13 Novembre 2024

Licenziamento per malattia: quando è discriminatorio? Analisi sentenze sul superamento del periodo di "comporto"

RIZZARDO DEL GIUDICE

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Abstract

Quando il licenziamento per superamento del periodo di comporto diventa discriminazione indiretta? Due sentenze del 2022 dei Tribunali di Lodi e Vicenza affrontano questo delicato tema, aprendo una riflessione sul rapporto tra normativa nazionale ed euro-unitaria in materia di disabilità. L'evoluzione giurisprudenziale della Cassazione nel 2023-2024 ha poi tracciato nuove coordinate interpretative, ridefinendo i confini della tutela del lavoratore affetto da patologie croniche invalidanti.

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Le due Sentenze – Tribunale Lodi Sezione Lavoro Sentenza n. 19/2022; Tribunale di Vicenza Sezione Lavoro Sentenza n. 181/2022 – oggi non recentissime ma espressione di una dialettica giurisprudenziale di estrema attualità, si occupano di fattispecie analoga.

Questo il caso, come già detto analogo, delle due vicende: il lavoratore è costretto ad una lunga assenza per motivi di salute, così da provocare il superamento del “periodo di comporto” previsto dalla contrattazione collettiva di settore e cui consegue la facoltà del Datore di Lavoro di intimare il licenziamento, senza necessità di addurre giusta causa o giustificato motivo.

Il lavoratore insorge impugnando il licenziamento così motivato e sostenendone la nullità per violazione dei principi euro unitari in tema di “discriminazione indiretta”, conseguente alla mancata valutazione della situazione personale del lavoratore licenziato riconducibile a patologia medica non transitoria e contraddistinta da condizione di invalidità provocata da malattia tale da indurre disabilità del lavoratore.

Alla richiesta di nullità del licenziamento si accompagna la domanda di reintegrazione nel posto di lavoro nonché di risarcimento del danno in misura non inferiore a 5 mensilità.

Entrambe le Sentenze, seppure con diversa motivazione, respingono l’impugnazione del licenziamento per nullità declinata nel paradigma della “discriminazione indiretta”.

Per comprenderne le motivazioni è necessario anticipare quale contenuto assume, nell’ordinamento euro unitario, il concetto di “discriminazione indiretta” nel rapporto di lavoro e chiarire perché ne consegua – in presenza di malattia cronica con effetti invalidanti – la possibile nullità del licenziamento.

In tale contesto assume rilevanza significativa il diverso approccio, normativo e concettuale, alla “disabilità” rispettivamente nell’ordinamento interno e nella disciplina euro unitaria.

Mentre il primo recepisce una definizione rigida e categoriale delle situazioni invalidanti – in particolare declinata nella L. n. 104/1992 – la Direttiva n. 2000/78/CE, intesa a garantire la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, come interpretata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, recepisce nel perimetro della disabilità ogni menomazione fisica, mentale o psichica duratura e tale da precludere o da indurre ostacoli alla piena ed effettiva partecipazione del soggetto alla vita professionale su base di eguaglianza con gli altri lavoratori.

Quest’ultima definizione – non estranea all’ordinamento interno, essendo la Direttiva n. 2000/78/CE recepita con D.L.vo n. 216/2003 – si sostanzia nel paradigma della “discriminazione indiretta” nell’ipotesi di estromissione dall’attività lavorativa conseguente alla disabilità, ove il periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva di settore non escluda le giornate di assenza dal lavoro riconducibili alla condizione soggettiva del lavoratore disabile.

In conclusione il licenziamento che ne consegue si profila illegittimo poiché fondato su di una previsione contrattuale collettiva che confligge con la disciplina euro unitaria, da ritenersi prevalente ed inderogabile.

Ciò premesso va detto che le Sentenze della Sezione Lavoro dei Tribunali di Vicenza e di Lodi hanno disatteso l’impostazione di cui dianzi: la prima ritenendo che la posizione del lavoratore debba essere valutata contemperandone le esigenze a quelle organizzative dell’impresa, la seconda escludendo – in linea di fatto – che la condizione di invalidità del lavoratore fosse riconducibile ad una violazione dei presidi di tutela e prevenzione nei luoghi di lavoro.

Si tratta però di argomentazione che, in attualità, trovano assai poco spazio al cospetto del diverso orientamento della Corte di Cassazione come recepito nella pronuncia 31 marzo 2023 n. 9095 e più di recente dalla Corte stessa ribadito nelle Sentenze 02 maggio 2024 n. 11731 e 31 maggio 2024 n. 15282.

L’insegnamento della Corte di Cassazione deve ritenersi oggi allineato all’interpretazione della Direttiva euro unitaria come declinata nelle richiamate pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e non pare consenta spazio alcuno per argomentazioni di diverso indirizzo: superando così le motivazioni che sottendono le due pronunce di merito qui in esame.
Si deve tuttavia considerare che, sempre in relazione alla linea argomentativa recepita dalla Cassazione, alla pronuncia di nullità del licenziamento non pare si possa pervenire qualora il Datore di Lavoro non sia stato posto a conoscenza – in data antecedente l’intimazione del licenziamento stesso e per iniziativa del lavoratore – della specifica condizione di disabilità dello stesso, delle cause della medesima e delle giornate di assenza riconducibili alla condizione suddetta: così da poterle escludere, secondo criteri di oggettiva ragionevolezza, dal calcolo del periodo di comporto previsto dalla contrattazione collettiva di settore.

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