10 Luglio 2023

L’inchiesta sulla gestione della pandemia: facciamo chiarezza sui profili penali

LUIGI PARENTI

Immagine dell'articolo: <span>L’inchiesta sulla gestione della pandemia: facciamo chiarezza sui profili penali</span>

Abstract

Il tema spinoso relativo alla gestione della pandemia suscita certamente tantissimi interrogativi e sono varie le strade mediante le quali si cerca di darvi risposta.

Esemplare, in tal senso, la maxi-inchiesta svolta dalla Procura di Bergamo nei confronti di diversi esponenti politici e funzionari che hanno a vario titolo contribuito nella gestione delle prime fasi dell’epidemia da Covid-19.

È bene chiarire un punto fondamentale che appare forse scontato ad occhi esterni: lo svolgimento di indagini di questo tipo deve sempre confrontarsi con tutti i limiti e le garanzie previsti dall’ordinamento, tra i quali assumono una rilevanza certamente essenziale quelli che assistono l’accertamento della responsabilità penale.

Garanzie che, apparentemente, sembrano vacillare nell’era del processo mediatico ed in presenza di ferite troppo profonde e ancora aperte lasciate dalla pandemia.

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La c.d. “Inchiesta di Bergamo”

Si sono concluse di recente le indagini preliminari svolte dalla Procura di Bergamo per la gestione dell’epidemia da Covid-19 durante la prima ondata, relativa dunque all’anno 2020.

Un’inchiesta caratterizzata da diversi atti d’indagine, a titolo di esempio sequestri e interrogatori, volta a ricostruire le azioni e decisioni di tutti coloro che sono intervenuti o avevano comunque la possibilità di agire per limitare i contagi ed evitare i molti decessi che si sono poi effettivamente verificati.

In particolare, si è trattato di un’inchiesta giudiziaria svolta nei confronti di diciannove ministri e funzionari di alto profilo, indagati per reati che vanno dal rifiuto di atti d’ufficio ad altri molto più gravi, quali l’omicidio colposo e l’epidemia colposa aggravata, la quale punisce «chiunque cagiona un’epidemia mediante la diffusione di germi patogeni».

Ebbene, dopo ben tre anni, questa maxi-inchiesta sembra giungere ad un punto di svolta: la Procura lombarda ha infatti emesso l’avviso di conclusione delle indagini preliminari per diciassette indagati e, altresì, la richiesta di archiviazione, per incompetenza, nei confronti dei restanti due, l’ex premier Giuseppe Conte e l’ex Ministro della Sanità Roberto Speranza, le cui posizioni dovranno essere valutate dal tribunale dei ministri.

 

Gli aspetti garantistici del diritto penale: tra giustizia punitiva e giustizia riparativa

Alla luce di quanto rappresentato, si rendono necessarie alcune brevi considerazioni.

In primo luogo, con o senza inchieste è indubbio che l’emergenza sanitaria abbia provocato decina di migliaia di decessi, che richiedono una inevitabile ricostruzione dei fatti e un conseguente accertamento di eventuali responsabilità penali di tutti coloro che hanno partecipato alla gestione della stessa.

Altrettanto comprensibile è come, di fronte alle profonde ferite lasciate dalla pandemia - molte delle quali ancora aperte - sia forte la pretesa di una qualche forma di giustizia.

Tuttavia, è necessario chiarire che le aspettative di giustizia dei familiari delle vittime non possono condizionare il ruolo della magistratura e del procedimento penale che è, ed è bene ricordarlo sempre, esclusivamente un luogo di accertamento dei fatti e della responsabilità penale.

Sarebbe impensabile, nonché illegittimo, considerare il procedimento penale alla stregua di una “caccia” ai colpevoli, nel tentativo disperato di assecondare le aspettative di giustizia ed il clamore mediatico che ne deriva.

È di tutta evidenza, infatti, l’incostituzionalità di un accertamento influenzato dall’opinione pubblica, che fin troppo spesso considera gli indagati come già colpevoli, in spregio della garanzia cardine del procedimento penale: la presunzione di innocenza ai sensi dell’art. 27, comma 2, Cost.

In secondo luogo, è opportuno effettuare un’ulteriore valutazione: non si può nascondere come un procedimento di questo tipo assuma una potenzialità riparatoria - più che punitiva - delle sofferenze delle vittime del coronavirus, nella logica della giustizia riparativa introdotta dalla Riforma Cartabia (art. 129-bis c.p.p.).

Si assisterebbe, in tal senso, ad una forma di giustizia completamente nuova che, oltre a far sì che il processo sia finalizzato ad assolvere al suo ruolo naturale, quale la ricostruzione dei fatti e di eventuali responsabilità penali, consente altresì il ristoro delle persone offese e dei loro familiari.

 

L’accertamento del nesso causale omissivo e la “ragionevole previsione di condanna”

Sembrano essere contestate dagli inquirenti condotte prevalentemente di natura omissiva: in particolare, con riferimento alla posizione degli ex ministri, la mancata istituzione di una zona rossa volta ad isolare determinati comuni lombardi e l’omessa adozione di un piano pandemico.

Le indagini, dunque, sono state volte all’accertamento di eventuali responsabilità penali di tutti coloro che, a vario titolo, avevano la possibilità di evitare le decine di migliaia di decessi mediante l’applicazione di determinate misure di sicurezza, che invece sono state omesse.

In realtà, è azzardato e pericoloso affermare che l’adozione di un piano pandemico – peraltro non aggiornato dal 2006avrebbe sicuramente evitato gli innumerevoli decessi causati dalla pandemia.

Si tenga presente, infatti, che il diritto penale richiede un nesso di causalità tra la condotta incriminata e l’evento con un grado di probabilità, statistica o quantomeno logica, almeno prossimo alla certezza.

Pertanto, nella vicenda in questione l’accertamento della causalità impone l’alta probabilità che la condotta doverosa omessa – l’adozione di un piano pandemico – se compiuta, sarebbe stata in grado di evitare l’evento dannoso, cioè i contagi forieri dei tanti decessi.

A questo punto viene in rilievo l’orientamento condiviso dall’intera comunità scientifica, fermo nel ritenere il piano pandemico totalmente inefficace per combattere il coronavirus. Sulla scorta di ciò, allora, è opportuno interrogarsi se gli elementi acquisiti durante le indagini effettivamente consentano o meno di formulare quella “ragionevole previsione di condanna” richiesta dal D. Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (Riforma Cartabia) ai fini del rinvio a giudizio degli indagati.

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