07 Gennaio 2021

Tra lavoro in presenza e smart working: attenzione ai controlli a distanza - 1a parte

RICCARDO FRATINI

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Abstract

Nell’era dello smart working e degli strumenti informatici, in cui la prestazione di lavoro in presenza sta diventando l’eccezione, rispetto alla regola dello svolgimento da remoto, un tema centrale è come articolare il controllo della prestazione lavorativa quando al datore sia impossibile controllare direttamente e personalmente il lavoratore. Si innestano nel discorso sui controlli a distanza i retaggi di una vecchia disciplina e le prospettive del lavoro remotizzato.

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I controlli a distanza e la riforma del 2015

La nozione giuridica di controllo a distanza racchiude in sé tutte le modalità di sorveglianza attuate mediante strumenti tecnologici, che si articolano in una sequenza che muove dall’acquisizione di informazioni concernenti l’attività lavorativa del dipendente, prosegue con la loro conservazione e si conclude con la loro eventuale utilizzazione.

Il controllo tecnologico è per sua natura particolarmente invasivo, poiché si realizza sovente con modalità inedite, molto meno trasparenti del controllo “umano” , e, dunque, può avere evidenti implicazioni per la persona del lavoratore, specialmente in relazione ai suoi diritti costituzionalmente tutelati alla dignità e alla riservatezza (artt. 2, 3, 13, 14 e 15 Cost.) .

Si spiega così la disciplina limitativa del potere di controllo introdotta con la precedente formulazione dell’art. 4 St. lav.: a) divieto assoluto di controlli a distanza c.d. “diretti” o “intenzionali”, e cioè effettuati mediante impianti audiovisivi e altre apparecchiature destinate unicamente al controllo del lavoratore (comma 1); b) obbligo di preventivo accordo per l’installazione di impianti audiovisivi ed altre apparecchiature che consentano controlli c.d. “indiretti” o “preterintenzionali”, e cioè rispondenti ad esigenze organizzative e produttive ovvero di sicurezza sul lavoro, dalle quali però derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori (comma 2).

L’art. 23 del D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 151, ha profondamente riformato, ma non stravolto questo impianto normativo.

Il legislatore ha scelto, innanzitutto, di rispondere all’esigenza, da più parti segnalata, di superare l’obsolescenza di un testo pensato e scritto prima dell’avvento delle nuove tecnologie, ormai inidoneo a cogliere la distinzione, venuta prepotentemente alla ribalta, tra strumenti di controllo e strumenti di lavoro, tanto più se polifunzionali.

Inoltre, si è tentato di dare più certezza alla disciplina dei controlli c.d. “difensivi” nei confronti delle condotte illecite dei dipendenti, materia sulla quale, nel corso degli anni, si erano formati orientamenti giurisprudenziali non sempre precisi e consolidati.

Infine, si è voluto armonizzare la norma con la disciplina della tutela dei dati personali, che assume sempre maggiore rilevanza nei rapporti di lavoro.

Resta, però, la necessità che la vigilanza nei luoghi di lavoro si mantenga in una dimensione umana, e cioè non esasperata dall’uso di tecnologie che possano rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro .

 

La regola generale del divieto dei controlli a distanza

La regola generale resta quella del divieto dei controlli a distanza nel tempo e nello spazio, nonostante la nuova formulazione dell’art. 4 Stat. Lav. non preveda più espressamente il divieto. Tuttavia, il fatto di consentire i controlli solo in presenza di determinate condizioni deve essere interpretato nello stesso modo come divieto in ogni altra ipotesi, trattandosi di una norma eccezionale. Gli strumenti con finalità esclusive di controllo a distanza, quindi, non possono ritenersi leciti, con conseguente inutilizzabilità delle informazioni raccolte per il loro tramite.

 

Alcuni tipi di controlli a distanza restano consentiti

Dopo la riforma del 2015, gli strumenti dai quali derivi, come conseguenza accidentale, la possibilità di un controllo a distanza dell’attività dei lavoratori, «impianti audiovisivi» e «altri strumenti» possono essere autorizzati per «esigenze organizzative e produttive», «sicurezza del lavoro» e «tutela del patrimonio aziendale», da cui la legittimità dei c.d. controlli difensivi, categoria mutuata dall’elaborazione giurisprudenziale, che l’aveva introdotta per escludere l’applicabilità dell’art. 4 St. lav. e dei relativi oneri procedurali in tutte le ipotesi in cui i controlli vengono attuati dal datore di lavoro per difendersi da condotte illecite dei dipendenti.

Si riteneva, infatti, che, in questi casi, il controllo non fosse finalizzato a monitorare lo svolgimento della prestazione lavorativa, quanto a verificare l’illecito in quanto tale, tanto è vero che la Cassazione legittimava i controlli difensivi anche quando occulti.

Senonché questa interpretazione prestava il fianco a due ordini di obiezioni. In primo luogo, l’accertamento dell’illecito non poteva prescindere da una sorveglianza attiva anche della prestazione lavorativa, il che finiva per vanificare l’espresso divieto di controlli diretti. In secondo luogo, la legittimità del controllo poteva essere verificata solo ex post, essendo subordinata all’effettiva commissione dell’illecito.

 

Autorizzazione dei dispositivi tramite accordi sindacali o autorizzazioni amministrative

Gli oneri procedurali per l’installazione degli impianti e degli strumenti di controllo preterintenzionale si caratterizzano, rispetto al passato, per un’attenuazione della centralità riconosciuta alle organizzazioni sindacali.

Nella formulazione attualmente vigente, la norma ribadisce la necessità del previo accordo sindacale, ampliando il novero dei soggetti con cui è consentita la stipulazione: non solo le r.s.a., ma anche le r.s.u., ovvero le associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, in caso di imprese con unità produttive in diverse regioni.

Sembra, inoltre, ammissibile che il datore di lavoro goda di discrezionalità nella scelta se aprire una trattativa in ambito territoriale prima di rivolgersi, in caso di esito negativo, alle organizzazioni sindacali competenti a livello nazionale .

Infine, in difetto accordo, viene riproposta la possibilità dell’autorizzazione amministrativa, che dovrà essere emanata dall'Ispettorato del lavoro competente.

 

Altri problemi

Quelli appena indicati sono solo alcuni dei problemi correlati alla disciplina in esame. Molte altre questioni sono poste dalla disciplina del comma 2 del nuovo art. 4 Stat. lav. e dal significato della locuzione “strumenti di lavoro”. Ulteriori questioni, inoltre, derivano dall’applicazione del GDPR e dal problema dell’informativa richiesti dal comma 3. Anche l’acquisizione di una valida base giuridica e dell’eventuale necessità del consenso costituisce un tema spinoso, che mi propongo di trattare presto in un altro intervento.

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