31 Luglio 2019

Confisca di prevenzione allargata e frode fiscale: profili di criticità della normativa

VALERIO ROCHIRA

Immagine dell'articolo: <span>Confisca di prevenzione allargata e frode fiscale: profili di criticità della normativa</span>

Abstract

La riflessione sul tema prende spunto da una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sez. 5, n. 32461, del 15/05/2019 – dep. 19/07/2019). Il Supremo Collegio ha ritenuto legittimo quanto disposto dalla Corte d’Appello meneghina, con riguardo all’applicazione di una misura di prevenzione patrimoniale nei confronti di un soggetto che si riteneva vivesse abitualmente con i proventi di attività delittuosa. In particolare da quelli derivanti dalla pluriennale attività di frode fiscale posta in essere dal ‘94 al 2014 attraverso un collaudato sistema fraudolento, alla cui base erano previsti una serie di rapporti cartolari tra società consortili e cooperative, consistenti sostanzialmente in false fatturazioni, o comunque per operazioni inesistenti, che garantivano un certo risparmio di imposta, oltre a fuoriuscite patrimoniali dalle casse delle società in favore di ulteriori persone giuridiche di dubbia esistenza ovvero orbitanti nel circuito del proposto e della sua famiglia.

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Brevi cenni sulla disciplina della confisca di prevenzione alla luce della Giurisprudenza costituzionale e di legittimità

Segnatamente, nella parte motiva del provvedimento viene valorizzato quanto sancito dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 24/2019. Il Giudice delle leggi, valorizzando a sua volta gli approcci interpretativi della giurisprudenza di legittimità successivi alla Corte EDU - Grande Chambre De Tommaso c. Italia -, ha ritenuto, invece, che risulta oggi possibile assicurare in via interpretativa contorni sufficientemente precisi alla fattispecie ora confluita nell’art. 1 lett. b) d.lgs. 159/2011. Precisando che, laddove la normativa in esame preveda l’applicazione della misura ablatoria nei confronti di coloro che per la condotta e il tenore di vita debba ritenersi, sulla base di elementi di fatto, che vivano abitualmente di proventi illeciti, la necessità di predeterminazione della fattispecie interesserebbe non tanto i singoli titoli di reato, quanto le specifiche categorie di reato. La Consulta ha inoltre chiarito che: a) i delitti debbano essere stati commessi abitualmente; b) devono aver effettivamente generato profitti in capo al proposto; c) questi ultimi devono costituire l’unico reddito del soggetto, o quantomeno una componente significativa di esso.

Infine, l’ablazione patrimoniale è giustificata solo laddove ci sia un rapporto di proporzionata e ragionevole congruenza tra il valore dei beni che si intendono confiscare e quanto percepito a titolo di profitto illecito; fermo restando che il proposto non sia in grado di giustificare l’eventuale provenienza illecita dei medesimi.

Il Giudice delle leggi ha ancora evidenziato come le misure di prevenzione non presuppongano l’instaurarsi di un processo penale nei confronti del soggetto destinatario. È sufficiente, nonché necessario a legittimarne l’applicazione, che l’attività criminosa risulti da evidenze che la legge indica ora come “elementi di fatto”, più spesso come “indizi”. Evidenze che devono essere vagliate dal Tribunale nell’ambito di un procedimento retto da regole probatorie di giudizio diverse da quelle proprie dei procedimenti penali.

Sempre a detta della Corte, la circostanza che, ai fini dell’applicazione di una misura di prevenzione, sono comunque necessari elementi che facciano ritenere pregresse attività criminose da parte del soggetto, non comporta che le misure in questione abbiano nella sostanza carattere sanzionatorio-punitivo, in tal guisa da chiamare in causa necessariamente le garanzie convenzionali e costituzionali in materia penale.

Essendo le misure di prevenzione personali imperniate su un giudizio di persistente pericolosità del soggetto, esse hanno una chiara finalità preventiva anziché punitiva, mirando a limitare la libera movimentazione del destinatario, onde impedirgli la reiterazione di attività illecite. Lo scopo essenziale sarebbe il controllo, per il futuro, della pericolosità sociale del soggetto interessato, non già la punizione per ciò che questi ha compiuto nel passato.

Ne deriva che tra le misure di prevenzione personali e patrimoniali vi sia coincidenza di natura e intenti. In ragione del loro carattere preventivo, queste ultime (patrimoniali) sono assimilabili alle misure di sicurezza. Come tali, seppur sottoposte al principio di legalità – art.199 c.p. - soggiacciono al principio del tempus regit actum, ex art. 200 c.p., non al principio della legge più favorevole al momento della commissione (lex mitior).

La natura preventiva, dunque, legittima il disancoraggio della disciplina dai classici canoni di prevedibilità, in ragione delle esigenze superiori di ordine pubblico.

Da ultimo, con la sentenza Corte Cost. 24/2019, nel tentativo di interpretare il requisito normativo dell’art. 1 d.lgs. cit., viene ribadito che il giudice della prevenzione possa ricostruire in via totalmente autonoma gli episodi storici (id est, elementi di fatto) posti alla base della misura patrimoniale, stante l’assenza di pregiudizialità e l’autonomia dei procedimenti. Viene precisata, però, l’insufficienza dei meri indizi, atteso che il “codice antimafia” differenzia volutamente i presupposti delle misure a seconda che si tratti di soggetti a pericolosità sociale ordinaria, ovvero qualificata. Per quest’ultimi è sufficiente che siano indiziati di reato (solitamente reati di mafia) affinché possano applicarsi gli strumenti preventivi.

Beninteso, la fattispecie in esame interessa soggetti a pericolosità sociale ordinaria, dovendosi ritenere socialmente pericoloso l’imprenditore che ha ideato un’interposizione fittizia di manodopera grazie a una serie di cooperative fantasma adite all’emissione di fatture false. I frutti del denaro nero confluivano nelle società di famiglia oltre a essere reinvestiti; proprio gli immobili comprati con il risparmio d’imposta venivano colpiti dalla misura ablatoria. In questo caso, è stato accertato che il prevenuto vivesse con i proventi di attività criminale sulla base dei modesti redditi dichiarati, a fronte della rilevantissima disponibilità patrimoniale, soprattutto immobiliare, donde la pericolosità sociale.

 

Osservazioni critiche

Pur avendo la Cassazione, nel caso in esame, fatto ineccepibile applicazione della normativa vigente alla luce anche della rilettura costituzionale della disciplina, non si nascondono le perplessità che sopravvivono circa l’opportunità di estensione massiva del meccanismo originariamente ideato per la repressione del fenomeno mafioso.

L’analisi critica della disciplina dovrebbe svolgersi diffusamente su vari temi. Tuttavia, ciò che continua a saltare all’occhio è quella che gli studiosi più attenti hanno da sempre definito “truffa delle etichette”; il tentativo di mascherare una misura punitiva – ancorché fondata su giudizi sommari e presunzioni, privi di garanzie per il sottoposto – con l’infelice nomen di misura di prevenzione.

Da manuale, ciò che consente di distinguere le pene dalle misure dotate di natura stricto sensu preventiva, come le misure di sicurezza (alle quali si tenta di assimilare le m.d.p.), è piuttosto l'essenziale presupposto della pericolosità del soggetto prevenuto. La pericolosità sociale, perché si giustifichi la repressione preventiva, deve ragionevolmente essere caratterizzata dal requisito dell’attualità (non avrebbe senso altrimenti derogare l’iter di accertamento processuale).

Ciononostante, le misure di prevenzione patrimoniali possono essere richieste indipendentemente dalla pericolosità sociale (del soggetto proposto per la loro applicazione) al momento della richiesta della misura di prevenzione . In sostanza, esse possono colpire un soggetto che, al momento della richiesta, e a fortiori al momento dell'applicazione della misura stessa, non è socialmente pericoloso, non manifestandosi alcun quadro sintomatico relativo alla probabilità di commissione di ulteriori reati in futuro. È consentita la confisca anche nei confronti di beni appartenuti a un soggetto ormai defunto, a condizione però che egli rientrasse in vita in una delle categorie soggettive specificamente indicate.

Tuttavia come è stato icasticamente commentato, “Da un morto, però, non può scaturire alcun pericolo di realizzazione di nuovi reati, direbbe il signor de Lapalisse”.[1]

Una misura che mira a prevenire reati intanto ha senso in quanto sia condizionata a evidenze di una pericolosità attuale del soggetto colpito. Questo però contrasta manifestamente con l’irreversibile efficacia perpetua dell’ablazione patrimoniale che si realizza con qualsiasi confisca, permanendone gli effetti anche ove la pericolosità del soggetto sia per sempre cessata, trasferendosi addirittura su eredi ignari o innocenti.

Benché possa comprendersi (pur non essendo condivisibile in termini assoluti) che la lotta del fenomeno mafioso necessiti di strumenti severi ed efficaci - che possano neutralizzare la pericolosità sociale e per l’ordine pubblico dei soggetti coinvolti - l’estendere in maniera sconsiderata il novero dei soggetti che possono essere colpiti da misure sostanzialmente applicate in assenza di garanzie è molto pericoloso.

Lo stato di diritto si fonda sulle garanzie, anche per chi è accusato di crimini particolarmente odiosi.

Nondimeno, pur facendo finta di non vedere (…) quando a essere privati di dette garanzie siano i responsabili di crimini efferati, l’espropriazione allargata negli stessi termini nei confronti di un soggetto che si “presume” (sic!) abbia arricchito la propria disponibilità patrimoniale attraverso espedienti elusivi del sistema fiscale, appare poco condivisibile.

Si badi, ciò che non si condivide, non è la confisca dei beni di cui si è accertata aldilà di ogni ragionevole dubbio la provenienza delittuosa, altresì si contesta l’applicazione della misura a seguito di un procedimento privo di garanzie, fondato sull’inversione dell’onus probandi e su giudizi presuntivi e sillogistici, che tutto provano, tranne l’inconfutabile certezza che i beni ablati siano frutto di attività criminale.

Orbene, la natura di una misura che presuppone un accertamento sommario di pregressi reati, senza richiedere invece alcuna prognosi sul futuro, è in effetti quella di una sanzione per la commissione di quei reati. Una punizione inflitta al loro autore, in termini di pregiudizio patrimoniale, del tutto analoga per natura a quella che caratterizza la pena pecuniaria e ogni altra forma di confisca pronunciata dal Giudice penale sul medesimo presupposto della commissione, in passato, di uno o più reati.

Trattasi di un’autentica pena e, in quanto tale, il soggetto cui viene comminata dovrebbe poter fruire delle garanzie che la Costituzione e le Carte dei diritti internazionali impongono a ogni Stato di Diritto.

 

 

 

 

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