14 Ottobre 2019

Il danno all’immagine della PA come figura di danno erariale

ANTONIO PAVAN

Immagine dell'articolo: <span>Il danno all’immagine della PA come figura di danno erariale </span>

Abstract

La Corte Costituzionale con la sentenza n. 191/2019, pur rigettando la questione di legittimità costituzionale della normativa vigente in materia di danno all’immagine della PA, rappresenta un utile spunto per approfondire un tema controverso.

***

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 191 del 19 luglio 2019, torna ad occuparsi delle problematiche legate alla proposizione della domanda di risarcimento del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, in conseguenza di delitti commessi dai pubblici ufficiali a danno della stessa PA.

La sentenza, sebbene abbia dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 51, commi 6 e 7 dell’allegato 1 al Codice di Giustizia Contabile (C.G.C.), svolge un’utile disamina dei punti più incerti della materia, dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. 174/2016.

La questione di legittimità è stata sollevata dalla Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Liguria, nel contesto del giudizio intrapreso dal Procuratore contabile contro un ufficiale della Polizia di Stato, coinvolto nei fatti del G8 di Genova, per il risarcimento, in favore del Ministero dell’Interno, del danno patrimoniale e all’immagine. Il convenuto era stato condannato dal Tribunale di Genova per il reato continuato di violenza privata aggravata (ex art. 61, n. 9 c.p.). Successivamente, in appello, l’imputato era stato assolto per intervenuta prescrizione, sebbene fosse stato condannato, in solido con il Ministero dell’Interno, al risarcimento dei danni ed al pagamento delle spese in favore delle parti civili costituite.

Il tema riguarda l’art. 51, commi 6 e 7 dell’allegato 1 al Codice di Giustizia Contabile, di cui la Consulta è chiamata a vagliarne la costituzionalità. A detta del rimettente, la norma violerebbe gli articoli 3, 97, 103, comma 2 e 76 della Costituzione. Sarebbe cioè incostituzionale, ai fini dell’esercizio dell’azione di risarcimento del danno all’immagine:

  • che occorra una sentenza penale di condanna definitiva, nonostante che i fatti siano stati accertati ai fini dell’azione civile proposta nel processo penale;
  • configurare un trattamento diverso tra privati e PA nel risarcimento dei danni subiti, con riferimento agli stessi fatti storici;
  • limitare l’azione in modo eccessivo rispetto allo scopo di rendere l’attività amministrativa “scevra da appesantimenti” e dunque più efficace ed efficiente.

Sebbene, come detto, la Consulta non entri nel merito della costituzionalità della norma, la sentenza è un utile spunto per ripercorrere l’evoluzione della disciplina del danno all’immagine della PA e le problematiche che tuttora interessano la materia.

Il danno all’immagine della PA secondo la dottrina[1], pur rientrano nell’alveo del danno erariale, si caratterizza perché “lede il buon andamento dell’Amministrazione, la quale, a causa della condotta illecita perpetrata dai dipendenti infedeli, perde la credibilità e la fiducia dei cittadini amministrati, poiché ingenera in questi ultimi la convinzione che il comportamento illecito posto in essere dal dipendente rappresenti il modo in cui l’ente agisce ordinariamente”. In sostanza, si tratta di una tipologia di danno che va ad incidere sul prestigio e sulla credibilità dell’Amministrazione.

Il danno all’immagine della PA ha origine pretoria. È stato cristallizzato a livello legislativo soltanto nel 2009, con l’introduzione D.L. n. 78 (convertito con modificazioni in L. 102/2009). Secondo tale decreto, la configurabilità del danno all’immagine era limitata ai soli casi di delitti dei pubblici ufficiali contro la PA (artt. da 314 a 335-bis c.p.) accertati con sentenza di condanna definitiva.

Tale norma è stata più volte oggetto, come nel caso che ci riguarda, di censure sotto diversi profili di illegittimità costituzionale[2]. Tuttavia la Corte, nel 2010[3], ha avuto modo di chiarire che le questioni sono infondate essendo legittima una legge che circoscriva la risarcibilità del danno “soltanto in presenza di un fatto che integri gli estremi di una particolare categoria di delitti” e che non è irragionevole la scelta di non estendere il risarcimento anche a reati diversi o a condotte non costituenti reato.

Nel 2016, poi, è entrato in vigore il Codice di Giustizia Contabile, il quale ha abrogato parte della norma che disciplinava il risarcimento del danno all’immagine della PA. E oggi resta in vigore la norma che limita la proposizione della domanda di risarcimento nei casi specifici di legge, sebbene tale norma faccia rinvio ad una previsione abrogata dallo stesso C.G.C.

Come si può comprendere, il quadro normativo risultava incerto ed infatti la Corte dei Conti ha avuto modo di chiarire[4] che attualmente il novero dei reati che permettono di accedere al risarcimento sono, più genericamente, tutti quelli a danno della PA, accertati con sentenza penale passata in giudicato.

Ad esempio, lo scorso anno, la Corte dei Conti dell’Emilia-Romagna ha condannato un docente dell’Accademia Militare di Modena a risarcire il danno all’immagine arrecato all’Amministrazione per aver commesso il reato di violenza sessuale nei confronti di due allievi dell’Accademia, ex art. 609-bis c.p.[5]

Dal quadro delineato, risulta chiaro che il risarcimento del danno all’immagine della PA, quale figura di danno ha subito un percorso travagliato. Sebbene la rosa dei reati presupposto sia stata estesa, persistono perplessità in relazione alla necessarietà dell’accertamento penale in via definitiva. Come è stato chiaramente messo in luce[6], tale requisito presenta delle incongruenze rispetto ai principi del giusto processo (ad esempio, in relazione alle tempistiche processuali e alla necessità di avere certezza dei rapporti in tempi ragionevoli), ma anche “in relazione alla riforma che ha comportato l’eliminazione della pregiudizialità penale sui processi civili, amministrativi e contabili a favore della concezione dell’autonomia dei giudizi nelle diverse sedi giurisdizionali”.

Infine, lo stesso Autore fa notare che per altre tipologie di danno non è necessario attendere la definizione del processo penale, “con la conseguenza che per lo stesso fatto vengano proposte azioni in tempi diversi, a seconda della tipologia del danno contestato, con la possibilità di giudicati contraddittori”.

In definitiva, risulta forse auspicabile un intervento legislativo in materia, così da mettere chiarezza e risolvere le questioni incerte che involgono la disciplina.

 

 

Altri Talks