21 Novembre 2022

Grandi dimissioni, perché? Cosa ci aspetta?

MANFREDI CAMICI

Immagine dell'articolo: <span>Grandi dimissioni, perché? Cosa ci aspetta?</span>

Abstract

Da alcuni mesi il tema della cosiddetta Great resignation ha iniziato ad attirare l’attenzione dei media. A seguito dell’allentamento delle misure restrittive legate alla pandemia, infatti, si è verificato un aumento ingente delle richieste di dimissioni volontarie da parte dei lavoratori negli Stati Uniti e in Europa. Ma da cosa nasce questo fenomeno? Siamo nell’epoca delle dimissioni di massa e quindi di fronte a una rivoluzione copernicana del mondo del lavoro?

***

Le prime segnalazioni di questo nuovo fenomeno sono venute dagli Stati Uniti e il trend sembra essere confermato anche in Europa. Ad alimentare il dibattito sulle dimissioni di massa sono stati i numeri forniti dell’US Bureau of Labor Statistics che hanno sottolineato come a fine maggio 2022 ben 4,3 milioni di persone hanno lasciato il proprio lavoro (quits), a fronte di 11,3 milioni di posizioni vacanti (in calo però del 6,9% pari a -427.000).

Un’ondata di dimissioni rilevante e apparentemente anomala, se si considera che a maggio 2022 quasi il 3% della forza occupazionale complessiva ha lasciato il proprio posto di lavoro. Un dato stupefacente e che prima della pandemia non aveva mai superato il 2,4%. Ma è realmente un fenomeno nuovo e riconducibile unicamente al contesto post-pandemico o rientra in un processo in atto da tempo?

La risposta, secondo l’articolo The Great Resignation Didn’t Start with the Pandemic scritto da J. Fuller e W. Kerr pubblicato sulla Harvard Business Review, sembra sfatare il mito. Osservando e confrontando l’andamento delle dimissioni pre e post-pandemia, emerge come il fenomeno delle Great resignation non sia qualcosa di circoscrivibile unicamente agli ultimi due anni. I dati, infatti, evidenziano un aumento delle dimissioni costante dello 0,1% nel decennio tra il 2009 e il 2019. In questo senso, il picco di dimissioni relativo al 2021 deve tenere in considerazione tutte quelle persone che avrebbero voluto dimettersi nel 2020, se non ci fosse stata la pandemia.

Per spiegare i motivi di questo processo, Fuller e Kerr hanno sottolineato l’importanza delle cosiddette “5R” retirementrelocationreconsiderationreshuffling e reluctance. In altre parole, il numero di coloro che vanno in pensione è maggiore rispetto a quello di chi chiede un trasferimento; i lavoratori stanno riconsiderando l’equilibrio tra lavoro e vita privata e i ruoli di cura; sono in atto cambiamenti di lavoro localizzati tra i settori, o rimescolamenti, piuttosto che uscite vere e proprie dal mercato del lavoro; e, a causa dei timori legati alla pandemia, le persone stanno dimostrando una certa riluttanza a tornare al lavoro in presenza.

Alcune necessità dei lavoratori, come la flessibilità e la possibilità di gestire in maniera autonoma l’orario e il luogo, secondo quanto riportato dal World Economic Forum, sono diventate determinanti in particolar modo per i white collars e i mid-career employees, nella scelta di proseguire la propria carriera.

Altro elemento da tenere in considerazione riguarda gli obblighi di assistenza e di cura che ricadono in modo sproporzionato sulle donne. Il report Women in the Workplace 2021 ha evidenziato, infatti, come una donna su tre stia considerando di lasciare il lavoro o di ridurre il proprio orario, non come scelta volontaria, ma per caregiving obligation, cioè per far fronte a obblighi di cura che ricadono su di lei. Complessivamente negli Stati Uniti il numero di donne che ha abbandonato il lavoro negli ultimi due anni è pari a un milione.

Anche in Italia si è parlato delle grandi dimissioni, ma stiamo realmente assistendo alla stessa situazione o si tratta di un fenomeno differente? Al tentativo di rispondere a questa domanda è dedicato il working paper Grande dimissione: fuga dal lavoro o narrazione emotiva? Qualche riflessione su letteratura, dati e tendenze di Renato Brunetta e Michele Tiraboschi. Il quadro che viene tracciato dallo studio evidenzia alcune analogie e altrettante differenze rispetto alla situazione statunitense. In primo luogo, anche in Italia si può parlare di un aumento del numero delle dimissioni come tendenza di lungo periodo, in cui il Covid ha reso esplicito il fenomeno, senza esserne direttamente la causa. Infatti, i dati forniti dall’Inps testimoniano come il numero di dimissioni volontarie siano calati nel 2020 (1.566.454) rispetto al 2019 (1.839.747), per aumentare nuovamente nel 2021 (2.045.200). Tuttavia, anche in questo caso l’aumento deve tenere in considerazione le “dimissioni rimandate” a causa dei diversi lockdown.

Ad evidenziare le distanze dalla situazione statunitense è la Relazione annuale 2021 della Banca d’Italia. La Relazione, infatti, sottolinea come il numero elevato di dimissioni sia dovuto a cambi d’impiego all’interno dello stesso settore lavorativo, senza causare grossi flussi di ricollocazione dei lavoratori al di fuori del comparto di appartenenza o al di fuori della forza lavoro stessa. I lavoratori hanno rassegnato le dimissioni solo a fronte di una prospettiva di un nuovo impiego. Nel periodo post-pandemico assistiamo quindi ad un’accelerazione fisiologica della mobilità di un mercato del lavoro in corso di adattamento. Ne consegue che sarebbe più corretto parlare di transizione occupazionale invece che di grandi dimissioni.

Tuttavia, scorporando i dati emergono alcuni disequilibri in particolar modo tra uomini e donne, laddove i primi hanno un tasso di rioccupazione più elevato delle seconde. Inoltre, i lavoratori più giovani hanno un tasso di rioccupazione più basso rispetto ai lavoratori più anziani, ma risultano più propensi a cambiare settore professionale. In generale, emerge la ricerca di condizioni lavorative più appaganti, non solo dal punto di vista economico.

 

Come affrontare le Great Resignation?

Le ragioni che portano alle dimissioni volontarie, come risulta dall’ultima edizione del Randstad Workmonitor, sono molteplici. A essere rilevanti sono le relazioni professionali, i valori aziendali in cui identificarsi, la possibilità di lavorare da remoto, le opportunità di carriera e il work-life-balance. Ecco quindi da parte delle aziende la necessità di attrarre e trattenere i giovani talenti. Sotto questo punto di vista il rispetto dei parametri ESG e le pratiche a favore della diversità, dell’equità, del benessere e dell’inclusione rappresentano un vantaggio non indifferente quando si tratta di attirare i lavoratori. Secondo il Talent Trend Report 2022 di Randstad, l’86% degli intervistati ritiene che un’azienda più inclusiva sia anche più innovativa e che possa offrire maggiori prospettive per il futuro. Ad ogni modo, emerge la necessità di monitorare il tema della differenza di genere, particolarmente marcata in un mercato del lavoro come quello italiano che storicamente penalizza la componente femminile. Quest’ultimo aspetto, assieme ai precedenti, incarna la vera sfida per prevenire il fenomeno delle dimissioni di massa. Un fenomeno emerso come conseguenza della pandemia, ma che è il frutto di una tendenza di lungo periodo e che è necessario non sottovalutare.

 

Altri Talks