17 Marzo 2020

COVID-19: le misure unilaterali per motivi di salute pubblica nel diritto internazionale

ALESSANDRO GRECO

Immagine dell'articolo: <span>COVID-19: le misure unilaterali per motivi di salute pubblica nel diritto internazionale</span>

Abstract

                                   Aggiornato al 16.03.2020

Nei principali trattati internazionali, la tutela della salute pubblica è riconosciuta espressamente come uno degli obbiettivi che gli Stati possono perseguire nell’adottare misure unilaterali restrittive del movimento di persone e beni. Tali misure, ai sensi delle International Health Regulations e dei trattati sul commercio internazionale, debbono comunque essere fondate su presupposti scientificamente validi. In ogni caso, i rimedi esperibili in caso di adozione di misure illegittime o ingiustificate sono generalmente rimessi alla volontà delle parti in causa.

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La tutela della salute pubblica nel diritto internazionale: la normativa di riferimento

La tutela della salute pubblica, definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come “la scienza atta a prevenire le malattie, prolungare la vita umana e promuovere la salute attraverso lo sforzo organizzato della società” interseca necessariamente i temi del diritto internazionale quale base giuridica degli scambi commerciali tra Stati.

In questo contesto, la normativa cui fare riferimento è rappresentata, da una parte, dalle International Health Regulations (IHR) adottate in seno all’OMS e sottoscritte da 194 Stati membri, e, dall’altra, dai Trattati adottati nel contesto dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (dall’inglese World Trade Organization – WTO).

 

Le norme IHR – La possibilità di adottare misure unilaterali

In base alle disposizioni IHR, gli Stati membri hanno l’obbligo di sorvegliare lo stato della salute pubblica del proprio territorio e dare notizia all’OMS di qualsiasi evento che possa rappresentare un problema di salute pubblica internazionale (art. 6). Se, a seguito di un’analisi compiuta con la collaborazione dello Stato interessato, l’OMS confermasse la ricorrenza di un tale evento potrebbe adottare raccomandazioni temporanee (art. 15) o permanenti (art. 16), da applicare agli spostamenti di persone fisiche o beni.

Le IHR stabiliscono dunque, a fini di armonizzazione, quali norme siano applicabili sulla base delle raccomandazioni dell’OMS in caso di riconosciuta minaccia alla salute pubblica internazionale. In particolare, per quanto concerne gli spostamenti di persone fisiche gli Stati membri possono, tra l’altro (art. 23):

  1. richiedere informazioni sui luoghi di provenienza o destinazione, nonché
  2. ordinare lo svolgimento di visite mediche, nella misura meno invasiva possibile ai fini della tutela della salute pubblica o ancora
  3. ispezionare i bagagli e le merci trasportate.

Mentre, con riferimento ai movimenti di beni, è fatto dovere agli Stati di evitare contaminazioni, anche imponendo ai trasportatori specifici luoghi di atterraggio/attracco (art. 28).

Le IHR lasciano comunque liberi gli Stati di adottare misure unilaterali che consentano di raggiungere il medesimo livello di tutela della salute che sarebbe stato conseguito tramite l’implementazione delle raccomandazioni OMS e purché tali misure non siano più restrittive ed invasive di quanto necessario (art. 43).

In particolare, il giudizio di necessarietà sopra menzionato deve essere basato su:

  1. principi scientifici;
  2. evidenze scientifiche ovvero, ove queste siano insufficienti, le informazioni divulgate dall’OMS o da altre organizzazioni internazionali;
  3. linee guida o consigli dell’OMS.

Le dispute sull’interpretazione e sull’applicazione dell’IHR sono rimesse, nella sostanza, alla volontà degli Stati contraenti, il che ha fatto dubitare molti interpreti della loro efficacia[1]. In particolare, nel caso in cui uno Stato ritenga che un altro contraente abbia violato le norme IHR, può in primo luogo invitare il secondo a risolvere la questione amichevolmente o in via autonoma (art. 56 co. 1) o attraverso la mediazione del Segretario Generale dell’OMS (art. 56 co. 2). Solo ove le parti siano d’accordo, sarà possibile sottoporre la questione al suddetto Segretario Generale, rimettendo a lui la decisione della controversia (art. 56 co. 3).

 

Le norme approvate in ambito WTO

Le IHR sopra brevemente descritte, appaiono in linea con quanto specificamente previsto per il commercio internazionale nell’ambito dei trattati WTO[2].

Con particolare riguardo al movimento di merci in ambito internazionale, l’Accordo Generale sulle tariffe doganali e sul commercio (GATT) consente agli Stati membri di introdurre misure necessarie alla protezione della salute umana, purché queste non comportino discriminazioni tra Stati o restrizioni ingiustificate al commercio internazionale (art. XX lett. b, così come applicato dall’Accordo sulle misure Sanitarie e Fitosanitarie, sul quale v. infra).

Ancor più specificamente, il Trattato sulle Barriere Tecniche al Commercio include la salute tra gli obbiettivi che gli Stati possono legittimamente perseguire con l’inserimento di regolamentazioni di natura tecnica. Le misure così introdotte non dovranno restringere il commercio internazionale oltre quanto strettamente necessario (art. 2.2).

In materia, assume soprattutto rilevanza l’Accordo sulle misure Sanitarie e Fitosanitarie, il quale prescrive che l’adozione di qualsiasi misura adottata al fine di tutelare la salute umana che possa comportare un ostacolo al commercio internazionale debba essere fondata su evidenze scientifiche (art. 2.2). Tali misure non dovranno comunque comportare discriminazioni tra Stati (art. 2.3) e dovranno essere fondate sulle valutazioni di organizzazioni internazionali preposte alla cura di tali interessi o, ove non disponibili, su autonome valutazioni dello Stato, cui spetterà l’onere della prova (art. 5).

Anche nel caso del WTO, tuttavia, i rimedi esperibili appaiono poco incisivi. L’Organizzazione, infatti, ha istituito un sistema di risoluzione delle controversie in base al quale lo Stato che ritenga di essere stato leso da una misura illegittima in una prima fase è tenuto a tentare una soluzione conciliativa della controversia. Solamente ove questa restasse senza esito sarà possibile rimettere la questione ad un panel indipendente di esperti. L’applicazione delle decisioni del panel è poi lasciata all’accordo delle parti, ferma restando la possibilità di applicare misure di rappresaglia se la parte soccombente non collabori a tal fine.

Le misure sopra menzionate hanno trovato applicazione nel 1998, quando la Comunità Europea limitò le importazioni di pesce dalla Tanzania alla luce dell’epidemia di colera che aveva colpito tale Paese, ma dovette poi ritirare tale decisione dopo che l’OMS chiarì che la trasmissione della malattia non era correlata all’ingerimento di tali alimenti.

 

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