03 Giugno 2020

L’evoluzione tecnologica nel processo italiano

LUIGIA SALVATO

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Abstract

Il presente contributo tende ad offrire un quadro generale sulla rivoluzione tecnologica che ha colpito, e continua a colpire, il processo italiano.

L’analisi si incentra, in primis, sulle intercettazioni, in particolare sul c.d. Trojan Horse. Successivamente, l’attenzione si sposta sull’intelligenza artificiale e sulle conseguenze che scaturiscono da un uso scorretto di questi due strumenti. 

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Le novità introdotte nel mondo giuridico

Il mondo giuridico è stato travolto, negli ultimi tempi, da una grande evoluzione tecnologica.

Si tratta di uno sviluppo complesso, ricco di tecnicismo, il quale incorre nella figura del magistrato medio, privo degli strumenti necessari per affrontare questi nuovi moduli investigativi.

Si può parlare, inoltre, di una proliferazione di modalità diverse di commissioni di reati comuni e di nuovi moduli investigativi per la ricerca del reo; i mezzi messi a disposizione del legislatore sono molto spesso conosciuti solo dalla polizia giudiziaria, sconosciuti al pubblico ministero e ancor di più al giudice.

Tra le novità introdotte, sicuramente va menzionato il c.d. Trojan Horse,  considerato, da un lato, un ingegnoso e indispensabile strumento per le indagini preliminari, ma dall'altro lato un perfido meccanismo per eludere la privacy dei cittadini; ancora, l'intelligenza artificiale: se in passato si parlava di alcune prestazioni, ricollegandole esclusivamente all'intelligenza umana, oggi si parla di intelligenza artificiale, della possibilità di sostituire l'uomo con delle "macchine", con dei programmi che riescono ad "agire umanamente".

Inoltre, grazie alla tecnologia, in questo periodo di crisi causa Covid-19, la giustizia non è messa da parte ma si fa fronte all'emergenza attraverso il c.d. processo telematico, modalità non considerabile dieci anni fa.

 

Le intercettazioni e il c.d. trojan horse

Negli ultimi decenni si è spesso sentito parlare di intercettazioni.

Grazie alla evoluzione tecnologica che ha coinvolto, e continua a coinvolgere, il nostro paese, l’intercettazione riesce ad entrare pienamente nella vita di ciascun cittadino.

Oggi è possibile prescindere dalla installazione manuale del dispositivo captante, attraverso l’utilizzo di un malware, il c.d. Trojan Horse.

Tale dispositivo nasconde il suo funzionamento all'interno di un altro programma apparentemente utile e innocuo e l’utente, eseguendo o installando quest'ultimo programma, attiva anche il codice del trojan nascosto, senza esserne minimamente a conoscenza.

Il sistema consente la captazione del traffico dei dati, l’attivazione del microfono, l’attivazione della webcam, la possibilità di registrare immagini, di effettuare la perquisizione dell’hard disk, totale o parziale, e la possibilità di decifrare in tempo reale tutto ciò che viene digitato sul dispositivo bersaglio, oltre alla possibilità di effettuare, a distanza e da remoto, il pedinamento elettronico mediante geo localizzazione.

Attraverso tale strumento è possibile, ancora, una piena ricostruzione del fatto: spesso i giudici, nelle proprie motivazioni, utilizzano il termine “in differita“ perché il fatto si può pienamente rivivere tramite la rilettura delle intercettazioni effettuate.

Sul Trojan Horse (ma, in generale, sulle intercettazioni) vi è una grande confusione: numerosi sono stati gli interventi su tale disciplina e numerose sono le proroghe di entrata in vigore delle riforme che lo vedono protagonista: l’entrata in vigore della legge sulle intercettazioni è stata prorogata dal 1 marzo 2020 al 1 maggio 2020, per poi essere nuovamente prorogata al mese di agosto 2020.[1]

È dunque evidente la necessità di un intervento finalizzato ad assicurare un effettivo controllo su tale mezzo investigativo e sull’utilizzo che se ne fa di esso, soprattutto in relazione al complesso rapporto che intercorre tra le intercettazioni (e la nuova modalità particolarmente invasiva della vita del reo) e il diritto alla privacy e alla riservatezza, sancito dalla nostra Costituzione e da fonti sovranazionali.

 

L’intelligenza artificiale nel processo

Non esiste una nozione univoca di robot e di intelligenza artificiale: quelle che abbiamo sono molto vaghe e distanti dalla realtà. Infatti, spesso si parla di robot come un qualcosa di antropomorfo, eppure ci sono molti sistemi che non lo sono, come ad esempio i robot industriali o le protesi robotiche.

È, dunque, assente una categorie omnicomprensiva della intelligenza artificiale e la sua presenza non sarebbe nemmeno utile. Questo perché è preferibile procedere per “gruppi di casi”, suddivisi per specificità e caratteristiche tecnologiche.

Nonostante la vaghezza del termine, l’intelligenza artificiale si è ormai inserita nelle nostre vite ed è entrata prepotentemente anche nel mondo del diritto.

Basti pensare agli smart contract, ossia quei contratti che si perfezionano attraverso l’utilizzo di software, determinando la nascita di rapporti obbligatori. Un esempio può essere il mercato degli e-commerce, in cui il sistema di compravendite viene gestito tramite procedure automatizzate, senza che le parti entrino in contatto diretto.

Nel campo del diritto amministrativo, inoltre, in alcuni casi l’esercizio del potere avviene attraverso procedure automatizzate, le quali, attraverso un algoritmo, sono in grado di emettere un provvedimento amministrativo.

Il Consiglio di Stato ha di recente riconosciuto, con sentenza n. 8472 del 2019, la possibilità di affidare il procedimento di formazione della decisione amministrativa a un software, nel quale vengono immessi una serie di dati così da giungere, attraverso l’automazione della procedura, alla decisione finale. A tal fine è fondamentale il rispetto della piena conoscibilità del modulo utilizzato e dei criteri applicati nonché dell’imputabilità della decisione all’organo titolare del potere, il quale deve poter svolgere la necessaria verifica di logicità e legittimità della scelta e degli esiti affidati all’algoritmo.

Anche la pubblica amministrazione deve, in sostanza, poter sfruttare le rilevanti potenzialità della c.d. rivoluzione digitale.

 

Conclusioni

Guardando al mondo giuridico odierno, ciò che emerge è che siamo dinanzi ad una rivoluzione digitale inarrestabile.

Da tale rivoluzione, tuttavia, resta estraneo il processo: è avvenente parlare di captatore informatico, operazioni digitali sotto copertura, pedinamento elettronico, intelligenza artificiale; ma anche nel processo vi è la necessità di altrettanti strumenti assolutamente all’avanguardia, poiché se un processo che funziona è assente, qualsiasi intervento legislativo non avrà esito positivo.

Ciò che preoccupa è, inoltre, la protezione dei dati e della privacy dei singoli cittadini.

Evidente è nell’utilizzo del Trojan Horse: il cittadino viene privato della sua riservatezza; vengono meno quelle garanzie volte ad impedire che, in ragione delle straordinarie potenzialità intrusive di questo strumento investigativo, da prezioso ausiliario degli organi inquirenti, degeneri, invece, in mezzo di sorveglianza massiva.

È dunque necessario un intervento del legislatore, al fine di ottenere una disciplina chiara e completa e trovare un accettabile punto di equilibrio fra rivoluzione digitale, diritto di difesa, tutela della riservatezza e protezione dei dati personali.

 

 

[1] Il decreto legge approvato dal Consiglio dei Ministri il 29 aprile 2020 ha disposto, tuttavia, un'ulteriore proroga, prevedendo che la nuova normativa in materia di intercettazioni troverà applicazione ai procedimenti penali iscritti successivamente al 31 agosto 2020.

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