02 Luglio 2021

Legal design: la nuova frontiera del diritto “user-friendly”

ALESSIA PLACCHI

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Abstract

Tempi duri per gli azzeccagarbugli vecchio stampo abituati a fare di latinismi e tecnicismi i baluardi del sapere giuridico. La “parola dell’anno” è infatti legal design.

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La definizione di legal design

Il legal design è un fenomeno piuttosto recente, sviluppatosi a partire dagli ambienti accademici e poi diffusosi – seppur con parsimonia – nel mondo professionale. Vari sono stati i tentativi di darne una definizione univoca: dall’essere un nuovo metodo di concepire il diritto, al semplice mindset e approccio nella redazione degli atti, fino a concepirlo come vera e propria disciplina giuridica.

Ma propedeutico ad individuare la corretta definizione della materia, è comprendere il significato del sintagma “legal design” dove l’unione dei due termini – merito della giurista statunitense Margaret Hagan e della designer italiana Stefania Passera – ben evidenzia gli elementi chiave della disciplina:

  • da una parte, il legal, perché oggetto è pur sempre un contenuto giuridico;
  • dall’altra parte, il design, inteso come metodo di progettazione volto alla semplificazione e fruibilità dei contenuti in ragione delle esigenze dei destinatari e delle destinatarie.

Il legal design è dunque una disciplina che, attraverso la combinazione di più tecniche e saperi consente di progettare prodotti di contenuto giuridico “precisi sotto il profilo tecnico-giuridico e comprensibili, efficaci e immediatamente fruibili sotto il profilo comunicativo” (da “Legal Design. Come il design può semplificare il diritto” – B. De Muro; M. Imperiale).

 

Il metodo e il processo di progettazione

A differenza di quanto molti potrebbero pensare, il legal design non si limita all’uso delle immagini applicato ad un testo giuridico. Come visto infatti, alla base di questa disciplina (o metodo) c’è un lavoro di progettazione ben più complesso definito design thinking.

Il design thinking applicato al mondo legale diventa dunque il legal design thinking, un metodo di progettare il diritto, che muove necessariamente dallo studio dei bisogni dell’utente, del suo contesto e dagli obiettivi che intende raggiungere, per sviluppare delle soluzioni efficaci, fruibili e orientate a semplificare le complessità. In altre parole: una complessità iniziale in fase di studio ed elaborazione per poi arrivare ad una soluzione lineare, efficace e comprensibile.

Il design thinking si sviluppa in più fasi:

  • enfatizzare: è l’analisi del soggetto su cui va “cucita” la soluzione giuridica più appropriata;
  • definire: identificare il problema da risolvere spacchettando i “perché” per giungere al nocciolo della questione;
  • ideare: è il brainstorming di partenza in cui si mettono in tavola tutte le idee elaborate;
  • prototipare: è la “messa a terra” dell’idea che parte da una fase di visualizzazione del “prodotto” per poi passare alla fase della progettazione vera e propria; è qui che entra in gioco anche la tecnica del graphic design, che grazie all’uso di immagini, icone, colori, mappe e strumenti interattivi guida il fruitore della comunicazione alla sua comprensione;
  • testare: validare il “prodotto” ricercando il feedback del cliente, delle collaboratrici e collaboratori.

Dalla User Journey (che caratterizza le prime due fasi del processo) alla User Experience (le ultime), al centro del processo c’è sempre il destinatario del prodotto giuridico. In questo nuovo metodo di lavoro, è il giurista che deve cambiare il proprio mindset cedendo al concetto di minimun viable product (MVP), proprio del mondo dei software: semplificare il contenuto legale, non a scapito dell’esattezza e del rigore dell’analisi giuridica, ma attraverso la scelta ponderata dei concetti chiave per indirizzare il destinatario alla comprensione e fruibilità del testo.

 

L’importanza di semplificare il diritto

L'approccio del legal design, improntato a criteri di logicità, semplicità, chiarezza e trasparenza, può essere utilizzato per rendere prodotti, servizi e processi legali più etici, comprensibili ed equi e, per tal via, coinvolgere e responsabilizzare persone, comunità sociale, e in generale, la collettività.

Per tale ragione, il legal design si colloca pienamente in un nuovo fiorire di forme espressive e linguaggi del diritto che torna a concepire il destinatario della legge come elemento centrale e imprescindibile della comunicazione/produzione legislativa, favorendo l’accessibilità e la trasparenza dei documenti legali delle imprese e delle istituzioni.  La comprensibilità di un testo di legge, anche attraverso l’uso sintesi grafiche, infografiche, mappe e strumenti interattivi, consente infatti all’utente finale di intraprendere un ragionamento logico, ponderato e completo, portandolo a prendere decisioni consapevoli e in linea con quanto espresso dal contenuto testuale.

Semplificare il diritto contribuisce a rendere possibile un accesso alla giustizia a strati di popolazione che ne sono esclusi per mancanza di mezzi culturali o gap linguistici e culturali favorendo, dunque, la realizzazione di società inclusive e modelli sostenibili in linea con gli obiettivi sanciti dalle Nazioni Unite nell’Agenda 2030 (SDGs 12 e 16).

Per concludere se il legal design serva o meno a noi giuristi, mi viene da chiedere: l’ignoranza della legge non discolpa (Ignorantia legis non excusat) ma vale lo stesso per la sua incomprensibilità?

 

 

 

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