16 Luglio 2020

Sostenibilità: un nuovo paradigma imprenditoriale con le direzioni legali al centro

MASSIMILIANO GUALTIERI

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Abstract

Le imprese sono immerse in un ambiente con il quale interagiscono costantemente, costituito da un ampio spettro di interlocutori (“portatori di interessi” o “stakeholders”, cioè azionisti, dipendenti dell’organizzazione, clienti e fornitori, il tessuto sociale nel quale l’impresa si colloca, l’ambiente e il clima): lo schema aziendalistico “classico” – finalizzato alla massimizzazione del ritorno economico per gli investitori di capitale, quale (unico) parametro di valutazione delle capacità gestorie del management - dovrà essere definitivamente superato da un nuovo paradigma che consenta anche la soddisfazione degli interessi degli stakeholders e, in ultimo, che permetta uno sviluppo “sostenibile” anche dal punto di vista ambientale, sociale e della governance. Che ruolo hanno le direzioni legali in questo cambio di paradigma?

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La sostenibilità come nuovo paradigma della cultura d’impresa

Si modificheranno schemi imprenditoriali e mindset di consumo tradizionali, in uno scenario globale di transizione verso la sostenibilità, traghettando il sistema nella (auspicata) direzione di un capitalismo maggiormente virtuoso e “cosciente”: l’impresa deve coinvolgere gli stakeholders, rendendoli partecipi e portandoli a “sistema”, connotandosi per un nuovo impianto culturale/valoriale “sostenibile”, chiaramente percepibile e condiviso. Perseguire obiettivi ambientali, sociali e di governance - che trascendano il meccanico rispetto di (eventuali) obblighi normativi – connota e caratterizza, crea consenso e identità, legittimazione e reputazione: occorre generare valore sostenibile di lungo periodo attraverso comportamenti socialmente responsabili e climate compliant, basati sulla rete di relazioni con gli stakeholders, ripensando i processi industriali.

Senza relazioni “sostenibili” anche l’organizzazione non potrà dirsi “sostenibile” nel tempo, sarà destinata a un inevitabile declino, la cui velocità dipenderà dalla capacità della società attuale di determinare una rapida evoluzione culturale: la “sostenibilità” della visione dell’impresa deve costituire l’impronta culturale di un’organizzazione e trasfondersi in norme interne e condotte coerenti.

I modelli culturali tradizionali risultano oggi insoddisfacenti: occorre integrarvi nuovi approcci “sostenibili”, quale primo elemento di un nuovo patto intra/inter-generazionale, di un innovativo percorso di cambiamento globale nel quale – nelle scelte individuali e nelle decisioni collettive – si ponga al centro il contemperamento di obiettivi economici e finalità di sostenibilità ambientale e sociale, quale che sia il “conto” da pagare, all’inizio del processo e nel suo dispiegarsi, ad esempio in termini economici (prezzi di acquisto più elevati per prodotti e servizi “non sostenibili”), di “abitudine” psicologica (da cambiare), di studio e accettazione di nuove routine lavorative.

L’obiettivo a cui le imprese devono tendere è quindi quello dello “sviluppo sostenibile”, che integri profili economici, sociali e ambientali, da combinare in un nuovo paradigma produttivo i cui risultati vengano declinati rispetto alle finalità di ogni stakeholder e sintetizzati in idonei strumenti comunicativi e da ottenere attraverso coerenti modelli di governance e schemi gestionali. L’impianto di governance in grado di produrre tali effetti è quello che consente l’interscambio relazionale tra gli stakeholders, stimolato da una leadership imprenditoriale (manageriale o proprietaria) che ponga quantomeno sul medesimo piano valoriale la massimizzazione del rendimento e il profilo etico.

Interazione e coordinamento di mission (intesa come finalità ultima dell’organizzazione, declinata anche in un’accezione etico-valoriale), corporate governance (impianto di governo aziendale con cui viene perseguita la mission) e accountability (schema di comunicazione agli stakeholders delle informazioni rilevanti e dei risultati ottenuti) costituiscono il sostrato di un nuovo pattern industriale e produttivo sostenibile, che produca il miglior bilanciamento possibile con gli obiettivi dei vari stakeholders: gli interessi di questi ultimi e dell’impresa possono in origine non collimare ma la loro traiettoria deve convergere verso una dimensione di sostenibile equilibrio aziendale (massimizzazione del profitto per gli investitori di capitale e realizzazione degli obiettivi - anche non economici - degli stakeholders).

Se lo sviluppo economico, tout court, può non portare al progresso sociale - ad esempio per le conseguenze ambientali di un industrialismo “a-morale” - allora l’impresa si legittima come istituzione sociale laddove sia in grado di soddisfare le aspettavie dei propri stakeholders. Ne conseguono le implicazioni di matrice etica e culturale: l’organizzazione si può definire “morale” quando accetta che gli stakeholders si qualifichino come tali in quanto – in sè – portatori di un proprio intrinseco interesse nell’organizzazione, a prescindere dalla presenza di reciprocità (l’impresa può non avere un proprio interesse nei loro confronti) e di concreta capacità degli stakeholders di promuovere il loro specifico obiettivo.

Quale la sintesi? Il successo aziendale misurato con la “pura” redditività bilancistica è un equilibrio di breve periodo, nel lungo termine la performance dell’impresa - e, finanche, la sua sopravvivenza - non può avvenire eludendo le aspettative di tutti gli stakeholders.

Lo sviluppo “sostenibile” modificherà quindi i classici modelli di business delle imprese, attraverso l’integrazione nella cultura organizzativa e nei valori primari dell’impresa di una visione sostenibile delle dinamiche sociali e ambientali, portando alla scomparsa degli antiquati paradigmi produttivi tradizionali e di determinate tipologie di imprese e creando, per converso, nuove favorevoli opportunità imprenditoriali. Un nuovo schema produttivo sostenibile - aperto alla condivisione e alla relazione, fondato su un “trascendente” impianto valoriale, solido e pervasivo - permetterà il contenimento dell’attuale deriva ambientale del pianeta, determinando uno sviluppo che contemperi cultura della sostenibilità e redditività.

Ridisegnare paradigmi consolidasti è complesso ma l’economia multidimensionale nella quale viviamo deve potersi far carico – anche e soprattutto - degli ambiti socio-ambientali e culturali, individuando ulteriori criteri (oltre a quelli economici) per misurare la propria crescita: le decisioni collettive si dovranno basare (anche) su altri criteri, primo dei quali la tutela ambientale, obbligo morale nei confronti delle future generazioni. Individui e imprese - nell’assumere tali coordinate concettuali come driver decisionale - devono percepirle non come un costo da sostenere, a cui essere costretti, ma come un investimento sul miglioramento e sulla sostenibilità del proprio futuro e di quello delle prossime generazioni, in uno schema “win-win” nel quale tutti possano risultare (in qualche percentuale) vincitori.

L’allineamento del substrato valoriale che si va (auspicabilmente) a determinare tra individuo e organizzazione andrà ad attrarre e cementificare relazioni, creando un indissolubile senso di appartenenza e condivisione: per giungervi, occorre una approccio alla governance dell’impresa connotato moralmente ed eticamente dal punto di vista valoriale, che fornisca l’”esempio”, in grado di stimolare le aspettative motivazionali e relazionali degli stakeholders, determinando un virtuoso rapporto tra valori etici e obiettivi reddituali e un (certamente non agevole) equilibrio tra morale e profitto: l’obiettivo è quindi l’”economia della sostenibilità”.

 

Il ruolo delle direzioni legali nel cambio di paradigma

L’organizzazione rappresenta, come detto, una componente di un più esteso ecosistema - costituito da scambi e relazioni, nel quale tutti i membri che vi partecipano (definiti, con un termine assai poco filosofico, stakeholders) devono potervi trovare sostentamento - ma è anche, di per sè, un organismo formato da più parti, ognuna con un compito “fisiologico” da svolgere, necessario per consentirne la sopravvivenza ma sopratutto determinarne il processo evoluzionistico (quella che è stata definita “transizione” verso un nuovo paradigma).

L’”organo” aziendale nel quale è più “fisiologicamente” collocabile la più incisiva metabolizzazione di un nuovo approccio imprenditoriale “sostenibile” appare quello “legale”, luogo metafisico nel quale la cultura della “sostenibililità”:

  • può essere tradotta in norme interne, codici etici, condotte concrete,
  • porta a sintesi la mediazione tra le (a volte centrifughe) dinamiche aziendalistiche,
  • verifica il rispetto delle ratio sottese.

Non sono forse questi i tratti “legali” distintivi?

L’alveo legale deve quindi risultare il demiurgo dell’evoluzione sostenibile dell’organizzazione,

  • attraverso la costruzione dell’impianto normativo interno, nel quale trasfondere i principi sottesi alla sostenibilità “aziendale” (coerenza, onestà, trasparenza, tutela della diversità),
  • verificandone il rispetto, nella sua applicazione interna e nei rapporti con gli stakeholders,
  • essendone il contesto in cui si giudicano i comportamenti e sanzionano le violazioni,
  • fornendo esso stesso, per primo, l’esempio di etica nei rapporti interni e nelle relazioni esterne, stimolando e favorendo comportamenti virtuosi degli altri “organi” dell’impresa, contribuendo a un virtuoso e veloce “contagio” di visione sostenibile.

L’ambito legale è, ontologicamente, il luogo del “rispetto”: la perenne ricerca di norme comportamentali - che attingano dalla natura o dal diritto positivo, sulle quali fondare le condotte quotidiane - potrebbe in realtà semplicemente esaurirsi nell’applicazione di un unico principio dal quale possono dedursi tutte le ulteriori regole sociali (parafrasando la formidabile formulazione dell’imperativo categorico kantiano): a prescindere dal qualsiasi ruolo si rivesta nell’impresa, agire in modo da trattare ognuno degli attori delle nostre relazioni quotidiane (sia i membri della propria organizzazione che gli stakeholders) “sempre insieme come fine, mai semplicemente come mezzo”.    

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