delle situazioni (ti piace che le cose si rivelino differenti da ciò che appaiono), quando invecchi punti all’essenziale, hai bisogno di chiarezza, non hai più voglia di disperderti nei fumosi rivoli dei sofismi; finiscono per darti fastidio quegli stessi meccanismi che qualche hanno prima ti affascinavano.

Ecco, allora, che i film western ti calzano alla perfezione: i buoni sono buoni e rimangono tali fino alla fine; e così anche i cattivi. Lo schema narrativo é sempre di una chiarezza tranquillizzante: c’è un tizio che insegue per tutto il West un altro tizio che trent’anni prima gli ha ucciso la sorella; alla fine lo trova e lo fa fuori. Tutto torna al proprio posto.

La maturità si compiace della semplificazione e i film western sono l’archetipo letterario di questa esigenza primaria di cui la persona avanti con gli anni avverte l’urgenza. Non era un caso che mio padre invocasse l’ampiezza dei paesaggi quando veniva chiamato a motivare la sua passione e solo adesso mi accorgo che in tal modo descriveva pittoricamente l’effetto ultimo dell’intera faccenda, la sua conseguenza finale, cioè il dato tranquillizzante che nel suo animo la visione dei film western sortiva. Ero io - immaturo e presuntuoso - a non comprendere quanto la sua motivazione fosse centratissima. Guardando quei film, finalmente mio papà poteva immergersi in un contesto in cui il male è male e il bene è bene, un mondo in cui ogni cosa veniva chiamata col proprio nome. Ognuno aveva il suo cavallo, la sua pistola e un progetto definitivo al quale restare fedele fino alla fine. I dialoghi erano ridotti all’essenziale e i lunghi tempi narrativi corrispondevano grossomodo a quelli della realtà, in cui le giornate passano senza che succeda nulla di rilevante, per lo più.

Ma perché sto parlando di mio padre e dei film western? Cosa c’entra tutto questo con la Giustizia?

Ecco, sempre più spesso i clienti mi dicono: “ma se è così, allora non è giusto. Che giustizia è mai questa?”. La gente, cioè, avverte la Giustizia sempre più come qualcosa di artificiale, di estremamente complesso e del tutto svincolato dalla propria vita e dall’immediatezza delle proprie esigenze. In una parola: in materia di Giustizia si rischia di smarrire l’essenziale. La gente, ad esempio, non capisce perché non gli venga consentito di riscuotere con facilità un proprio credito. La gente rischia di non capire più il sistema-giustizia.

Vediamo, per un attimo, qual è il sistema-giustizia nel West; sistema che ovviamente oggi ci appare rozzo e primitivo, ma che mi piace ricordare per poter riflettere su un nucleo sano che oggi rischiamo di smarrire.

Nel West, se viene rapinata una banca, tutti gli uomini della città - e pure quelli delle città vicine - si lanciano all’inseguimento dei rapinatori, a rischio della propria vita. C’è un’assunzione diretta di ogni responsabilità: se c’è qualcosa da fare, nel bene e nel male, quella cosa riguarda direttamente te stesso (non già l’assessore competente).

E ancora: come viene risolto il problema della latitanza? Facile, si mette una bella taglia e chiunque incontri quel delinquente può ucciderlo a sangue freddo e incassare il premio.

Ti accorgi, poi, che lo sceriffo del tuo villaggio non svolge bene il proprio lavoro? Bene, gli strappi la stella dal petto e chiami tutti gli altri abitanti per eleggerne un altro.

Qualcuno potrebbe storcere il naso e rilevare che un sistema-giustizia così rozzo alla fine crea più problemi di quanti ne risolva. Avrebbe ragione. Non auspico certamente un sistema di quel tipo, ci mancherebbe, ma dobbiamo tutti riconoscere che quel sistema-giustizia era comprensibile. Quel che intendo dire, cioè, è che quell’ampiezza di paesaggio alla quale mio padre faceva riferimento era il frutto di un universo semplice e immediato che ha qualcosa da insegnarci, pur nella sua indubbia rozzezza.

Il superamento di quella grossolanità, però, non può comportare la perdita di contatto tra la Giustizia e la gente. Se l’uomo comune non avverte più la Giustizia dalla sua parte, qualcosa non va, e si tratta di qualcosa di molto importante, perché sfiora l’essenzialità del fenomeno, quell’essenzialità che può essere visualizzata proprio con i contorni di un panorama ampio.

E allora ti accorgi che la Giustizia è un po’ come la musica, offre una percezione artistica immediata, è un linguaggio comprensibile a tutti … ma oggi, la Giustizia rischia di assumere caratteristiche dodecafoniche.

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