28 Dicembre 2020

Il delitto di omessa comunicazione del conflitto d’interessi: profili critici

LUCA DI STEFANO

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Abstract

A 15 anni esatti dall’introduzione del delitto di cui all’art. 2629 bis c.c. (con la Legge 28 Dicembre 2005, n. 262), si registra la scarsa effettività del delitto in esame, nonché la mancata operatività dell’illecito presupposto della Responsabilità amministrativa degli Enti ex D.Lgs. n. 231/2001.

La norma, criticata da più parti, deve principalmente le sue incongruenze alla “fretta emergenziale” con cui il Legislatore l’ha introdotta nel sistema dei reati societari, situazione di “urgenza normativa” suscitata da una serie di clamorosi dissesti finanziari di noti gruppi imprenditoriali (crack della Parmalat e di Cirio degli anni 2002-2003), nonché dalle scalate bancarie (casi Antonveneta e BNL proprio del 2005), alla radice dei quali sono state riscontrate, tra le altre gravi condotte, macroscopiche situazioni di conflitto di interessi.

 

 

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Introduzione

Il reato in esame punisce l’Amministratore o il componente del Consiglio di Gestione di una società con titoli quotati in mercati regolamentati italiani o di altro Stato dell’U.E. o diffusi tra il pubblico in misura rilevante ai sensi dell’art. 116 del T.U.F. (emittenti strumenti finanziari individuati sulla base di criteri stabiliti con regolamento dalla Consob); ovvero di un soggetto sottoposto a vigilanza ai sensi del T.U.B. (Banche, Gruppi Bancari ed Intermediari finanziari), del citato T.U.F. (S.I.M. e imprese di investimento comunitarie ed extracomunitarie, S.G.R., società di gestione armonizzate, S.I.C.A.V., intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’art. 107 del T.U.B. e banche autorizzate all’esercizio dei servizi di investimento), del D.Lgs. 07.09.2005, n. 209 (soggetti subordinati alla vigilanza dell’I.S.V.A.P.) ed, infine, del D.Lgs. 21.04.1993, n. 124 (c.d. fondi pensione), che non rispetta gli obblighi previsti dall’articolo 2391, comma 1, c.c., se dalla violazione siano derivati danni alla società o a terzi. In particolare, ai sensi della norma richiamata, l'Amministratore deve dare notizia, agli altri componenti del C.d.A. ed al Collegio Sindacale, di ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata. Se si tratta di Amministratore Delegato, deve altresì astenersi dal compiere l’operazione, investendo della stessa l’organo collegiale; se si tratta di Amministratore Unico, deve darne notizia anche alla prima assemblea utile.

Il delitto de quo è, inoltre, compreso nel catalogo dei reati-presupposto del D.Lgs. n. 231/2001, all’art. 25 ter, comma 1, lett. r), se dalla sua violazione sono stati cagionati danni a terzi.

 

L’applicabilità “circoscritta” della norma incriminatrice: soggetti attivi, condotta ed interesse tutelato

Già da una primissima lettura della norma in commento si evince come trattasi di una fattispecie incriminatrice dall’applicabilità circoscritta, integrandosi solo per le condotte di amministratori di società quotate o a capitale diffuso (reato proprio).

Anche sotto il profilo della tassatività e della chiarezza della norma, la stessa risente della criticabile tecnica del rinvio all’art. 2391, comma 1, c.c., in base al quale la condotta consiste nella violazione di stringenti obblighi di disclosure circa l’interesse dell’amministratore in una determinata operazione.

Il punto più problematico è riferito alla precisa individuazione del concetto di interesse, i cui contorni restano tutt’ora controversi, discutendosi se deve riguardare solo quello in conflitto con quelli societari, ovvero se l’interesse rileva in sé, anche se neutro o addirittura conforme all’interesse stesso della società.

Pertanto, si ritiene che il delitto svolga una funzione di anticipazione della tutela, di scarsa effettività a causa della complicata coesistenza con l’infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.).

 

L’evento:  i danni alla società o a terzi

Problemi di natura applicativa del reato de quo risultano, inoltre, con riguardo all’accertamento del nesso causale tra la condotta (la violazione dei precetti civilistici) e l’evento (i danni alla società o a terzi).

Invero, tale connessione causale risulta di non facile ricostruzione probatoria (i) per la difficoltà di accertare un legame con pregiudizi riconducibili ad operazioni finanziarie, (ii) alla luce del  necessario riferimento ad un comportamento ulteriore alla mera violazione degli obblighi ex art. 2391 c.c., nonché (iii) in ragione dell’accertamento dell’elemento soggettivo del reato (dolo generico) per cui il reo, oltre ad essere consapevole del suo interesse e volere la propria inerzia, dovrà essersi rappresentato e aver voluto anche il realizzarsi del danno alla società o a terzi.

Il danno costituisce l’evento che concretizza l’offesa al bene giuridico protetto dalla norma, ovvero qualsiasi pregiudizio, anche non patrimoniale per la società e per i terzi, i quali possano essere soci uti singuli, creditori sociali o comunque soggetti “interessati” alla corretta gestione societaria.

 

Il delitto de quo quale reato presupposto della Responsabilità amministrativa degli Enti ai sensi del D.Lgs. n. 231/2001

Anche la previsione del delitto quale reato presupposto del D.Lgs. n. 231/2001 appare contraddittoria, risultando configurabile solo nell’ipotesi in cui il fatto sia commesso nell’interesse o a vantaggio dell’Ente e a danni di terzi[1].

 

Conclusioni

Il reato in esame presenta aspetti di imprecisione forieri di dubbi interpretativi sia con riferimento alla lettura della norma stessa, sia con riguardo alla sua concreta effettività ed applicazione, al punto che si è condivisibilmente stigmatizzato che tale fattispecie si inserisca in una “deludente sistemazione legislativa dei delitti di infedeltà” (Romano) ovvero rappresenti una “nota fortemente stonata nella già criticabile trama dei reati societari” (Seminara).

 

Il presente articolo è stato redatto con la collaborazione dell’Avv. Simona Fiorello dello Studio dell’Avvocato Luca Di Stefano.

 

[1] Secondo Perini, Prime osservazioni sui profili penali della nuova legge sul risparmio, in GI, viene creata una fattispecie avamposto rispetto all’art. 2634 c.c., alla quale viene “agganciata” una responsabilità amministrativa dell’Ente che appare contraddittoria, sotto il profilo degli interessi tutelati, e del tutto distonica, sotto il profilo della coerenza sistematica.

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