27 Aprile 2021

L'amministratore di fatto

LUCA AMATI

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Abstract

Inquadramento della figura – elementi caratterizzanti la fattispecie – responsabilità

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L’amministratore di fatto (così denominato per distinguerlo dall’amministratore di diritto)  viene identificato nel soggetto che assume decisioni e compie atti di gestione, in nome e per conto della società pur senza essere stato investito da una deliberazione assembleare ovverosia da un atto di nomina validamente formatosi all’interno della società  medesima sulla base della legge o dello statuto.

Di norma, l’amministratore di diritto (inteso come la persona legalmente individuata e delegata per la gestione degli affari societari) coincide con l’amministratore di fatto, nel senso che, la persona designata all’amministrazione è anche quella che, di fatto, amministra la società compiendo tutti gli atti necessari al perseguimento dell’oggetto sociale.

Può però accadere che, per svariati motivi, le due figure non coincidano, potendo la società apparire gestita da chi in realtà non è formalmente il proprio amministratore.

Come individuare questa figura e quando ricorre nella prassi?

Quali sono le conseguenze di questa “dissociazione”?

Dalla elaborazione giurisprudenziale, gli elementi caratterizzanti la fattispecie dell’Amministratore di fatto consistono:

  • nell’assenza originaria o sopravvenuta di una investitura formale del soggetto;
  • nell’esercizio di funzioni riservate ex lege o in forza di statuto alla competenza dell’amministratore di diritto;
  • nella sua autonomia decisionale, che non deve necessariamente essere surrogatoria rispetto a quella dell’amministratore di diritto;
  • nel fatto che le funzioni gestorie svolte in via di fatto abbiano carattere sistematico e continuativo e non si esauriscano, quindi, nel compimento di alcuni atti di natura eterogenea e occasionale (Cassazione, sentenza n. 27162/2018; Tribunale di Roma, sentenza n. 12474/2015);
  •  che detto esercizio non sia giustificabile in base ad un rapporto lavorativo subordinato e/o autonomo con la società, per cui l’interessato verta in una posizione di subordinazione o soggiaccia a poteri di direttiva dell’amministratore di diritto (Tribunale di Napoli, sentenza del 5 agosto 2015).

Occorre quindi prendere atto che al fine della configurabilità della fattispecie, è necessario che il soggetto compia una serie di atti gestori, in via sistematica e continuativa,  non meramente occasionale, tali da ingenerare nei soggetti terzi il convincimento che egli sia il reale  gestore della società.

Riassumendo, la prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza in capo al soggetto della qualità di amministratore, accertamento che, per essere configurabile, deve tenere conto di una serie di indici sintomatici tipizzati dalla sopra richiamata prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto in fondamentali settori dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto, concernente l’attribuzione di autonomi e ampi poteri, sia sintomatica dell’ esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico o occasionale.

In caso di comportamenti antigiuridici posti in essere dall’amministratore di fatto, è imprescindibile evidenziare che la presenza e l’attività  di quest’ultimo non costituiscono  un’esimente di responsabilità per l’amministratore “di diritto”, sul quale comunque grava un indefettibile obbligo di vigilanza.

Ed invero, per costante giurisprudenza, la responsabilità dell’amministratore di fatto non esclude, ma si aggiunge a quella dell’amministratore di diritto, il quale deve rispondere dei danni cagionati al patrimonio sociale (o direttamente ai soci o ai terzi) non soltanto per i fatti commissivi a lui imputabili, ma anche per quelli omissivi.

In capo all’amministratore di diritto risiede infatti in via prioritaria e non derogabile l’obbligo legale di controllare la gestione della società (e quindi anche l’operato dell’amministratore di fatto).

Obbligo che risulta vieppiù rafforzato nel caso in cui abbia luogo una scissione tra amministrazione di fatto e di diritto.

L’amministratore di diritto, dunque, ben può quindi essere ritenuto responsabile delle conseguenze della cattiva amministrazione dell’altro amministratore (di fatto), rispetto al quale non abbia ottemperato all’obbligo di vigilanza a cui ogni amministratore è tenuto (Trib. Milano, 11 dicembre 1997, soc, 19998, 802).

Ne consegue che, anche ravvisando in capo all’amministratore di fatto eventuali profili di responsabilità, cionondimeno si potrebbe arrivare a configurare un diretto coinvolgimento, in via principale e diretta, dell’Amministratore di diritto nel caso in cui lo stesso non abbia compiutamente vigilato sull’operato del primo.

A titolo esemplificativo, eventuali reiterati conferimenti di procura dall’amministratore di diritto a quello di fatto, legittimanti il compimento da parte di quest’ultimo  verso i soggetti terzi di atti sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione potrebbero essere ritenuti indice di una volontà abdicativa in capo all’amministratore di diritto, il che renderebbe delicata anche la sua posizione non potendo costituire un fattore esimente l’essersi spogliato deliberatamente di funzioni attinenti alla sua carica all’interno della società.  

Analoga sorte si verificherebbe, prevedibilmente, anche nel caso in cui si volesse imputare all’amministratore di fatto un abuso od un eccesso di procura, nel caso in cui la medesima non gli fosse stata  immediatamente revocata seppur a fronte di condotte palesemente antigiuridiche che avrebbero, per l’appunto, dovuto immediatamente condurre alla revoca di ogni carica o incarico gestorio allo stesso conferito.

In conclusione,  la (com)presenza  di un amministratore di fatto all’interno di una società  pur non configurando, in sé e per sé una fattispecie antigiuridica, deve essere valutata con molta attenzione proprio perché, oltre a potenzialmente ingenerare confusione nei soggetti terzi, potrebbe portare ad abusi  dei quali risponderebbe anche l’amministratore di diritto.

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