10 Ottobre 2019

I nuovi “ecoreati” ed il rapporto con le “vecchie” contravvenzioni del testo unico ambiente

MATTEO MANGIA

Immagine dell'articolo: <span>I nuovi “ecoreati” ed il rapporto con le “vecchie” contravvenzioni del testo unico ambiente </span>

Abstract

Il presente contributo esamina il dibattito sorto in dottrina circa le interferenze tra le fattispecie a presidio dell’ambiente introdotte nel 2015 e le contravvenzioni, anch’esse a tutela dell’ecosistema, presenti nel Testo Unico Ambiente.

***

La legge n. 68/15 ha inaugurato una nuova stagione dei cc.dd. “ecoreati”, introducendo una serie di fattispecie[1] con l’eloquente ambizione di dare nuovo vigore alla tutela del “bene ambiente” latu senso inteso e tentando così di reagire ai diversi casi di rilevanza mediatica che, secondo alcuni critici, avevano mostrato “l’inadeguatezza dell’ordinamento di fronte ai più gravi insulti all’ambiente[2]. Senza addentrarci nella disamina di tali fattispecie, conviene soffermarsi brevemente sul rapporto tra le norme di nuova introduzione e le contravvenzioni di cui al d.lgs. n. 152/2006 (in particolare a quelle di cui agli artt. 137, 256, 279 del d.lgs. 152/2006, d’ora in avanti “TUA”).

Sebbene più fiorente nel delineare le differenze tra le figure di nuova introduzione e le norme a presidio dell’ambiente già presenti nel codice penale, parte della dottrina ha volto lo sguardo all’interessante tema poc’anzi anticipato delle possibili intersezioni con le vecchie fattispecie contravvenzionali del TUA.

Da un lato, si è rilevato che la struttura delle fattispecie determinerebbe l’assorbimento delle contravvenzioni nelle più gravi fattispecie delittuose, poiché “la natura di delitto di danno [dei reati in esame] giustific[herebbe] la consunzione del pericolo astratto, elemento strutturale delle contravvenzioni in oggetto[3].

In quest’ottica infatti, vi sarebbe assorbimento quando il disvalore sociale del fatto concreto appaia già compreso nella norma che prevede il reato più grave, sicché l’ordinamento, ancorché non positivizzando tale regola, imporrebbe di “scegliere quella sola fra le norme che esaurisca il significato antigiuridico del fatto, e quindi, la norma che preveda il trattamento sanzionatorio più severo [4].

Altri autori ritengono assorbite nelle più gravi fattispecie di “inquinamento” e “disastro” “le violazioni di norme penali o amministrative poste a specifica tutela dell’ambiente”, riconoscendo invece un concorso formale tra i nuovi “ecoreati” e le “violazioni di norme che, ancorché indirettamente rilevanti ai fini della protezione dell’ambiente, [siano] poste in prima battuta a tutela di beni giuridici diversi”[5].

Tale impostazione viene in parte contestata dalla dottrina più garantista, secondo cui, in ogni caso “l’inquadramento di tali fattispecie contravvenzionali alla stregua di reati-ostacolo dei più gravi delitti a dimensione sostanziale, quindi come avamposto del paradigma di tutela introdotto nel codice penale” comporterà l’assorbimento dei primi nei secondi.[6]

L’unica pronuncia che pare rinvenirsi sul punto[7] - ancorché non esprimendosi nello specifico sulla sussistenza o meno del concorso formale - ha poi affermato come il reato di inquinamento ambientalepresenti una differente e maggiore latitudine applicativa[8] rispetto alla contravvenzione di deposito incontrollato di rifiuti tale da “escludere la sovrapponibilità delle due figure criminose”.

Dunque, sebbene non vi siano pronunce sul punto in grado di dirimere la vicenda e malgrado la Suprema Corte  appaia perlopiù restìa nel riconoscere il concorso apparente di norme fuori dai casi espressamente previsti dall’art. 15 c.p., non si può non evidenziare come siano gli stessi Giudici di Legittimità ad affermare che “di recente [è] stata avvertita l’esigenza di porre in discussione tali consolidati principi sulla base della rinnovata attenzione, convenzionale e costituzionale, al divieto di bis in idem sostanziale” [9].

Invero, anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo[10] nel valutare la “medesimezza del fatto” al fine di scongiurare la doppia punizione dell’agente, ha più volte valorizzato il profilo della manifestazione naturalistica del fatto stesso, avulso da qualsiasi considerazione di carattere meramente giuridico (l’idem factum, contrapposto all’idem legale).

Pertanto, parrebbe ragionevole (nonché auspicabile) un revirement della Giurisprudenza interna che valutando l’identità del fatto a prescindere da categorizzazioni giuridiche apra un concreto spiraglio ai principi dell’assorbimento/consunzione, al fine di garantire il rispetto del divieto di doppio giudizio, nonché dei principi di ragionevolezza e proporzione tra disvalore del fatto e pena.

 

 

Altri Talks