31 Ottobre 2020

Perché LORO valgono …

VERONICA GAFFURI

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Abstract

Se vi sembra tanto una pubblicità, beh, c’è un motivo, è proprio così. Spero non mi denuncino per plagio o cose simili, ma il claim della notissima casa cosmetica mi sembrava estremamente efficace per parlare di soldi e dignità. Accoppiata inusuale per più di una ragione: la dignità di solito si accosta a concetti più nobili rispetto allo shampoo fortificante e inoltre chi si occupa di personale come me è spesso cresciuto a pane e motivation/soft skills/performance/career path/value added (in inglese si capisce meno e fa più scena) e molti di noi considerano l’aspetto meramente economico una triste sottocategoria della tribù HR, necessaria, si, ma insomma, vuoi mettere fare il Talent manager piuttosto che il Comp&Benefit specialist? Così facendo però credo che ci siamo dimenticati delle basi, come si dice spesso (non conosci la piramide di Maslow? Eddai, le basi, proprio…), quindi vorrei oggi provare a tornare lì. Inizieremo con considerazioni in ordine sparso (vedrete che poi come in un miracolo Stevejobsiano i puntini si uniscono).

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Punto 1 

In questi giorni girano parecchi grafici e tabelle sul numero dei laureati (e ricercatori, e fondi per la ricerca etc) nei vari paesi d’Europa. Indovinate dove sta l’Italia. Esatto. Ne abbiamo decisamente pochi, ma non sembra che in molti se ne facciamo un cruccio. Invece dovremmo, perché una popolazione mediamente più istruita significa maggiore capacità di comprendere un mondo sempre più complesso (qualcuno ricorderà il VUCA) e magari pure di prendere decisioni giuste (avendo capito il problema, cosa che aiuta sempre).

 

Punto 2

Sempre mediamente, gli avvocati hanno una discreta opinione di sé (confesso uso di non-modica quantità di understatement) e della loro professione, che si porta dietro un antico prestigio e un’indubbia importanza anche etica.
Essendo entrata da poco nel mondo degli Studi Legali, devo dire che questo aspetto colpisce chi viene invece dall’azienda, dove è più facile e accettato che il proprio mestiere possa evolvere e il proprio ruolo cambiare (spesso è addirittura pre-requisito per accedere a ruoli di vertice). Questo identificarsi invece con la propria professione è un aspetto che trovo nobile e giustificato per un ruolo fondamentale per vita sociale e civile di tutti.

                                            

Punto 3

Non sempre però, diciamo così, i praticanti che aspirano, spesso spinti da giovanili ideali di giustizia ed equità sociale, a diventare avvocati, trovano quegli stessi valori applicati al loro rapporto di lavoro. Come nel mondo aziendale, la varianza è alta e ogni generalizzazione audace, ma la sensazione è che ancora in troppe situazioni si approfitti del coltello dalla parte del manico (sul coltello torneremo).

 

Punto 4

E’ bello vivere di ideali, d’amore, di passione, ma l’ora di pranzo arriva per tutti (Snoopy insegna)

Punto 5 - I giovani d'oggi

Incontro giovani laureandi e laureati da un po’ di anni ormai; prima ingegneri, oggi laureati in Giurisprudenza. Poi leggo i giornali, sento le discussioni sull’autobus, i commenti al bar e mi chiedo sempre di più se non vivo in un mondo parallelo. Perché spesso il mondo degli adulti tratta i giovani come tutte le generazioni fanno quando invecchiano, cioè additandoli come pigri, abituati bene, senza valori, poca voglia di faticare, ai miei tempi invece…etc... etc... Poi vedo i CV e parlo con i/le ragazzi/e – quelli veri – e trovo giovani che viaggiano, lavorano, fanno i camerieri e i commessi mentre studiano, fanno sport, volontariato e si appassionano – udite, udite – alla politica e magari suonano pure l’oboe. Cose che io mi stanco solo a pensarle, anche immaginando di avere ancora vent’anni.

Due considerazioni d’obbligo:

  1. credo che parecchi ragazzi siano così, a prescindere dal livello di studi fatto (non è esclusiva dei laureati)
  2. so bene che vanno evitate anche le generalizzazioni buoniste: certamente la fascia di giovani che incontro è particolare, sono comunque ragazzi/e che per determinazione, passione, voglia, curiosità fanno scelte difficili e impegnative, si sono, come dire, autoselezionati. E diciamo anche che magari persino tra i laureati migliori si nasconde qualche perla tarocca, che non brilla per capacità e valori.

La mia conclusione però è che la maggior parte dei giovani che incontro è mediamente assai in gamba e sono pure simpatici.

 

Punto 6. La  pratica, mostro dalle molte teste

A scanso di denunce, anche qui metto le mani avanti: il mondo è variegato. Ma di racconti dell’orrore ne ho sentiti parecchi, e parlano soprattutto di due aspetti vitali: soldi e tempo. Due risorse indispensabili, di cui ci si aspetta invece che i praticanti possano fare a meno, forse perché giovani (vivono d’aria e di tempo ne hanno tanto davanti, per se stessi ne avranno dopo). Sarò meno criptica: temo che le situazioni in cui il lavoro, spesso di 9, 10, 11 ore al giorno (se non peggio) è poco (o nulla) retribuito non siano rarissime. Per non parlare poi dell’abuso del tempo e della vita altrui anche in modi e casi in cui non è giustificato da una reale necessità, ma solo da poca organizzazione e abuso di potere (no, andare a prendere la moglie del titolare in stazione o le camicie in lavanderia NON aiuta a diventare avvocati. Metti la cera, togli la cera aveva un altro scopo e comunque era un film).

Ecco, quando cerco di mettere insieme tutto questo proprio non mi ci raccapezzo. Prendiamo un giovane laureato (uno dei pochi), della tipologia di cui sopra; e prendiamo pure un avvocato, titolare di un suo studio, che ha costruito con impegno e passione e che ha (giustamente) alta considerazione del suo mestiere. Quale forza oscura lo porta a credere che la “gavetta” debba passare dall’umiliazione di compiti che non c’entrano nulla, di orari irrispettosi della vita altrui e di dover ancora dipendere dal mantenimento dei genitori?

Ho sentito racconti – stenterete a crederlo – di professionisti che affermano “il tuo compenso è quanto ti insegno (sottotesto: anzi, dovresti pagarmi tu, che non son mica qui a pettinare le bambole e invece mi degno di distillare la mia conoscenza per te). Questo solo per i primi 18/20 mesi; poi forse si passa al rimborso del biglietto dell’autobus. Sono casi estremi, perdonate se ci ho scherzato un po’, ma credo che l’atteggiamento di fondo esista e invece non deve esistere più.

 

Conclusioni

Non deve esistere più per varie ragioni

  1. Perché lo diceva Maslow nel ’54, prima serve soddisfare le necessità primarie. Non è impossibile appassionarsi alla filosofia teoretica a digiuno da due giorni, ma diciamo che ci vuole notevole e inusuale forza di volontà.
  2. Perchè il lavoro è dignità e se vogliamo contribuire a far proseguire un giovane sulla strada per diventare una brava persona dobbiamo consentirgli di faticare guadagnandosi la vita con il suo lavoro. Magari una vita frugale all’inizio, correlata al contributo che un giovane alle prime armi può portare, ma comunque presente (pochi, maledetti e -possibilmente- subito).
  3. Perchè se quando eravamo giovani abbiamo subito un metodo di lavoro ingiusto e con un implicito “nonnismo” non è una buona ragione per rifarlo (anzi).
  4. Perché i buoni maestri sono preziosi, all’asilo, sul lavoro, in famiglia, e insegnare a un giovane il meglio di quanto si è imparato nella propria professione è un privilegio (anche per chi impara, ma questo è più ovvio)
  5. Perché trovo ridicolo pensare di insegnare l’alto valore della professione quando se ne sviliscono gli anni più formativi.

Un’ultima riflessione: il mondo delle imprese ha iniziato da più tempo a fare propri questi concetti e a ragionare su cosa motiva le persone (e le fa lavorare meglio, mica sono tutte opere di misericordia), forse spinto anche da una cronica penuria di certe figure professionali per cui la necessità di trovarle, incentivarle e tenersele strette è impellente. E’ il mercato, bellezza. Però credo anche che si debba andare oltre la necessità e dimenticare almeno un po’ chi ha il coltello dalla parte del manico (il datore o l’impiegato? Lo studio o il praticante?) per ragionare invece in termini più adulti. Perché questo sono i nostri ragazzi e ragazze, adulti e vorrebbero tanto essere trattati come tali, con chiarezza di diritti e doveri.

 

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