29 Gennaio 2019

Uso agronomico dei fanghi di depurazione delle acque reflue urbane: un fil rouge tra vecchi e nuovi problemi interpretativi

BARBARA STEFANELLI

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Abstract

Il 19 novembre 2018 è stata approvata la legge n. 130/2018 di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 28 settembre 2018 n. 109 (cd. “decreto Genova”), il cui articolo 41 interviene sulla disciplina della gestione dei fanghi di depurazione delle acque reflue urbane e miste al fine di risolvere l’impasse generata in materia da talune pronunce giurisdizionali.

Detta norma pone questioni interpretative non solo di carattere tecnico ma, altresì, di carattere giuridico.

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Questione

Come noto l’utilizzo agronomico dei fanghi di depurazione delle acque reflue urbane e miste trova disciplina a livello nazionale nel d.lgs. n. 99/1992, laddove il recupero avviene mediante spandimento sul terreno, nonché nel d.lgs. n. 75/2010, laddove il recupero avviene mediante produzione di ammendante compostato misto con fanghi. Tali normative impongono il rispetto di talune condizioni affinché sia consentito il recupero agronomico dei predetti fanghi e tra questi, per quanto ora rileva, è imposto il rispetto di valori limite di concentrazione riferiti a taluni metalli pesanti (cadmio, mercurio, nichel, piombo, rame e zinco).

Orbene parte della giurisprudenza, dal confronto con la disciplina dettata dal d.lgs. n. 152/06 e ss. mod. e, precisamente, dalla Tabella 1, Col. A, Allegato V, Parte IV in materia di bonifica dei siti inquinati comprensiva di un elenco più nutrito di parametri normativamente, ha ritenuto la disciplina di settore «lacunosa». Il riferimento è, da ultimo, alle pronunce della suprema Corte n. 27959/2017 e del Tar Lombardia n. 1782/2018. Su tale presupposto è stata ritenuta necessitata l'integrazione della disciplina dettata dal d.lgs. n. 99/1992 e del d.lgs. n. 75/2010, con quella prevista in tema di bonifica di cui alla tabella 1, allegato V, parte IV del D.Lgs. n. 152/06. La questione si è posta principalmente con riguardo al parametro idrocarburi totali (C10-C40).

Cosa significa in concreto? Sostenere tale tesi significa ritenere illecito il recupero agronomico dei fanghi in argomento laddove non rispettosi dei valori stabiliti dalla Tabella 1, Col. A, Allegato V, Parte IV del d.lgs. n. 152/06 per i suoli contaminati. Così confondendo la matrice suolo con le sostanze da applicarvi. Dal punto di vista amministrativo tale tesi si traduce, altresì, nel ritenere illegittima la normativa regionale, ancorché adottata in conformità all’art. 6 del d.lgs. n. 99/1992, laddove introduttiva di limiti di concentrazione superiori, e quindi in deroga, rispetto a quelli previsti dalla tabella 1, allegato V, parte IV del D.lgs. n. 152/06.

Ciò ha determinato un clima di incertezza tra gli operatori del sistema ovvero in particolare, ma non solo, tra soggetti recuperatori e gestori degli impianti di depurazione.

Quadro normativo vigente

L’art. 41 della L. n. 130/2018 di conversione del decreto Genova n. 109/2018, pertanto, interviene su tale contesto interpretativo di fatto superandolo. I fanghi, come definiti dall’art. 2 del d.lgs. n. 99/1992, dovranno pertanto rispettare i limiti dell’Allegato IB del predetto decreto ad eccezione degli specifici parametri introdotti dalla L. n. 130/2018:

Nodi interpretativi

Non vi è dubbio che la norma introdotta con il decreto Genova e approvata con modifiche dalla L. n. 130/2018 abbia il pregio di aver chiarito il contesto normativo di riferimento unicamente rilevante – quello dettato dal d.lgs. n. 99/1992 – alla materia in argomento arrestando il proliferare di correnti interpretative dissonanti.

Altrettanto evidenti, come anticipato, i limiti della normativa, in parte derivanti dalla logica emergenziale che l’ha ispirata ma pur sempre coerenti con la volontà del Legislatore di intervenire medio tempore in attesa di una revisione organica della disciplina di settore.

Dal punto di vista tecnico, perplessità pare destare il riferimento, anche nel testo definitivo dell’art. 41 L. n. 130/2018, al parametro «idrocarburi totali» (C10-C40) per il quale il Legislatore fissa un limite di ≤1.000 (mg/kg tal quale) –ovvero un criterio di natura quantitativa - salvo poi prevedere, in caso di superamento, il criterio della ricerca dei markers di cancerogenicità per determinare la pericolosità del rifiuto/sostanza - ovvero un criterio di natura qualitativa.

Il concetto di «idrocarburi totali» (C10-C40) tuttavia è un parametro aspecifico e generico che, ove oggetto di misura quantitativa, non necessariamente è in grado di restituire un risultato affidabile circa la effettiva pericolosità del rifiuto analizzato. Infatti, il concetto è tale da ricomprendere potenzialmente non solo frazioni di natura fossile/minerale ma anche quelle di origine biologica. E qui parrebbe risiedere la criticità.

Poiché non sarebbero le frazioni biologiche degli idrocarburi a rendere il rifiuto/la sostanza pericolosa bensì le eventuali frazioni minerali alle quali tale caratteristica può essere associata, non appare razionale misurare il parametro «idrocarburi totali» (C10-C40) nel suo complesso con un criterio quantitativo.

Tale criterio finirebbe con l’escludere l’idoneità al recupero agronomico di fanghi di depurazione delle acque reflue urbane e miste per loro natura caratterizzati da frazioni idrocarburiche biogeniche derivando da scarichi delle acque reflue urbane o miste.

Il secondo nodo è di natura tecnica ed é legato al richiamo, ancora una volta, della c.d. “Nota L” di cui all’all. VI Reg. (Ce) n. 1272/2008, richiamata nella Dec. n. 955/2014/Ue  quando, ai fini della ricerca dei markers di cancerogenicità, sarebbe stato esaustivo il richiamo al parere dell’Istituto superiore di sanità prot. n.36565 del 5 luglio 2006, e successive modificazioni e integrazioni.

Da ultimo, nodo di carattere giuridico di particolare interesse riguarda l’impatto della nuova normativa nei procedimenti penali in corso in relazione a contestazioni di reati consumati in epoca antecedente l’entrata in vigore della norma.

In attesa della elaborazione di una revisione organica della disciplina di settore si rimane, dunque, in attesa di analizzare le prime applicazioni giurisprudenziali della nuova norma al fine di conoscere quali saranno le risposte ai nodi interpretativi tuttora aperti.

 

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