20 Agosto 2021

La pedopornografia domestica: la parola di nuovo alle Sezioni Unite

GIUSY TUCCI

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Abstract

La Corte di Cassazione, sez. III penale, con ordinanza del 1 luglio 2021 n. 25334, ha rimesso alle Sezioni Unite il seguente quesito:  “ se il reato di cui all’art. 600 ter c.p., comma 1, risulti escluso nell’ipotesi in cui il materiale pedopornografico sia prodotto, ad esclusivo uso privato delle persone coinvolte, con il consenso del minore, che abbia compito gli anni quattordici, in relazione agli atti sessuali compiuti nel contesto di una relazione affettiva con persona minorenne che abbia la capacità di prestare valido consenso agli atti sessuali, ovvero con persona maggiorenne”.

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Il Caso

L’imputato aveva utilizzato una minorenne, con la quale aveva instaurato un rapporto intimo, al fine di produrre materiale pedopornografico realizzando, in specie, immagini della stessa che la ritraevano nel compimento di atti sessuali ed inoltre diffondendo o, comunque, divulgando il predetto materiale in rete e rendendolo accessibile sul social network.  

Lo stesso, quindi, veniva condannato per il reato di pedopornografia sia in primo grado che dalla Corte d’Appello. I giudici di merito consideravano integrata la fattispecie incriminatrice del reato di pedopornografia, si specifica, ritenendo sussistente la condotta di utilizzazione della minore quattordicenne per la realizzazione di immagini pedopornografiche e considerando non rilevante che la minore avesse prestato consenso sia per la realizzazione delle immagini sia alla loro parziale concessione.

La difesa, avverso la decisione della Corte di Appello, proponeva ricorso per Cassazione.

 

In discussione quanto affermato dalle Sezioni Unite del 2018

Con il primo motivo del ricorso il ricorrente sosteneva l’erroneità dell’interpretazione della Corte d’Appello, perché contrastante con quanto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza 2018, la quale individuava nella condotta di utilizzazione del minore il discrimine per individuare l’area di penale rilevanza dell’attività di produzione di materiale pedo-pornografico.

Infatti le Sezioni Unite, nel ricostruire l’evoluzione normativa della fattispecie incriminatrice, avevano fissato il principio secondo il quale, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 600  ter c.p. co.1, non fosse richiesto l’accertamento del concreto pericolo di diffusione del materiale pedopornografico,  in considerazione dello sviluppo tecnologico che ha reso  ormai  potenzialmente  diffusiva qualsiasi produzione di immagini  o video (cfr. Corte di Cassazione, Sezioni Unite,  sentenza n. 51815 del 31 maggio 2018).

Da tale affermazione, tuttavia, poteva scaturire un’applicazione eccessiva della norma incriminatrice anche per quelle condotte rientranti nell’ambito dell’autonomia privata sessuale, ovvero in riferimento alla c.d. “pedopornografia domestica”. Con tale espressione, si specifica, vengono individuate le rappresentazioni pedopornografiche nelle quali risultano coinvolti minori che abbiano raggiunto la soglia del consenso agli atti sessuali, purché tale materiale pedopornografico sia stato prodotto e posseduto con il consenso degli stessi e risulti destinato ad esclusivo uso privato.  

La presunta apertura delle Sezioni Unite 2018 è sembrata molto pericolosa alla giurisprudenza successiva.

Invero, le Sezioni Unite, esaminando il tema della c.d. pedopornografia domestica e del consenso del minore ultraquattordicenne, non avevano analizzato i diversi ambiti del consenso.  Infatti, posto che il minore ultraquattordicenne può prestare il consenso alle manifestazioni sessuali, non è stato approfondito il tema del consenso che lo stesso presti alla produzione di video o immagini implicanti lo svolgimento della detta attività sessuale.

Da tali considerazioni si muove il Collegio giudicante nel caso in oggetto, sostenendo come non sia possibile risolvere la questione di diritto sottoposta al suo scrutinio senza mettere in discussione l’obiter dictum contenuto nella sentenza delle Sezioni Unite del 2018. In particolare, i Giudici di legittimità, nella più recente sentenza, sostengono chiaramente come non sia possibile ritenere che il consenso del minore ultraquattordicenne alla riproduzione di immagini o filmati dell’attività sessuale svolta abbia valore scriminante per l’adulto che tali materiali abbia prodotto, essendo tale consenso sintomatico della sua attitudine ad essere oggetto di manipolazione. 

La Corte di Cassazione chiamata a pronunciarsi sul caso pone l’accento, in particolare, sul fatto che il consenso del minore ultraquattordicenne non includa il consenso alla riproduzione in immagini digitali, o di altro tipo, dell’attività a sfondo sessuale.

Inoltre, gli Ermellini dubitano del fatto che il minore possa essere ritenuto in grado di prestare un valido consenso alla documentazione della propria vita sessuale, implicando tale consenso il farsi carico di una riflessione circa i rischi che dovrebbe essere connessa alla maturità raggiunta dall’ultraquattordicenne.

 

Questione devoluta alle Sezioni Unite

Il Collegio, con ordinanza n. 25334 del 2021, in dissenso con il principio estrapolato dalle Sezioni Uniti 2018, ritiene che non si possa riconoscere in capo al minore, neppure ultraquattordicenne, la capacità a prestare il consenso alla diffusione di materiale pedopornografico, ovvero alla sua cessione da parti di terzi, siano essi pur indentificatili nel partner coinvolto, ed ha rimesso nuovamente la questione al Supremo Collegio. L’udienza è fissata per il 28 ottobre 2021.

 

Conclusione: quando il “gioco” in rete diventa pericoloso

Non raramente, purtroppo, dietro a fenomeni che appaiono leciti si celano situazioni di violenza sul minore. Tristemente celebre, in questo, il caso di Amanda Todd, una giovane ultraquattordicenne che faceva nuove conoscenze tramite una video chat in internet. Durante una conversazione di tal genere, avendola un estraneo convita a fotografarsi il seno nudo, lei gliene aveva inviato uno scatto. L’individuo in questione ha, poi, iniziato a ricattarla, minacciando di mostrare la sua foto in topless ai suoi amici a meno che lei non si fosse mostrata a nudo anche in video. In seguito, la polizia bussava a casa della famiglia Todd informando i genitori che una foto di Amanda in topless stava circolando sul web.  Da tale momento si ebbe il declino dello stato psicofisico della giovane. In aggiunta a ciò, un anno dopo il ricattatore si fece di nuovo vivo creando un profilo Facebook falso di Amanda, usando sempre la stessa fotografia che la ritraeva a seno nudo come foto profilo. In seguito a tale avvenimento, lo stato mentale della giovane ha subito un peggioramento tale da trascinarla nella spirale dell’autolesionismo, prima, ed infine nel suicidio.

 

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