14 Agosto 2020

Il patto di non concorrenza nel contratto di agenzia: opzione ed effetti obbligatori

NILIA AVERSA

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Abstract

Il patto di non concorrenza post contrattuale (artt. 2125 c.c.).  è uno degli istituti più noti e discussi nella disciplina del contratto di agenzia.  

È definito “post contrattuale” in quanto i suoi effetti decorrono dalla cessazione del rapporto di agenzia sino ad un termine massimo, oggetto di pattuizione, che, tuttavia, non può eccedere il termine di due anni dal momento della dichiarata cessazione del rapporto.

Seppure poco al centro del dibattito giurisprudenziale recente, le più importanti tematiche connesse al patto di non concorrenza post contrattuale, ed oggetto del presente contributo, sono da individuarsi nell’opzione esercitata dal Preponente (casa mandante) e nella natura dell’efficacia del vincolo.

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L’opzione nel patto di non concorrenza

Accade sovente, che nell’ambito di un patto di non concorrenza post contrattuale, la casa mandante si riservi di opzionare la facoltà di attivare il patto di non concorrenza alla cessazione del rapporto, previa comunicazione da formularsi per iscritto all’agente di commercio.

In tali ipotesi la giurisprudenza ha ritenuto nulli i patti in cui la casa mandante si fosse riservata non solo il diritto di esercitare l’opzione per l’attivazione di un patto di non concorrenza – con obbligo quindi di corrispondere la relativa indennità - ma anche la facoltà indiscriminata di recedere da tale patto: con la conseguenza di creare una situazione ove l’agente si trova a dover subire non solo la compressione della possibilità di esercitare aliunde altra attività, ma anche di subire il recesso del datore/preponente nel corso della vigenza del patto e, quindi, di perdere il diritto all’indennità.

È invece valida la clausola con cui l’agente conceda al preponente l’opzione irrevocabile al patto di non concorrenza, con la conseguenza che – in una simile fattispecie – il patto potrà perfezionarsi solo nel caso in cui il datore di lavoro eserciti l’opzione.

Coerentemente a tale assunto si è espressa recentemente la S.C.:

“l’opzione determina la nascita di un diritto a favore dell’opzionario che conclude automaticamente il contratto, soltanto nel caso in cui venga esercitato [...]. Lo schema di perfezionamento non è quello della proposta-accettazione, ma quello del contratto preparatorio di opzione, seguito dall’esercizio del suddetto diritto, mediante una dichiarazione unilaterale recettizia entro un termine fissato nel contratto stesso o, in mancanza, dal giudice. E, dunque, scaduto tale termine, l’opzione viene meno, trattandosi di un termine di efficacia di un contratto e non di irrevocabilità della proposta” [1].

Sul punto, ancora più recentemente il Tribunale di Ancona, con ordinanza del 7 agosto 2019 all’esito di una controversia per concorrenza sleale in cui l’azienda Cliente patrocinata dallo Studio APPLegal risultava vittoriosa, ha ricordato che:

[..] non è ravvisabile la nullità dell’opzione accedente al patto di non concorrenza eccepita da [omissis] sull’assunto che la stessa integrerebbe una condizione sospensiva meramente potestativa. Nessuna opzione o condizione sospensiva è, anzitutto, ravvisabile nel contratto stipulato da [omissis], atteso che l’art. 17 vincolava senz’altro detto agente al patto di non concorrenza, immediatamente operante a seguito della risoluzione del rapporto e per sei mesi. [..] la clausola all’uopo inserita nei mandati di agenzia sottoscritti da [omissis] (sub art. 11) non realizza nessuna delle violazioni degli artt. 1331 e 2125 c.c. esaminati dalla giurisprudenza di legittimità invocata da controparte. In particolare, non può ritenersi disatteso l’art. 1331 c.c. dal momento che la clausola non prevede l’immediata operatività del divieto di concorrenza fin dall’inizio del rapporto e salva diversa manifestazione di volontà del datore di lavoro ma subordina l’operatività del patto a tale manifestazione di volontà, con la conseguenza che, in difetto di tale dichiarazione, l’agente deve ritenersi libero di espletare la propria attività per conto di terzi (Cass. sez. lav. 13.06.2003, n. 9491; Cass. sez. lav. 12.06.2014, n. 13352; Cass. sez. lav. 04.04.2017, n. 8715; Cass. sez. lav. 02.01.2018, n. 3). Né si ravvisa violazione dell’art. 2125 c.c. atteso che, non trattandosi di patto destinato ad operare in costanza di rapporto ma solo a fronte dello scioglimento dello stesso e per sei mesi, risultano determinati i limiti di oggetto, tempo e luogo di operatività del vincolo (Cass. sez. lav. 16.08.2004, n. 15952). In altri termini, trattasi di vera e propria opzione e non di clausola di recedibilità ad nutum da un patto di non concorrenza immediatamente operante. Pertanto, non può ritenersi rimessa alla discrezionalità del datore di lavoro, né la durata del divieto di concorrenza, né il diritto al corrispettivo spettante all’agente, entrambi predeterminati e immodificabili (Cass. sez. lav. 08.01.2013, n. 212); […]”.

 

Efficacia obbligatoria e non reale del vincolo derivante dal patto di non concorrenza

Allorquando il patto di non concorrenza non venga indennizzato, l’agente non potrà comunque ritenersi “libero” dalle obbligazioni oggetto del patto di non concorrenza (pretesa efficacia reale), potendo al più vantare il pagamento del suddetto indennizzo[2] (efficacia obbligatoria).

Si tratta della c.d. “efficacia obbligatoria” del patto di non concorrenza.

Non è infatti sostenibile ex artt. 1175 e 1375 c.c. ed ovviamente ex art. 1460, comma 2, c.c. che un qualsiasi inadempimento della parte contrattuale giustifichi e legittimi il rifiuto in blocco di ogni prestazione della controparte, con sostanziale liberazione dal vincolo contrattuale.

Il principio è ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 8.11.2016, n. 22626) secondo cui: “il giudice ove venga proposta dalla parte l’eccezione inadimplenti non est adimplendum deve procedere ad una valutazione comparativa degli opposti inadempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse, per cui, qualora rilevi che l’inadempimento della parte nei cui confronti è opposta l’eccezione non è grave ovvero ha scarsa importanza, in relazione all’interesse dell’altra parte a norma dell’art. 1455 c.c. deve ritenersi che il rifiuto di quest’ultima di adempiere la propria obbligazione non sia di buona fede e quindi non sia giustificato ai sensi dell’art. 1460, comma 2 c.c.”.

Se è dunque vero che il giudizio di equilibrio tra gli inadempimenti va condotto attraverso una “valutazione comparativa degli opposti inadempimenti avuto riguardo anche alla loro proporzionalità rispetto alla funzione economico-sociale del contratto e alla loro rispettiva incidenza sull’equilibrio sinallagmatico, sulle posizioni delle parti e sugli interessi delle stesse”, non può che concordarsi con la ricostruzione operata S.C. per cui le eccezioni degli agenti non potrebbero comunque paralizzare la pretesa della Preponente e ciò a fronte:

  1. della evidente disomogeneità tra l’obbligazione inadempiuta e quella rifiutata: una di “pagare” (a carico della Preponente) e l’altra “di non fare” (a carico degli agenti);
  2. della mancanza di necessaria “contemporaneità” tra le prestazioni relative alle obbligazioni rispettivamente assunte dalle Parti: una, quella della Preponente, dovuta alla cessazione del contratto, l’altra, quella dell’agente dovuta per tutto il periodo corrispondente alla durata del vincolo di non concorrenza post-contrattuale;

Inoltre, va considerata l’imprevedibilità delle conseguenze dell’inadempimento del patto di non concorrenza, suscettibile di arrecare pregiudizi di diversa specie (patrimoniale, con aspetti di lucro cessante, all’immagine, con risvolti legati ad esempio alla possibile rivelazione di dati aziendali) ed ammontare (di fatto non esattamente preventivabile) a fronte dell’assai più circoscritto carattere delle conseguenze dell’inadempimento della preponente.

 

 

 

 

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