09 Aprile 2020

Gli strumenti giuridici posti a tutela del personale sanitario impegnato nella lotta al COVID-19

ANDREA GUIDI

Immagine dell'articolo: <span>Gli strumenti giuridici posti a tutela del personale sanitario impegnato nella lotta al COVID-19</span>

Abstract

L'ordinamento penale prevede già strumenti tali da creare un'area di di non punibilità per gli operatori sanitari che si siano trovati ad operare nei reparti covid in condizioni eccezionali.

 

***

Da più parti si registra un allarme circa azioni legali intentate contro medici ed infermieri impegnati nei reparti covid degli ospedali o contro le stesse strutture sanitarie.

Eredi di persone decedute, o pazienti, che si ritengono danneggiati da cure inadeguate, ricorrerebbero ad azioni civili, o penali, per veder tutelati i propri, pretesi, diritti.

Le associazioni dei professionisti della sanità, che hanno lanciato l’allarme, chiedono un intervento legislativo che possa creare uno scudo legale tale da restituire la serenità agli operatori chiamati, tuttora, ad operare in condizioni estreme.

A prescindere dalla questione di un intervento legislativo emergenziale, già gli esistenti strumenti giuridici consentono di delimitare un’ampia area entro la quale, condotte terapeutiche, anche non conformi ai normali standard, possono restare esenti da qualsiasi tipo di sanzione (ci si riferisce, qui, all’ambito penalistico, ma le considerazioni valgono, largamente, anche per il dominio della responsabilità civile).

Dalle fonti giornalistiche, e dalle dichiarazioni degli stessi operatori sanitari, si è appreso di situazioni di fatto, causate da uno straordinario numero di accessi ai reparti di pronto soccorso, che, in condizioni ordinarie, potrebbero dare luogo a responsabilità per colpa:

- ritardi nel soccorso e nel prestare le cure necessarie;

- utilizzazione nei reparti covid di personale medico privo di specializzazione specifica (talvolta oculisti e pediatri sono stati chiamati ad affiancare specialisti in medicina d’urgenza, pneumologi e rianimatori);

- utilizzazione di macchinari in modo non previsto dal costruttore (da quanto appreso, in molti reparti, i ventilatori, pensati per coadiuvare la funzione respiratoria di un solo paziente sarebbero stati utilizzati, simultaneamente, per due pazienti);

- situazione emergenziali, date dalla insufficienza di mezzi, nelle quali i medici sono stati costretti a decidere a quale paziente fornire aiuto meccanico alla respirazione negandolo ad altri che avrebbero avuto meno probabilità di trarre giovamento dal trattamento;

- turni di lavoro più lunghi del consentito che potrebbero ridurre la qualità della prestazione professionale.

Come è evidente, ad esempio, in condizioni ordinarie, l’oculista che curasse, con esiti indesiderati, un paziente con difficoltà respiratorie potrebbe essere chiamato, astrattamente, a risponderne a titolo di colpa, sotto la specie dell’imperizia.

Questo, in condizioni ordinarie.

Bisogna premettere che la prestazione terapeutica, per il medico ed il paramedico, non è facoltativa ma è obbligatoria, e a maggior ragione, per i professionisti del servizio pubblico; il medico, dunque non può rifiutare il proprio servizio neanche in presenza di condizioni eccezionali che limitino la disponibilità di personale specializzato o di adeguati mezzi diagnostici e terapeutici.

In condizioni catastrofiche, come sono quelle che si verificano in certi reparti covid italiani, le regole ordinarie dell’organizzazione sanitaria e le stesse norme cautelari (tra le quali le linee guida e buone pratiche richiamate dall’art. 590 sexies c.p.) possono venire distorte, ed un neolaureato, con buona manualità, può essere incaricato di intubare i pazienti, o un farmaco, progettato per tutt’altro, può essere sperimentato, empiricamente e coraggiosamente, per ridurre l’infiammazione polmonare, senza che alcuno possa muovere un rimprovero per imperizia o imprudenza.

Tali condotte, tenute a causa di situazioni costituenti “forza maggiore”, sarebbero da ritenersi non punibili ai sensi dell’art. 45 c.p.; l’epidemia, da questo punto di vista, costituisce un evento naturalistico inevitabile che esclude la colpevolezza dell’agente.

L’eventuale reato di omicidio colposo o di lesioni colpose commesso in siffatte condizioni sarebbe, comunque, scriminato per aver agito, l’autore, in adempimento di un dovere (art. 51 c.p.) e/o per aver agito in stato di necessità (art. 54 c.p.): necessitas non habet legem.

Bisogna però sottolineare che nessuno stato d’eccezione può giustificare la colpa medica sotto la specie della negligenza.

Per quanto riguarda la causa di giustificazione costituita dallo stato di necessità, l’ordinamento ne prevede una forma che particolarmente si attaglia alle odierne circostanze: il soccorso di necessità.

Recita il primo comma dell’art. 54 c.p.: Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.

Il soccorso di necessità si configura proprio qualora un fatto costituente reato sia commesso per salvare un terzo dal pericolo.

Intesa letteralmente la norma attribuisce all’agente un terribile potere, quello di scegliere quale, tra due o più soggetti in pericolo, mettere in salvo: butto giù dalla zattera Caio per salvare Tizio.

Secondo la dottrina (Mantovani, Diritto penale, Padova 1979, pag. 242) “la scriminante del soccorso va circoscritta… ai soli casi in cui il bene salvato sia superiore al bene sacrificato (Tizio ruba una medicina per salvare una persona che ne ha urgentissimo bisogno o chi non è medico opera un intervento chirurgico indilazionabile).

Come si vede, rientra nell’ipotesi di legge proprio l’ipotesi dell’intervento terapeutico eseguito dal medico non dotato di specifica specializzazione, ma anche la ben più drammatica ipotesi nella quale il medico debba decidere quale paziente ventilare artificialmente in assenza di macchinari in numero sufficiente.

Anche in questo caso, dal punto di vista del diritto, vale il principio che il bene salvato debba essere superiore al bene sacrificato (criterio non del tutto nitido); nella pratica medica tale principio è declinato nel senso di privilegiare il paziente che abbia maggior probabilità di giovarsi del trattamento e non il criterio del “first come, first served”.

Come si vede lo strumentario giuridico a disposizione è già più che sufficiente a tutelare il personale sanitario da iniziative legali infondate, iniziative che le Procure dovrebbero destinare ad una rapida archiviazione.

Un intervento emergenziale potrebbe essere opportuno ma, soprattutto se non ben congegnato, rischierebbe di complicare ulteriormente il quadro normativo.

 

 

Altri Talks