28 Aprile 2020

Contratti di locazione commerciale: roadmap per i conduttori al tempo del coronavirus

VALERIO PANDOLFINI

Immagine dell'articolo: <span>Contratti di locazione commerciale: roadmap per i conduttori al tempo del coronavirus</span>

Abstract

                               Aggiornato al 27.04.2020

Le misure restrittive adottate per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 hanno posto i conduttori degli immobili ad uso commerciale in seria difficoltà nel pagamento dei canoni; problema che si porrà anche una volta terminata la fase emergenziale, dato il decremento di redditività che gli esercenti probabilmente subiranno. Di qui l’esigenza di analizzare le soluzioni giuridiche a disposizione dei conduttori, alla luce della normativa applicabile e della giurisprudenza.

***

Il quadro generale

Le misure straordinarie adottate per il contenimento dell’epidemia da COVID-19 hanno inciso  pesantemente sulle attività di impresa, dato che, tra l'altro, è stata imposta la sospensione di molte attività commerciali e industriali e professionali.

Tenuto conto che la disponibilità dei locali in cui si esercita un’attività commerciale o industriale è spesso acquisita attraverso la stipula di contratti di locazione, i conduttori degli immobili si sono visti preclusa la possibilità di svolgere la propria attività d’impresa e, con essa, di trarre i proventi con cui onorare ai propri debiti, tra i quali quelli relativi ai contratti di locazione. 

Ma il problema si porrà nel prossimo futuro anche quando i conduttori potranno tornare ad usufruire pienamente dei locali una volta cessato il periodo dell'emergenza dato che gli stessi continuiranno a subìre probabilmente un forte decremento di redditività, sia per effetto delle misure di sicurezza che dovranno adottare, sia per il calo di consumi che produrrà una sensibile contrazione degli affari.

Le norme introdotte dal legislatore a seguito dell’emergenza epidemiologica hanno fornito finora risposte molto parziali ed insoddisfacenti.

Nella prassi dei contratti di locazione sono rare le clausole che regolamentano ipotesi di forza maggiore, e altrettanto rare quelle che prevedono la revisione del contratto (tramite adeguamento o rinegoziazione) al verificarsi di determinate sopravvenienze esterne. Di qui l’esigenza di analizzare, in estrema sintesi, quali possono essere le soluzioni giuridiche a disposizione dei conduttori, alla luce della normativa applicabile e della giurisprudenza.

 

L’autoriduzione del canone

Anzitutto, i conduttori, nonostante l’indisponibilità dei locali per effetto delle misure di contenimento dell’epidemia, non possono semplicemente astenersi dal versare il canone al locatore, né ridurlo unilateralmente rispetto all’importo contrattualmente convenuto.

Secondo la giurisprudenza, infatti, l’autoriduzione del canone da parte del conduttore è un fatto arbitrario ed illegittimo; neppure l'art. 1578 c.c., comma 1, c.c. – che prevede la possibilità del conduttore di chiedere la risoluzione del contratto o la riduzione del corrispettivo in presenza di un inadempimento del locatore, consistente in un vizio della cosa locata che ne diminuisca l’idoneità all’uso pattuito - facoltizza il conduttore di operare detta autoriduzione.

D’altra parte, nel caso di specie, il mancato godimento dei locali oggetto di locazione non è certo ricollegabile ad alcun inadempimento del locatore (come invece presuppone la norma di cui all’art. 1578 c.c), bensì deriva da una causa di forza maggiore (factum principis) e dunque non legittima in alcun modo il conduttore a sospendere o ridurre il canone di locazione, avvalendosi dell’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c..

 

Lo scioglimento del contratto

Il conduttore può ottenere lo scioglimento del contratto di locazione, attraverso varie strade. Anzitutto, può esercitare il recesso ai sensi dell’art. 27 ult. co. L. n. 392/78, in quanto l’emergenza in atto può certamente considerarsi come un “grave motivo” previsto da tale norma quale giustificazione del recesso, trattandosi di un evento imprevedibile e indipendente dalla volontà del conduttore, tale da causare forti ripercussioni economiche negative su quest’ultimo. In questo caso dunque il conduttore può ottenere la cessazione del contratto inviando al locatore una semplice raccomandata, dando al proprietario un preavviso di sei mesi.

In alternativa, il conduttore può chiedere al giudice la risoluzione del contratto di locazione per impossibilità sopravvenuta della prestazione, ai sensi degli artt. 1256 e e 1463 c.c. Se è vero che i divieti disposti dai DPCM e dai provvedimenti regionali non rendono impossibile né la prestazione principale del locatore - la messa a disposizione di locali idonei all'uso consentito dal contratto - né quella del conduttore - il pagamento del canone – è altresì vero che gli stessi hanno reso la prestazione dei locatori non capace di assolvere alla propria ‘funzione concreta’, ovvero la messa a disposizione dei locali per lo svolgimento dell'attività imprenditoriale dei conduttori. Essendo dunque i beni locati inutilizzabili rispetto all'uso al quale erano stati destinati, ne consegue l'applicabilità  del rimedio risolutivo ex art. 1463 c.c..

Infine, il conduttore può chiedere la risoluzione del contratto per eccessiva onerosità sopravvenuta, ai sensi dell’art. 1467 c.c., in quanto l’evento pandemico integra  un fatto sopravvenuto straordinario, imprevisto e imprevedibile, tale da comportare una sostanziale alterazione dell’equilibrio contrattuale. In tal caso, di fronte alla domanda di risoluzione avanzata dal conduttore, il locatore potrebbe evitare lo scioglimento del rapporto, offrendosi di ricondurre ad equità la misura del canone.

 

Il mantenimento del contratto con riduzione del canone

Lo scioglimento del rapporto locatizio spesso non viene incontro alle effettive esigenze dei conduttori, i quali sono generalmente interessati ad una prosecuzione del rapporto locatizio – seppure a condizioni diverse – per evitare la disaggregazione dell’azienda in attesa della ripresa dell’attività. Senza contare che, per ottenere lo scioglimento, occorre attendere un certo tempo (almeno 6 mesi nel caso di recesso, notevolmente di più nel caso di una domanda giudiziale di risoluzione), e nel frattempo continuare a corrispondere i canoni di locazione.

Quali rimedi hanno allora a disposizione i conduttori, a fronte della situazione creatasi, per conservare il rapporto, modificando le condizioni originarie?

La strada più semplice per arrivare a questo risultato è un accordo tra le parti, con il quale venga temporaneamente ridotto il canone e/o le condizioni di pagamento. Ma questa soluzione si presenta tutt’altro che semplice, dato che locatore e conduttore hanno interessi contrapposti, e che il primo generalmente si trova in una posizione di maggior forza contrattuale.

Vi è poi un strada alternativa. E’ infatti ormai sempre più consolidato il principio secondo cui, nei contratti di durata – come appunto è la locazione – quando insorgono delle sopravvenienze – cioè degli eventi accadimenti successivi alla stipula del contratto, che modifichino in misura significativa l'equilibrio iniziale delle obbligazioni delle parti (come certamente è accaduto per l’epidemia) – sorge un dovere di cooperazione tra le parti per rinegoziare il contratto, in modo da renderne il contenuto più congruo rispetto agli interessi dei contraenti. Questo dovere si basa sul principio di buona fede di cui all’art. 1375 c.c., che impone un controllo  dell’equilibrio e della congruità delle prestazioni contrattuali.

Qualora, dunque, il conduttore avanzi al locatore una richiesta di rinegoziare il contratto, chiedendo una riduzione del canone proporzionata al mancato godimento dello stesso per tutto il periodo di chiusura dell’attività, e/o al calo di fatturato per il periodo anche successivo, il locatore ha il dovere, in base al principio di buona fede, di prendere in considerazione tale richiesta, e quindi di iniziare una trattativa con il conduttore e condurla in buona fede fino all’eventuale accordo. Se questo dovere resta inadempiuto, si espone a una richiesta risarcitoria da parte del conduttore.

Naturalmente, il dovere di buona fede riguarda anche il conduttore, il quale non può avanzare pretese illogiche ed ingiustificate, ma deve attentamente parametrare la richiesta di riduzione del canone all’entità del pregiudizio effettivamente subìto, nel singolo caso concreto; tenendo in considerazione, tra l’altro, la misura di sgravio fiscale contenuta nel menzionato art. 65 Decreto Cura Italia, che, se usufruita dal conduttore stesso, ne allevia l’entità del sacrificio economico subìto (limitatamente al mese di marzo 2020).

Peraltro, se le parti hanno effettivamente condotto in buona fede una trattativa, ma la stessa non abbia condotto ad un accordo, il conduttore non potrà dolersi del mancato risultato utile, in quanto il dovere di rinegoziazione non implica anche quello di raggiungere necessariamente un accordo, e dovrà quindi ricorrere ad uno dei rimedi visti in precedenza.

 

 

Altri Talks