07 Maggio 2019

La nuova sfida della Court of Arbitration for Art

MIRIAM LORO PIANA

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Abstract

La Court of Arbitration for Art (CAfA), con sede all’Aja (Olanda), ha ufficialmente aperto i battenti lo scorso 7 giugno 2018. L’obiettivo dichiarato è quello di plasmare uno strumento di ADR già noto, come l’arbitrato, in maniera tale da renderlo più efficace e adatto a risolvere le controversie attinenti al mondo dell’arte. Questo intento si è tradotto, in particolare, nella volontà di imporre alti standard in termini di preparazione e competenza dei professionisti coinvolti, a vario titolo, nella procedura.

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Alcuni interessanti precedenti

Anche se non rappresenta il primo tentativo di utilizzare uno strumento di ADR per risolvere controversie legate al mondo dell’arte, il  CAfA sembra essere il primo ente a volersi focalizzare, in particolare, sullo strumento dell’arbitrato – piuttosto che su altri metodi di ADR come mediazione e conciliazione. La combinazione “arte + ADR” è già stata sperimentata con successo, per esempio, (i) nell’ambito della partnership tra WIPO (World Intellectual Property Organization) e ICOM (International Council of Museums), che hanno creato assieme un sistema di mediazione no profit attinente alle questioni legate al mondo dell’arte, e (ii) il servizio di mediazione e conciliazione messo a disposizione dall’UNESCO ai suoi Stati membri, attraverso il Comitato Intergovernativo per la Promozione della Restituzione dei Beni Culturali (Intergovernmental Committee for Promoting the Return of Cultural Property, in breve ICPRCP).

Per quanto riguarda l’Italia, meritano di essere menzionati “ADR Art”, dipartimento della Camera Arbitrale di Milano (attivo dal 2015), che gestisce potenziali controversie attinenti al mondo dell’arte applicando lo strumento della mediazione, nonché la Sezione speciale, istituita nel giugno 2018, presso la Camera Arbitrale di Venezia, dedicata alla risoluzione di contese legate al mondo dell’arte attraverso l’arbitrato.

Il CAfA e le sue Rules

Il CAfA è il risultato della cooperazione tra il NAI (Netherlands Arbitration Institute - Camera Arbitrale Olandese) e l’associazione no profit, sempre con sede in Olanda, Authentication in Art (AiA). Non sorprende, quindi, che le regole dell’ente siano nate dall’integrazione e/o sostituzione delle disposizioni della Camera Arbitrale Olandese (NAI Arbitration Rules) attraverso l’adozione di un set di regole complementari a quest’ultime, ovvero le c.d. Adjunct Arbitration Rules. Il 1° gennaio 2019 sono, poi, entrate in vigore le CAfA Arbitration Rules, ovvero la versione consolidata delle NAI Arbitration Rules e Adjunct Arbitration Rules.

Le disposizioni richiamate appaiono strutturate proprio per soddisfare le esigenze delle dispute legate al mondo dell’arte anche se, - in alcuni casi – l’effettivo beneficio  di queste modifiche potrà essere valutato solo una volta che il CAfA entrerà effettivamente in attività.  

Gli elementi peculiari delle CAfA Arbitration Rules

La previsione più coerente che è stata introdotta sembra essere la possibilità per l’AiA di pubblicare le decisioni arbitrali assunte dal CAfA, rivelando il nome/identità del bene oggetto della controversia, salvo che una parte richieda espressamente di mantenere tale informazione riservata (Art. 51). La disposizione dimostra di prendere in considerazione un’esigenza peculiare del mondo dell’arte, ovvero quella di “far circolare la voce” a proposito delle vicende che interessano le opere d’arte, tra le persone (ed i mercati) che contano. La regola si discosta, in maniera evidente, dal principio di confidenzialità, caposaldo dell’arbitrato “tradizionale”.

Come anticipato, la professionalità dei soggetti coinvolti nel procedimento è tenuta in estrema considerazione, tant’è che l’Art. 11.6 impone che, salvo specifiche e comprovate esigenze, gli arbitri debbano essere scelti tra i soggetti elencati nel c.d. “Arbitrator Pool”, ovvero una lista di professionisti pre-selezionata dallo stesso CAfA, che ne certifica la competenza, qualità e livello di preparazione.

Non è un caso, quindi, che nell’elenco possano rientrare solamente “(formerly) admitted private practice lawyers, judges, law professors” che vantino un’esperienza di almeno 5 anni in uno dei vari settori che interessano il mondo dell’arte (le specifiche aree di practice sono elencate, a titolo non esaustivo, sul sito ufficiale del CAfA, www.cafa.world/arbitration/arbitrators/).

È certamente singolare la decisione di rendere pubblico e liberamente accessibile tale elenco di nominativi sul sito web dell’istituzione. La scelta, decisamente controcorrente, può essere interpretata come l’intenzione di garantire massima trasparenza e affidabilità all’istituto, ai professionisti coinvolti e, quindi, al processo decisionale che porta alla determinazione finale a cui le parti dovranno attenersi.

La sfida che il CAfA si propone di affrontare, ovvero individuare professionisti trasversali – le cui competenze siano ben radicate sia nel mondo del diritto dell’arte che di quello dell’arbitrato - non appare certo facile.

Ed è proprio perché il numero di professionisti dotati di queste qualità non è infinito che il rischio che si pone è quello di dover attingere da una lista in qualche misura troppo esigua di soggetti, la cui imparzialità e credibilità potrebbe, quindi, essere più facilmente messa in discussione all’interno del ristretto numero di player che potrebbero avere interesse a servirsi di questo strumento.

Un elevato livello di preparazione non viene richiesto solamente agli arbitri, ma anche ai tecnici che, a vario titolo, collaborano con il tribunale arbitrale.

Una figura nuova e caratteristica di questa istituzione è sicuramente il c.d. “Technical Process Advisor” – infra “TPA” (Art. 29).

Dal momento che il TPA può essere scelto, anch’esso, da una lista di esperti, c.d. Expert Pool stilato dall’AiA, possiamo immaginare che questo professionista debba avere delle forti competenze tecniche, piuttosto che legali. Tuttavia, dal momento che il suo compito potrebbe consistere anche nel fornire consulenza al tribunale arbitrale “with respect to the pre-hearing evidence gathering and evidence exchange process”, è corretto supporre che quest’ultimo debba affrontare il suo compito  con un piglio legal-oriented.

L’Explanatory Note n. 8 alle Adjunct Arbitration Rules (che costituiscono tutt’oggi parte integrante delle CAfA Arbitration Rules) specifica, ulteriormente, che il TPA consiste in un “advisor con il compito di assistere il tribunale rispetto a “evidentiary matters of a highly complex or technical nature, such as those concerning an evidence of an object’s authenticity. The advisor can help facilitate identifying and the gathering of relevant evidence in an efficient and cost-effective manner. The advisor acts under the authority and direction of the arbitral tribunal, but may, if requested, draft proposed procedural orders for adoption by the arbitral tribunal. The precise role in any given case will depend upon the needs and desires of the tribunal and nature of the issues involved.” Sicché tale soggetto non deve essere confuso con una figura assimilabile ad un consulente tecnico d’ufficio.

Le ragioni in base alle quali questa nuova figura è stata introdotta non sono chiare. Tuttavia, un’iniziativa che miri a facilitare il dialogo tra gli arbitri e gli altri soggetti coinvolti nel giudizio, soprattutto rispetto a questioni di livello tecnico molto complesso, non può che essere accolta con favore.

Altre disposizioni interessanti, anche se non strettamente legate al fatto che il CAfA si occupa di questioni legate all’arte, sono quelle che hanno introdotto, rispettivamente, i criteri per:

  1. la scelta della legge sostanziale, nel caso le parti non l’abbiano indicata (Art. 42) e
  2. l’individuazione del numero di arbitri sulla base del valore monetario della causa (Art. 12). 

Infine, un punto debole. L’Art. 28 afferma che “On issues of forensic science or the provenance of an art object, the only admissible expert evidence shall be from an expert or experts appointed by the arbitral tribunal”. Nel caso in cui l’oggetto dell’indagine fosse diverso, quindi, la nomina di un consulente tecnico di parte sarebbe più che beneaccetta. Le ragioni per cui vi sia una differenza di questo tipo non sono del tutto chiare da intendere. Se le preoccupazioni riguardano l’imparzialità del processo decisionale, in base al quale il tribunale arbitrale dovrebbe decidere, lo stesso identico ragionamento dovrebbe essere applicato a tutti i mezzi di prova che provenissero dalle parti, che potrebbero potenzialmente avere un impatto sulla decisione degli arbitri, senza dare rilevanza al motivo per cui l’indagine viene svolta.

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