14 Ottobre 2021

Fideiussioni omnibus e violazione dei principi di libera concorrenza: alcune riflessioni in attesa delle Sezioni Unite

DESIREE BAUCIA

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Abstract

C’è grande attesa per la pronuncia delle Sezioni Unite sul dibattuto tema della validità delle fideiussioni omnibus prestate a garanzia di operazioni bancarie che riproducano fedelmente gli articoli 2, 6 e 8 contenuti nei moduli ABI redatti nel 2002 e censurati da Banca d’Italia nel maggio 2005. L’ordinanza di rimessione - offrendo una perfetta sintesi del panorama giurisprudenziale - è un’ottima occasione per tornare a riflettere sule criticità scaturenti dalla scelta per il rimedio invalidatorio.

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Con ordinanza n. 11486 del 30 aprile 2021, la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della vexata quaestio circa la validità dei contratti di fideiussione stipulati in conformità d’intese restrittive della concorrenza.

Trattasi, come noto, dei modelli di fideiussione omnibus contenenti la riproduzione degli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale ABI, rispetto ai quali Banca d’Italia, con provvedimento n. 55 del 2005, ha accertato che tali disposizioni, nella misura in cui siano applicate in modo uniforme, risultano in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), Legge n. 287/90.

L’ordinanza in commento compie una sintetica e puntuale ricognizione dello stato dell’arte della questione, dando atto del travagliato percorso giurisprudenziale, a partire dalla pronuncia delle Sezioni Unite n. 2207 del 2005 - in occasione del quale venne riconosciuta la piena legittimazione del consumatore all’esercizio tanto dell’azione risarcitoria quanto quella di nullità – per arrivare all’impostazione più recente di certa giurisprudenza che, sulla scia della nota ordinanza n. 29810 del 2017, sembra decisamente preferire la strada della nullità (quantomeno delle singole clausole).

La Prima Sezione ha cura di sottolineare come quest’ultimo filone giurisprudenziale mostri non poche incertezze, che sono state puntualmente rilevate da una certa dottrina; dottrina che a sua volta si divide tra chi ritiene inammissibile l’azione di nullità e chi, invece, la ritiene ammissibile anche con riferimento all’intesa “a valle” (per evitare che la sanzione della nullità limitata ai contratti “a monte” si riduca a una mera sanzione formale).

Eppure, anche tra i sostenitori della tesi dell’invalidità, non vi è unitarietà di vedute circa l’individuazione del tipo di nullità, segnatamente: (i) per contrarietà a norme imperative; (ii) per illiceità della causa; (iii) per illiceità dell’oggetto; (iv) nullità derivata ovvero (v) nullità di protezione. Inoltre, la maggior parte delle decisioni ricorre alla fattispecie della nullità parziale, ma vi sono anche pronunce che dichiarano la nullità totale della fideiussione omnibus.

Insomma, la Prima Sezione mette bene in luce le contraddizioni esistenti nell’attuale panorama giurisprudenziale ma, soprattutto, ritiene che sia necessaria una “rimeditazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in tema di nullità dei contratti stipulati in conformità d’intese restrittive della concorrenza”.

A parere di chi scrive, i maggiori fraintendimenti si sono sviluppati successivamente alla summenzionata ordinanza n. 29810 del 2017 che – sebbene abbia limitato l’indagine al profilo temporale della realizzazione dell’intesa anticoncorrenziale e della conseguente applicazione della disciplina antitrust – è stata spesso interpretata come il definitivo riconoscimento della sanzione della nullità anche dell’intesa “a valle” contenente le clausole sanzionate. Questo approccio, tuttavia, finisce per ignorare diverse problematiche di grande rilevanza: prima fra tutti, l’ammissibilità di una tutela reale per l’utente finale in materia di diritto della concorrenza in assenza di alcuna previsione legislativa analoga.

È noto infatti come il diritto della concorrenza appresti, come rimedio per eventuali violazioni, quello risarcitorio: basti pensare all’art. 1, comma 1, d.lgs. 3/2017 in attuazione della direttiva 2014/104/UE (volta a disciplinare l’azione di risarcimento del danno per violazione delle disposizioni in materia antitrust degli Stati membri UE e citata dalla stessa Prima Sezione) che non contiene alcun cenno alla tutela reale del consumatore pregiudicato dall’intesa restrittiva.

Oppure, alla dibattuta questione relativa ai contratti di mutuo indicizzati al tasso variabile Euribor: a seguito delle decisioni con cui la Commissione Europea aveva accertato l’illegittimità di un cartello tra alcune banche europee volto alla manipolazione del tasso Euribor, in numerose occasioni i clienti dei diversi istituti di credito avevano sollevato contestazioni relative alla presunta nullità delle clausole determinative del tasso d’interesse per presunta violazione degli artt. 1283 e 1346 c.c. La giurisprudenza che ha avuto modo di pronunciarsi sul tema ha riconosciuto in maniera pacifica che l’Euribor “deve considerarsi pienamente legittimo e non contrastante con i precetti concorrenziali” e che la sanzione della nullità invocata dai clienti “riguarda […] esclusivamente le intese tra le imprese restrittive della libertà di concorrenza […] e non si applica, invece, ai contratti […] conclus(i) con i terzi sulla base di dette intese” (Tribunale di Milano, sent., 27 settembre 2017, nn. 9708 e 9708).

Tali principi dovrebbero essere applicati anche in tema di contratti di fideiussione omnibus stipulati “a valle” di un’intesa illecita; adottando soluzioni diverse a fronte di fattispecie del tutto omogenee, il rischio che ne deriva è la totale assenza di coerenza e uniformità all’interno del diritto antitrust.

Senza dimenticare che la tesi dell’invalidità condurrebbe a un travolgimento del consolidato principio di non interferenza tra regole di validità e regole di comportamento: il richiamo alla nullità del contratto “a valle” per violazione dell’art. 1418, co. 1, c.c. risulterebbe inappropriato, considerato che la norma imperativa che si assume violata - art. 2 Legge n. 287/1990 - considera intese rilevanti tanto gli accordi quanto le «pratiche concordate», che non solo abbiano «per oggetto» ma altresì abbiano «per effetto» di impedire o falsare in maniera consistente la libera concorrenza. Trattasi di una norma di comportamento, la cui violazione dovrebbe condurre a una statuizione in termini di responsabilità per il danno (eventualmente) subito dal contraente che abbia concluso il negozio in una situazione di mercato caratterizzata da un cartello tra imprese.

Alla luce di queste criticità, si resta in attesa dell’intervento delle Sezioni Unite, con l’auspicio che queste possano fare chiarezza su una questione così delicata che ha comportato non solo un significativo incremento del contezioso ma pure una grande varietà di soluzioni interpretative, che certamente risultano poco conformi al principio della certezza del diritto.

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