14 Novembre 2019

La Cassazione non concorda con la nuova formulazione dell’art. 20 TUR

GIOVANNI MERCANTI

Immagine dell'articolo: <span>La Cassazione non concorda con la nuova formulazione dell’art. 20 TUR</span>

Abstract

Con la Legge di Bilancio 2018 il legislatore ha riformulato l’art.  20 del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, Testo Unico dell’imposta di Registro (TUR) al fine di evitare che la qualificazione degli atti sottoposti a registrazione venga effettuata dall’Agenzia delle Entrate sulla base dei pretesi obiettivi perseguiti dalle parti, individuati tenendo conto di elementi interpretativi esterni all’atto stesso e a negozi eventualmente collegati. L’ordinanza n. 23549 del 23 settembre 2019 della Corte di Cassazione ha rimesso alla Consulta la questione di legittimità costituzionale dell’art. 20 TUR, ravvedendo in esso una possibile violazione degli artt. 3 e 53 Cost., ovvero dei principi di eguaglianza e di capacità contributiva.

***

L’art. 20 TUR e le interpretazioni della giurisprudenza

Oggi, l’art. 20 TUR prevede che l’imposta di registro sia applicata sull’atto sottoposto a registrazione prescindendo da quelli [elementi] extratestuali e dagli atti ad esso collegati”. La formulazione attuale, risultante a seguito della modifica apportata dal Legislatore con la Legge di Bilancio 2018, inserisce un’importante novità: la delimitazione del potere interpretativo dell’Agenzia che viene circoscritto ad un’indagine del documento, vietando di ricercare eventuali collegamenti sussistenti tra più atti separatamente presentati per la registrazione.

Sulla base del testo precedente, che non aveva inserito il divieto esplicito al ricorso ai dati extratestuali ed agli atti collegati, l’Agenzia delle Entrate riteneva, con il conforto della giurisprudenza di legittimità, di poter effettuare un sindacato sulla sostanza economica degli atti soggetti a registrazione tassando l’ipotetico negozio-fine che veniva desunto da collegamenti negoziali. Di qui, ad esempio, il consolidato orientamento dell’Agenzia delle Entrate secondo il quale l’atto di conferimento di azienda o di ramo d’azienda – soggetto alle imposte di registro, ipotecaria e catastale in misura fissa – dovrebbe essere trattato, ai fini delle imposte indirette, alla stregua di una cessione di azienda o di ramo d’azienda – soggetta, invece, a tali imposte in misura proporzionale – ogniqualvolta le partecipazioni emesse a fronte del conferimento siano successivamente cedute dal conferente a un terzo soggetto come parte di un medesimo disegno.

La ragione si può ritrovare nel fatto che l’art. 20 TUR è stato usato a lungo come strumento normativo volto a contrastare i fenomeni elusivi posti in essere nella materia dell’imposta di registro.

Oggi la portata normativa dell’art. 20 TUR è stata chiarita dal Legislatore che ha palesato la ratio legis nella relazione di accompagnamento: “detta disposizione deve essere applicata per individuare la tassazione da riservare al singolo atto presentato per la registrazione, prescindendo da elementi interpretativi esterni all’atto stesso (ad esempio, i comportamenti assunti dalle parti), nonché dalle disposizioni contenute in altri negozi giuridici “collegati” con quello da registrare. Non rilevano, inoltre, per la corretta tassazione dell’atto, gli interessi oggettivamente e concretamente perseguiti dalle parti nei casi in cui gli stessi potranno condurre ad una assimilazione di fattispecie contrattuali giuridicamente distinte”.

L’art. 20 TUR impone quindi all’Amministrazione di interpretare l’atto unicamente con riguardo agli elementi strettamente dedotti da esso, e non ricorrendo a dati che si collocano al di fuori dell’atto stesso. In caso contrario ci si troverebbe nella circostanza di condurre un formale accertamento interpretativo con lo scopo di compiere un sostanziale accertamento antielusivo.

 

L’ordinanza del 23 settembre della Cassazione

La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 23549/2019, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale del nuovo art. 20 TUR, in rapporto agli artt. 53 e 3 Cost., “nella parte in cui dispone che, nell’applicare l’imposta di registro secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione […] si debbano prendere in considerazione unicamente gli elementi desumibili dall’atto stesso”.

Nella parte di motivazione dell’ordinanza, la Corte analizza dettagliatamente il principio di prevalenza della sostanza sulla forma, ritenendolo “imprescindibile ed anche storicamente radicato”, ed ha ravvisato come la giurisprudenza di legittimità abbia sempre valorizzato il dato sostanzialistico considerando anche elementi esterni all’atto sottoposto a registrazione – in particolare gli elementi desumibili da atti eventualmente collegati a quello registrato. Ad avviso del Giudice, invece, l’attuale art. 20 TUR andrebbe nel senso opposto aderendo ad un principio a carattere nominalistico.

Ravvisando una lesione dei principi di uguaglianza e di capacità contributiva, la Corte investe il Giudice delle Leggi della questione di legittimità.

 

Conclusione

Sebbene la giurisprudenza di legittimità abbia ondeggiato tra il ritenere che la precedente formulazione dell’art. 20 TUR (evidentemente rimpianta dalla Cassazione) dovesse essere letta estensivamente oppure in senso antielusivo, è palese che la riqualificazione dell’atto sottoposto a registrazione non si fondasse sull’avere questo un contenuto giuridico diverso dal suo nomen iuris; ma sul convincimento che detto atto, se considerato assieme ad altri negozi ed elementi extracontrattuali, consentisse alle parti di raggiungere il medesimo obiettivo che sarebbe stato conseguito con una diversa struttura contrattuale, ottenendo, rispetto a quest’ultimo, un risparmio fiscale in termini di imposta di registro. Si tratta dello stesso percorso logico che nel nostro sistema tributario è consentito dall’art. 10-bis L. 212/2000, Statuto del Contribuente, che prevede tra l’altro una specifica procedura accertativa, volta non solo a tutelare il contribuente ma pure ad evitare avventate azioni da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Ad avviso di chi scrive, l’intervento del Legislatore con la legge di Bilancio 2018 è stato positivo, logico e coerente con le esigenze del sistema, prevedendo che l’intervento interpretativo sul singolo atto sottoposto a registrazione sia governato dall’art. 20 del TUR, mentre l’eventuale azione antiabuso secondo le regole dell’art. 10-bis, nel quale tra l’altro non ha affatto cittadinanza l’interpretazione.

In questo quadro, che consente all’Agenzia delle Entrate di effettuare il proprio intervento antiabuso, seppur secondo l’egida dell’art. 10-bis e non del 20, appare difficile comprendere quale sia l’esigenza che la Cassazione intende presidiare.

Si volesse interpretare l’art. 20 TUR come intende la Cassazione, si avrebbe di fatto una inutile duplicazione normativa con l’art. 10-bis.

Leggere in questi termini l’art. 20 TUR, de facto sgravando l’Agenzia delle Entrate dall’uso dell’art. 10-bis e quindi dal rispetto della procedura ivi stabilita, arreca un duplice danno sistemico in quanto da un lato lede le garanzie poste a salvaguardia del contribuente eludendo il confronto preventivo con l’Amministrazione, e dall’altro non consente all’Agenzia stessa di ottenere un quadro efficace dell’accertamento. Invero il fine per cui si instaura il procedimento pre-contenzioso di natura contraddittoria è quello di consentire ad entrambe le parti – contribuente ed Amministrazione finanziaria – di comprendere la situazione concreta e gli interessi in gioco in modo tale da confezionare l’eventuale pretesa erariale quanto più correttamente e scongiurando eventuali ricorsi di natura giudiziaria costosi, in termini di tempo e risorse, tanto per il contribuente quanto per l’Amministrazione stessa.

Per di più, non accettare l’attuale formulazione dell’art. 20 TUR significa pretendere di assegnargli una funzione di lotta al mero risparmio fiscale, in chiaro contrasto col legittimo obiettivo di pianificazione fiscale finalizzato al risparmio tributario che è un diritto del contribuente e mai è stato considerato illecito dal Legislatore (salvo nei suoi abusi volti a perseguire vantaggi fiscali indebiti).

Auspichiamo che la Consulta comprenda meglio della Cassazione il diverso ambito applicativo delle due disposizioni, riconosca che le esigenze antiabuso sono appropriatamente salvaguardate dall’art. 10-bis, e quindi dichiari infondata la questione di legittimità sollevata dalla Suprema Corte. Con l’ulteriore risultato di riconoscere che spetta al Legislatore decidere cosa e quanto è giusto tassare.

 

Ha contribuito alla stesura del presente articolo l'Avv. Nicolò Giordana, Tax lawyer presso lo Studio.

 

Altri Talks