31 Dicembre 2019

Cosa (non) ci si aspetta da uno studente di Giurisprudenza?

VINCENZO LO BUE

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Abstract

Oggi, la cosiddetta generazione Z si trova da poco ad affrontare il mondo del lavoro o è ancora chiusa nelle aule studio di Giurisprudenza impegnandosi per conseguire la laurea. È risaputo però che le vere sfide iniziano dopo, quando si scopre che le competenze acquisite non bastano e cinque o sei anni sono già trascorsi. Molti studenti si chiedono se basteranno dei buoni voti per trovare uno studio legale dove potere svolgere una prima esperienza. Purtroppo, allo stato attuale la risposta non può non essere negativa poiché la quasi totalità degli studi si aspettano soft skills, esperienze all’estero, la conoscenza di almeno una lingua straniera oltre all’inglese, a volte già uno o due anni di esperienza lavorativa[1]. Qui, gli occhi di uno studente si chiudono a numerose incongruenze e tra le più importanti rientrano sicuramente l’assenza di esperienza e soft skills. Obiettivo di questo articolo è analizzare le criticità principali e offrire una possibile soluzione.

 

 

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La cultura dell’internship

Obiettivo di questo articolo non è certo cadere nella discussione legata alla retribuzione o all’inclusione del praticante nelle dinamiche e strategie della law firm. Queste considerazioni presuppongono una circostanza ben precisa, ossia che effettivamente ci sia un neolaureato che svolge la pratica e abbia soddisfatto tutte le richieste dello studio. Ma facendo un passo indietro, è perlopiù doveroso capire come le richieste degli studi sopra esposte (quindi esperienze pregresse sul campo) possano essere soddisfatte. A parere dell’autore, una soluzione sarebbe quella di introdurre una vera “cultura dell’internship” come avviene in altri paesi europei.

Le potenzialità sono molteplici:

  • Avere un’esperienza lavorativa sin dai primi anni di studio. Banalmente, significa capire in fretta se questa è la strada giusta da seguire lavorando con un’energia che solo l’ingenuità a volte può dare. Tale ingenuità, infatti, viene meno  dopo la laurea dallo sforzo effettuato per ottenerla e ciò che ti spinge a lavorare alle condizioni solitamente offerte è la coerenza nei migliori dei casi.
  • Maggiore comprensione dei settori giuridici. Riuscire a svolgere qualche pratica (anche la più semplice) ed entrare in contatto con dei professionisti già dal secondo o terzo anno può sicuramente aiutare ad affrontare gli anni universitari con maggiore motivazione e consapevolezza del settore verso cui specializzarsi.
  • Garantire un sistema giusto. Nonostante la pluralità di accezioni che la parola “giusto” possa assumere, non si può dubitare sul fatto che numerosi compiti affidati al praticante neolaureato possano essere svolti da un giovane studente (a maggior ragione qualora venissero costruiti dei percorsi che permettono di affrontare sin dai primi anni materie fondamentali e utili oggi). Una differenza però tra le due figure permane: uno è già laureato mentre l’altro no. Svolgere questi compiti prima della conclusione del percorso universitario permetterebbe di eseguire mansioni più complesse dopo, arrivando ad esempio con una preparazione più completa e matura all’esame di abilitazione (le cui criticità non sono oggetto del presente articolo).

 

Esperienze, rispetto dei tempi ed eccellente media dei voti

In secondo luogo, sorgono addirittura maggiori perplessità nel momento in cui si richiedono competenze alternative al neolaureato. È ormai risaputo che le soft skills siano una componente fondamentale del bagaglio di ognuno, ma quando e come è possibile acquisirle? La risposta potrebbe essere ricercata nelle associazioni studentesche o nei corsi privati, ma anche nel caso in cui queste opportunità fossero nella materiale disponibilità di chiunque si presenta una sfida ancora più grande: il tempo.
Basta aprire un articolo qualsiasi sul tema che la frase più ricorrente (oltre alla buona media che rimane l’unico criterio logico) è “laureato in tempo”[2]. Dunque, per laurearsi in tempo nel sistema accademico vigente l’unica scelta da fare è studiare incessantemente, attività che si scontra con lo svolgimento di attività extra (tra cui esperienze all’estero o per sviluppare soft skills) necessarie al conseguimento di suddette abilità dal momento in cui spesso sono disorganizzate o non riconosciute. I più lungimiranti preferiscono laurearsi in ritardo con un Cv più ricco, i più diligenti preferiscono solamente studiare. In entrambi i casi, non si soddisfano pienamente le richieste degli studi.

 

Conclusione

A parere di chi scrive, è necessaria una ristrutturazione del sistema che si fondi su un meccanismo virtuoso basato su formazione aggiornata e ingresso rapido nel mondo del lavoro. Al giorno d’oggi, ci si aspetta sempre più competenze (di team, di flessibilità, informatiche ecc.)  dai neolaureati e molti studenti, dal canto loro, si impegnano forsennatamente dato che il voto di laurea non basta, ma è necessario che gli studi legali e le università guardino alla giovane risorsa coerentemente con il sistema da cui proviene. Ragione per cui, questo potenziale potrà essere sfruttato quando si creeranno condizioni adeguate alla crescita degli studenti stessi dettate da dinamismo (nella costruzione del percorso accademico), investimento (nelle esperienze lavorative durante gli anni universitari) e differenziazione (tra studente e neolaureato).

 

 

 

 

 

 

 

 [1]              Vedi ad esempio: Pagine a cura di FEDERICO UNNIA, L’ingresso nella professione passa sempre più attraverso selezioni mirate e atenei al top Praticanti, gli studi d’affari puntano tutto sui migliori, Studi & Carriere (7.lug.2014) http://www.blblex.it/public/media/files/news/Articolo%207%20luglio%2020…

[2]             Vedi ad esempio Sara Garzone, Conta più una laurea in tempo con una media bassa, o in ritardo ma con una media alta? Tutored (10.gen.2019) https://www.tutored.me/it/trasferirsi-in-una-nuova-citta/

 

 

 

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