29 Marzo 2022

L’ultraefficacia della sentenza di patteggiamento nel processo tributario

ATTILIO MARTINIELLO

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Abstract

La sentenza in commento (Comm. Trib. Reg. per l’Emilia Romagna, n. 1529/12 del 15/12/2021) affronta l'annosa questione dell’efficacia della sentenza di patteggiamento nell’ambito del processo tributario.

Un pronuncia che, prima facie, sembrerebbe capace di offrire risposte ma che, a ben vedere, ci recapita solo ulteriori interrogativi, dando per incontroverse questioni tutt'ora aperte.

In particolare, nel rigettare l’appello proposto dal contribuente e nel confermare l’esito del giudizio di primo grado a favore dell’Agenzia delle Entrate, il giudice tributario afferma che ai fini fiscali, la sentenza penale di patteggiamento per bancarotta preferenziale costituisce prova dei fatti in essa accertati. È legittimo, di conseguenza, il recupero a tassazione di maggiore Irpef per redditi diversi nei confronti dell’appellante, dovendosi considerare “redditi diversi” i proventi illeciti delle operazioni di bancarotta.

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Il perimetro applicativo tracciato dal codice di procedura penale

Per verificare la correttezza del ragionamento seguito dalla Commissione Tributaria Regionale, non può prescindersi da una sintetica disamina del dato normativo restituito dal codice di procedura penale, in particolare da quello disposto, in combinato, dagli articoli 445 e 653 cpp.

Le disposizioni contenute nel primo, in linea con la scelta operata dal legislatore di circoscrivere in maniera puntuale l’efficacia delle pronunce nei diversi procedimenti al fine di garantire il “premio” conseguente alla rinuncia dell'imputato al processo, esclude espressamente che la sentenza applicativa della pena su richiesta delle parti possa avere efficacia nei giudizi civili o amministrativi.

La regola è circoscritta, immediatamente dopo, dalla previsione racchiusa nella seconda norma sotto esame, l’art. 653 cpp.

Quest’ultimo, infatti, assicura l’efficacia extrapenale della sentenza di condanna, cui è equiparata la sentenza di patteggiamento, al solo giudizio disciplinare davanti alle pubbliche autorità.

Del resto, la necessità di limitare i casi in cui la sentenza di patteggiamento produce effetti oltre la sanzione penale, muove non solo, e non tanto, dalla necessità che il sistema processuale garantisca l'effetto premiale promesso al rinunciante al “dibattimento” – così da preservare lo Stato da ulteriori costi ed utilizzo di risorse – per quanto dalla particolare natura del pronunciamento.

L'accordo, infatti, prescinde dall’accertamento sulla responsabilità dell’imputato e, conseguentemente, non muove da un giudizio di colpevolezza, risolvendosi, a ben vedere, nella valutazione del giudice sulla congruità della pena, dopo averne verificato la legittimità rispetto alla fattispecie astratta.

 

L’interpretazione distorsiva della giurisprudenza “creativa”

Partendo, dunque, dall'indiscutibile natura giuridica della sentenza di patteggiamento, la statuizione del giudice tributario è assolutamente contraria al tessuto ordinamentale, laddove, all’evidente scopo – recessivo rispetto ai valori in gioco – di legittimare il recupero a tassazione da parte dell’Agenzia delle Entrate, attribuisce alla sentenza di applicazione della pena “la capacità” di rappresentare la prova di fatti in essa non contenuti, perché mai accertati.

Vi è di più. Al di là della “ultraefficacia” della sentenza di patteggiamento, appare discutibile anche il richiamo, operato dalla CTR, alle Sezioni Unite Civili.

Invero, con la pronuncia n. 17289 del 2006, il massimo Consesso, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di un provvedimento sanzionatorio del COA di Chieti che aveva inflitto all'avvocato la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale, statuiva la possibilità di utilizzare la sentenza penale emessa a seguito di patteggiamento nel (solo) procedimento disciplinare e comunque quale elemento di prova, da valorizzare in concorso, necessario, con altri: la sentenza penale emessa a seguito di patteggiamento ai sensi dell’art. 444 cpp – si è detto – costituisce un importante elemento di prova nel processo civile”.

 

Le prospettive de iure condendo: il ritorno al principio di legalità?

Non può che salutarsi con piacere, allora, l’approvazione della legge n. 134 del 27 settembre 2021, con la quale si è delegato il Governo alla cd. riforma del processo penale.

Con l’ambizioso proposito di assicurare all'Unione la possibilità di concludere i processi in tempi ragionevoli, il comma 10 dell’art. 1 scandisce principi e criteri direttivi per la riforma dei riti alternativi, finalizzati ad estenderne l’applicabilità, con lo scopo di renderli maggiormente “appetibili”, sì da deflazionare quello ordinario.

In particolare, in materia di applicazione della pena su richiesta, la lett. a) impone al Governo di “ridurre gli effetti  extra-penali   della   sentenza   di applicazione della pena su richiesta delle  parti, prevedendo anche che questa non abbia efficacia di giudicato nel giudizio disciplinare e in altri casi”.

È la dimostrazione dell'indiscutibile necessità della limitazione dell'efficacia extrapenale della sentenza di patteggiamento, per garantire, in via principale e paradossalmente, l'efficacia del dibattimento e, in via subordinata, le finalità che l'Europa ci impone.

Il ritorno del principio di legalità non è più l'araba fenice, almeno sotto questo versante.

 

Il presente contributo è stato redatto con la collaborazione dell' Avv. Gerardo Di Martino responsabile scientifico e partner dello studio. 

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