28 Novembre 2019

Atto derivante da reato e illegittimità amministrativa: siamo nuovamente alla teoria pan-penalistica?

ALESSANDRO MAZZA

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Abstract

Con la sentenza n. 3583 del maggio 2019 il Consiglio di Stato torna ad affrontare il tema dei rapporti tra pronuncia penale di condanna ed atto amministrativo non impugnato, assistito quindi da presunzione di legittimità.

Il caso all’esame riguarda l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione di una gara d’appalto pubblico. L’annullamento è stato disposto distanza di tempo ben superiore a 18 mesi. Precisamente all’esito di un procedimento penale, il soggetto rappresentante del Consorzio aggiudicatario e il Consorzio medesimo, indagato ex D. Lgs. n. 231/2001, erano stati oggetto di archiviazione con provvedimento assunto nelle indagini preliminari, che per sua natura presuppone la carenza degli elementi persino per iniziare l’azione penale. Il pubblico dipendente della stazione appaltante, invece, era stato condannato “per turbativa d'asta in concorso con altri soggetti in relazione a diverse gare indette dall'amministrazione, ivi compresa la gara aggiudicata al Consorzio Italwork s.c.p.a.”.

Il Consiglio di Stato riconosce che dall’indagine penale “nessuna responsabilità è emersa quanto al destinatario (beneficiario degli effetti) e all’organo cui se ne deve l’adozione”. Tuttavia, ritiene che l’annullamento d’ufficio, pronunciato dall’Amministrazione appaltante sia legittimo.

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I precedenti giurisprudenziali

Sull’affermata non automaticità tra sentenza penale di condanna e annullamento dell’atto amministrativo, la sentenza si muove nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale (in particolare, Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 143 del 2015, e Sezione V, sent. n. 5366 del 2000); tuttavia, tale orientamento aveva rimarcato la dimensione “concreta” del vizio, in una con la necessità di individuare un “vizio sintomatico dell’eccesso di potere”, quale passaggio obbligato per poter autoannullare un atto, mediante valutazione da effettuare ex novo rispetto alle risultanze del processo penale.

 

La "novità" della pronuncia in commento

A mio sommesso avviso la pronuncia in commento, pur dichiarando formalmente “rifiutata una concezione pan-penalistica, per la quale all'accertamento del reato segue l'automatica illegittimità dell'atto amministrativo”, nella sostanza finisce per pervenire a risultati non molto diversi da quelli che deriverebbero dalla concezione pan-penalistica medesima.

In sintesi, secondo la sentenza, anche qualora non siano ravvisabili dalla vicenda penale concreti profili di illegittimità dell’atto amministrativo, il medesimo può essere annullato d’ufficio secondo una sorta di vademecum, che di seguito provo a riassumere:

- quanto al tempo, l’autoannullamento può intervenire anche a distanza di vari anni dalla data della sua adozione, perché il termine (entro 18 mesi o, comunque, come nel caso di specie, entro un termine “ragionevole”) decorre solo dall’acquisizione di nuovi elementi che, seppure astrattamente ipotizzabili all’epoca dell’aggiudicazione, emergano successivamente da una sentenza penale;

- quanto alla motivazione circa i profili di illegittimità dell’atto amministrativo da annullare, è sufficiente richiamare la lesione dei principi di “libera concorrenza”, “par condicio” e “correttezza delle procedure di gara”, quand’anche concretamente non si sia raggiunta la prova della loro effettiva violazione da parte del provvedimento annullato e anzi addirittura allorché il soggetto privato e il soggetto pubblico direttamente coinvolti siano risultati estranei a qualunque ipotesi di reato;

- quanto alla motivazione relativa alla comparazione tra l’esigenza di ripristino della legalità e gli altri interessi coinvolti (anche privati), basta che il provvedimento di autoannullamento richiami non meglio motivate “preminenti (…) ragioni di salvaguardia del pubblico interesse”.

Mi pare quindi di poter affermare che, stando a quanto statuito dalla sentenza in commento, la medesima sia mossa dalla seguente ratio: laddove certi reati siano stati commessi, l’ordinamento giuridico non può tollerare la sussistenza di un’aggiudicazione e del conseguente contratto rispetto ai quali possa esservi anche solo un dubbio, pur non meglio dimostrato, che siano stati influenzati da un’attività delittuosa. Ne consegue l’illegittimità dell’atto per la violazione dei principi destinati a regolare l’attività amministrativa, anche se i diretti protagonisti dell’atto (soggetto privato e soggetto pubblico) non abbiano compiuto alcuna specifica illegittimità.

A fronte della mera possibilità di compromissione di tali principi, dunque, la sentenza calibra le risposte ai motivi di ricorso: la motivazione circa i vizi dell’atto contenuta nell’atto di autoannullamento (“dalla suddetta sentenza emerge chiaramente che l'appalto in titolo è stato irrimediabilmente compromesso dall'attività fraudolenta posta in essere, così come delineata a pag. 30 della stessa, e pertanto, l'aggiudicazione conseguita è da ritenersi irrimediabilmente illegittima risultando palesemente violati sia il principio di libera concorrenza sia quello della par condicio e correttezza nelle procedure di gara, presupposti imprescindibili per l'affidamento di appalti di opere pubbliche”) viene ritenuta non già insufficiente e/o tautologica, come dedotto dal ricorrente, ma un modello di “efficace linguaggio di sintesi”; il fatto che il provvedimento di autoannullamento indichi come “preminenti” le “ragioni di salvaguardia del pubblico interesse” lungi dal costituire una mera tautologia costituisce secondo il Consiglio di Stato un “termine espressivo dell'avvenuta comparazione dell'interesse pubblico con quello del privato affidatario”.

Non conosco sufficientemente la vicenda portata all’esame del Supremo Collegio amministrativo per poter ulteriormente esprimere un avviso sufficientemente documentato. Allo stato, però, ipotizzo una possibile criticità, stando almeno al testo della sentenza in commento.

L’autoannullamento è stato adottato in presenza di una sentenza di primo grado (Tribunale di Velletri), che, da quando emerge dalla sentenza del Consiglio di Stato, non è dato comprendere se fosse passata o meno in giudicato: il fatto che non si faccia alcuna menzione di tale particolare fa pensare che non lo fosse o, comunque, che, su un piano astratto, si tratti di un aspetto trascurabile. Ciò a dispetto del fatto che la pagina 30 della sentenza di condanna penale (peraltro non nota al lettore della sentenza amministrativa, perché ivi non menzionata) sia stata addirittura richiamata nel provvedimento di annullamento a fondamento della motivazione dell’annullamento, a mo’ di motivazione per relationem.

Il ragionamento può reggere, a mio parere, se dagli atti del procedimento penale, a prescindere dalla condanna, emergano elementi tali da fare comunque ritenere alla Pubblica Amministrazione autoannullante che vi sia stata, a prescindere dall’esito del processo penale (condanna o assoluzione), una violazione dei principi di “libera concorrenza”, “par condicio e “correttezza nelle procedure di gara”. Si tratta dunque di effettuare una valutazione autonoma della fattispecie, diversa ed ulteriore rispetto a quella sulla sussistenza dei fatti di reato, effettuata in sede penale. Diversamente, se, cioè, la violazione di tali principi amministrativistici viene desunta dall’affermazione, contenuta in una sentenza penale di primo grado, che il fatto di reato sussiste, si corre il serio rischio che tale affermazione, per effetto di impugnazione della sentenza, non diventi definitiva e sia contraddetta in appello: in una siffatta ipotesi, anche il provvedimento di autoannullamento, la cui motivazione sia, come in questo caso, intimamente collegata alla motivazione della condanna penale, potrebbe correre il serio rischio di risultarne conseguentemente travolto. Sarebbe pertanto opportuno, in tali casi, attendere la definizione del giudizio penale.

 

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